La recensione / 4 – Sul tradurre poesia, da più punti di vista

di Sara Sullam

A proposito di: Il traduttore visibile. Rime e viaggi, a cura di Teresina Zemella e Sandra Maria Talone, Monte Università Parma, Parma 2016

 

LA RECENSIONE 4Dal 2003, all’interno del progetto Il traduttore visibile (http://www.alef.unipr.it/it/ricerca/il-traduttore-visibile ), si sono tenuti presso l’Università di Parma convegni, ogni anno su un tema diverso, sulla teoria e la pratica traduttiva: dalla traduzione del fumetto alla traduzione fra riflessione accademica e prassi editoriale, a un tema interessante quanto poco esplorato quale la traduzione di “linguaggi legati a particolari momenti e situazioni della vita”. Il progetto, animato da Teresina Zemella, docente di germanista, e Sandra Maria Talone, traduttrice professionista, si è negli anni impegnato a promuovere il confronto fra riflessione teorica e pratica della traduzione. L’ultimo convegno, tenutosi a Parma il 25 e 26 settembre 2014, è stato dedicato alla traduzione di poesia e gli interventi sono stati raccolti in questo volume.

La riflessione sulla traduzione di poesia è di per sé anche riflessione su un genere, da un lato, e sui limiti della traduzione stessa, dall’altro: per lungo tempo – e ancora in tempi relativamente recenti – la poesia, genere letterario ritenuto più ‘alto’, era considerata intraducibile. I contributi raccolti ne Il traduttore visibile si confrontano proprio con simili dogmi recependo tutti, pur in modo diverso, la “lezione” di Emilio Mattioli e Franco Buffoni, attivi promotori, tramite la rivista «Testo a fronte», di posizioni diverse e aperte alla rivalutazione della traduzione poetica come genere degno toto e partecipe a pieno titolo delle poetiche coeve della letteratura di destinazione, così come di una riattualizzazione del testo di partenza.

Non a caso il volume si apre con la riproposta della fortunata Teoria soft della traduzione di Franco Buffoni, la cui prima elaborazione si trova già nel suo libro Con il testo a fronte del 2007 (Interlinea, Novara, pp. 7-20, di recente ripubblicato). Si tratta di contributo forse già noto agli addetti ai lavori, ma sempre utile per sfatare appunto i due miti sorprendentemente duri a morire: oltre all’intraducibilità della poesia, quello di una visione dicotomica del rapporto tra originale e traduzione, ancora ben presente, secondo Buffoni, nelle riflessioni, per esempio, di Umberto Eco. La «teoria soft» di Buffoni si basa su cinque concetti: avantesto, movimento del linguaggio nel tempo, per cui il testo di partenza non è più, secondo le indicazioni di Friedrich Apel, un «monumento immobile nel tempo» (p. 20; cfr. Apel 1997); poetica (intesa, con Luciano Anceschi, come «riflessione che gli artisti e i poeti esercitano sul loro fare, indicandone i sistemi tecnici, le norme operative, la moralità, gli ideali»: p. 25); intertestualità e ritmo (per cui rimane centrale il contributo di Meschonnic). Forte dell’opera di “traduzione culturale” svolta dalla rivista «Testo a fronte» e ispirata al pensiero di Emilio Mattioli, convinto assertore dell’abbandono di ogni posizione normativa, la «teoria soft» di Buffoni inquadra la traduzione all’interno di un discorso sui generi letterari, dichiarando una volta per tutte vana la discussione sulla «possibilità» di tradurre o meno lo stile e la poesia. Si tratta certo di un punto di vista non privo di dure critiche – forse eccessive – a una certa teoria della traduzione, Eco in primis, cui non vengono risparmiate frecciate anche nel campo dell’estetica. Ma certamente è una teoria che ha il merito di coniugare rigore linguistico e riflessione storico-letteraria, con una rivalutazione cruciale della funzione del genere: genere letterario e genere della traduzione.

Alla lezione buffoniana, nello specifico quella sul “ritmo”, fa riferimento Franco Nasi in Oltre il metronomo: tradurre il ritmo di Quasi invisibile di Mark Strand. Nasi, già autore di solidi e fortunati contributi sulla traduzione poetica (piace qui ricordare il recente Traduzioni estreme, Quodlibet, Macerata 2015) si concentra sulla traduzione italiana di Almost Invisible, dell’americano Mark Strand, firmata da Damiano Abeni (Quasi invisibile, Mondadori, Milano 2014). Il contributo di Nasi offre nella sua parte iniziale una riflessione sulle difficoltà della traduzione di una poesia che Giacomo Debenedetti avrebbe definito “sliricata” (p. 49), apparentemente semplice perché priva di vincoli formali, la cui sfida si sposta quasi interamente sul piano del ritmo. Prendendo le mosse da un cammeo di Rosa Calzecchi Onesti alle prese con la traduzione dell’esametro omerico di metronomica e scolastica memoria, Nasi fornisce un documentato approfondimento storico sulla questione del ritmo. Si passa poi a un’analisi dettagliata e convincente della traduzione di Abeni, che riesce nella difficile operazione di «“levigare” la lingua italiana che, per la sua storia, fatica a rinunciare a certi innalzamenti di tono e nell’evitare la variatio)» (p. 62). Ai problemi linguistici posti dalla traduzione poetica, questa volta di nonsense e per giunta in un contesto intersemiotico, è dedicato l’intervento di Michela Canepari (Le rime umoristiche di Dr. Seuss. Problemi di traduzione interlinguistica e intersemiotica). Il contributo si concentra infatti sulla traduzione italiana di Horton Hears a Who (Random House, New York 1954), uscita nel 2002 nell’italiano di Anna Sarfatti per Giunti Junior, di Firenze come Ortone e i piccoli chi, e oggetto di un adattamento per il cinema d’animazione nel 2008, a cura di Jimmy Hayward e Steve Martino.

Il traduttore visibile ospita altresì interventi dove la riflessione sulla traduzione incrocia quella sulla riflessione e sul canone letterario creato dalle traduzioni. Alessandro Niero fornisce un accattivante ritratto del «visibilissimo traduttore» e «antologizzatore» Renato Poggioli. Slavista formatosi alla scuola di Nicola Ottocar a Firenze, Poggioli è stato – come hanno mostrato Roberto Ludovico, Lino Pertile e Massimo Riva in Renato Poggioli: An Intellectual Biography (Olschki, Firenze 2012, già recensito da Giulia Baselica su «tradurre»: https://rivistatradurre.it/2012/11/la-recensione-2-un-grande-pioniere-della-slavistica/) – uno dei più importanti traduttori, nel senso di “mediatori di cultura” del secondo Novecento italiano, e non solo per la letteratura russa. Analizzando la traduzione di alcune liriche del Fiore del verso russo, Niero mostra come Poggioli riesca a coniugare «un’evidente estraneazione (foreignazation) [nel] ritmo [con un] fenomeno di acclimatazione (domestication)». La domanda che si pone Niero riguarda la «spendibilità» attuale delle traduzioni poggioliane, individuata «nell’attenzione ai crismi formali, che rimanda a risultati di primo piano sia nella poesia italiana contemporanea sia in recenti traduzioni poetiche, e nel conseguimento, in alcuni casi […] di esiti ascrivibili alla categoria di traduction-texte così come la intende Henri Meschonnic» (p. 43).

Un’escursione nel campo letterario italiano degli anni quaranta, nel genere del teatro in versi, è presente anche nel contributo di Gloria Bazzocchi e Rafael Lozano Miralles, che svolgono un confronto fra due traduzioni di Bodas de sangre di Federico García Lorca, quella di Elio Vittorini (Nozze di sangue, Milano, Bompiani, 1941) e la nuova traduzione firmata da Elide Pittarello (Nozze di sangue, Venezia, Marsilio, 2013). Bazzocchi e Lozano Miralles mostrano, tramite l’analisi delle parti in verso, come le due traduzioni rispondano a esigenze diverse: Vittorini dimostra di saper “dialogare” con la poetica lorchiana, di un drammaturgo, quindi, a lui contemporaneo. Pittarello opta invece per una traduzione sì “divulgativa”, ma forte della conoscenza derivante dalla “canonizzazione” dell’autore, per segnare «un’altra tappa nella storia della vitalità» del testo (p. 114). L’analisi di Bazzocchi e Lozano Miralles si serve così con successo della “lezione” mattioliana e buffoniana per studiare le vicende traduttive e critiche di un autore e di un’opera che hanno fatto epoca, e che al tempo stesso dialogano con successo con epoche diverse. Gli interventi di Simonetta Valenti ed Enrico Martines, invece, presentano puntuali considerazioni di traduttori alle prese rispettivamente con il testo teatrale Le Soulier de satin (1929), di Paul Claudel, e con un componimento, Vitaï Lampada di Henry Newbolt (1897), appartenente a un genere ritenuto obsoleto, la poesia patriottico-militare.

Il traduttore visibile presenta, come ogni anno, anche riflessioni provenienti dal contesto professionale, in questo caso dedicate alla traduzione della letteratura di viaggio. In un certo senso, l’intervento semi-autobiografico di Davide Astori, Rendere la vita: una questione di gusti costituisce un buon ponte tra le due sezioni. Astori, che arriva in Romania per la prima esperienza come docente universitario nel 1991, all’indomani della caduta della dittatura di Ceausescu, racconta dell’incontro con la cultura letteraria rumena attraverso la traduzione del poema Exibitobiografia ¼,del rumeno Petru Ilieșu, poeta dissidente sotto il regime di Ceaușescu. Tra i contributi dei traduttori professionisti, si distingue per la consueta chiarezza l’intervento di Francesca Cosi e Alessandra Repossi, esperte traduttrici di letteratura odeporica, delle quali vorrei ricordare la versione italiana dei diari greci e italiani di Virginia Woolf per le edizioni Mattioli 1885 di Fidenza (Diario di viaggio in Italia, Grecia e Turchia; Qui è rimasto qualcosa di noi; e Ultimi viaggi in Europa, rispettivamente 2011, 2012 e 2013). Da tempo attive a livello associativo, Cosi e Repossi forniscono utili consigli su come proporsi come traduttori specializzati in un segmento editoriale che, a giudicare dalla sezione dedicata nel volume, gode tutto sommato di buona salute. Utile e interessante è anche l’approfondimento storico sul genere della guida turistica, a cura di Daniela Desperati e Roberto Peretta.

Il traduttore visibile. Rime e viaggi è un volume composito, con contributi di natura molto diversa, elemento che a prima vista può risultare un po’ spiazzante. Dalla disamina dei contributi, è emerso chiaramente come gli interventi di natura più storico-letteraria recepiscono la lezione di Mattioli e la teoria di Buffoni per indagare momenti ed episodi nella traduzione di poesia. Forse avrebbe giovato, in sede introduttiva, il riferimento (e il successivo impiego) della teoria dei polisistemi di Itamar Even-Zohar (1990, 45-52), utilissima per inquadrare i fenomeni di transfer letterario, nello specifico della posizione e della funzione di alcune opere all’interno dei due canoni nazionali, per ampliare la riflessione teorica sull’importanza cruciale delle traduzioni nello studio della letteratura. Il traduttore visibile ha tuttavia il merito di testimoniare la vitalità di un progetto che negli anni, all’interno di un dipartimento di discipline umanistiche, non solo anima il dibattito sulla traduzione, ma propone attivamente anche il legame con il mondo professionale.

Riferimenti bibliografici

Apel 1997: Friedmar Apel, Il movimento del linguaggio. Una ricerca sul problema del tradurre, Marcos y Marcos, Milano 1997 (traduzione di Riccarda Novello da Sprachbewegung. Eine historisch-poetologische Untersuchung zum Problem des Übersetzens, Niemeyer, Tübingen 1982

Even Zohar 1990: Itamar Even Zohar, The position of the translated literature within the literary polysystem, in «Poetics Today», vol. 11, n. 1