Rinaldo Küfferle, traduttore intransigente

di Elda Garetto

rinaldo-1Agli esordi della sua carriera letteraria, ispirato dalla giovanile inclinazione alla poesia (Küfferle 1920), Rinaldo Küfferle (Pietroburgo 1903 – Milano 1955: cfr. Garetto 2016a) non immaginava che il suo nome sarebbe stato ricordato soprattutto come traduttore, ma aveva già un’idea molto precisa di cosa attendersi da una traduzione di versi.

Lo dimostra una sua feroce stroncatura, pubblicata su «La fiera letteraria» del 17 gennaio 1926, della traduzione dell’Onegin di Puškin, eseguita da Ettore Lo Gatto per i tipi della «Biblioteca sansoniana straniera» (Lo Gatto 1925): «mi sono accostato alla versione dell’Eugenio Onieghin con l’ingenua speranza di trovarvi un’eco della voce a me cara del poeta. Ho scorso, invece, con crescente meraviglia, parecchie pagine che del sorriso e della grazia pusckiniana non conservano il più pallido riflesso».

La critica di Küfferle non tiene in alcuna considerazione la notorietà già raggiunta da Lo Gatto grazie ad alcune iniziative di grande spessore culturale, come la rivista «Russia» o la creazione dell’Istituto per l’Europa Orientale. Per lui esiste un discrimine che non ammette deroghe: il testo poetico deve mantenere la sua forma ritmica e quindi il rimprovero di fondo alla traduzione del capolavoro puškiniano, a cui pure riconosce «letteralità» rispetto al testo originale, è quello di non aver tenuto «conto della forma originale, ch’è la parte veramente distintiva, inconfondibile ed eterna di ogni opera d’arte».Küfferle arriva addirittura a suggerire a Lo Gatto la scelta di un campo di attività «meno arduo». Le conclusioni sono sicuramente dettate anche dall’irruenza tutta giovanile di chi, consapevole di aver raggiunto una buona padronanza dell’italiano letterario, continua a sentire il russo come lingua madre e si infastidisce per ogni divergenza troppo marcata dall’originale. Ma non è solo questo, come vedremo.

La recensione innesca una polemica con Lo Gatto che rimbalza dalla rivista «Russia» (n. 1, 1926) a «La Fiera letteraria», dove il 14 febbraio 1926 compare, nella rubrica «Note polemiche», una lettera di Küfferle al direttore, dal titolo Traduzione in versi. Il dibattito è un gustoso assaggio della controversa questione della traduzione di poesia. Nella sua replica a Lo Gatto, Küfferleafferma con perentoria sicurezza:

la «questione di principio» ognuno l’ha risolta a modo suo: chi veramente ha delle qualità non ha esitato a dimostrar coi fatti che è possibile render fedelmente ed eccellentemente anche in versi, per non dire solo in versi, la poesia straniera [e qui Küfferle cita i nomi di alcuni traduttori dal greco, da Shakespeare e da Shelley]. Chi invece «ha mozze l’ali» è costretto ad accampare delle scuse e a limitarsi ad augurare, ma senza troppa fede, «un traduttore dal largo respiro».

e ancora:

Lo Gatto […] cerca di persuadermi che «una mediocre o cattiva traduzione, come purtroppo sono la maggior parte delle traduzioni poetiche […] rende all’originale un servizio assai peggiore di una modesta guida sia pure pedantescamente lessicale». Ma a questo punto sorge spontanea la domanda: «è proprio necessario, in pieno secolo ventesimo, stampare dei “bigini”? Perché da questi al dizionario è un passo solo.

Non è possibile sapere se le aspre parole di Küfferle, oltre a irritare Lo Gatto, l’avessero anche stimolato a rivedere e perfezionare il suo lavoro di traduzione sul «romanzo in versi» puškiniano. È certo però che per il centenario della morte del poeta pubblicò una traduzione in endecasillabi (Lo Gatto 1937), considerata tra le migliori, se non la migliore versione italiana dell’Onegin.

La provocatoria stroncatura del lavoro di Lo Gatto era stata forse dettata anche da una motivazione concreta: in quegli anni Küfferle stava lavorando intensamente sull’opera di Puškin, soprattutto sui drammi, di cui sul n. 11 del giugno1925 di «Comoedia» aveva pubblicato il più noto, Boris Godunov, composto in pentametri giambici come i sonetti shakespeariani. La traduzione, indicata come «prima versione poetica italiana del testo originale», era preceduta da una prefazione dal titolo Per il centenario di un capolavoro, che anticipava i termini della polemica con Lo Gatto:

Non è il caso di citare qui le molte e insufficienti traduzioni che del «Boris» furono tentate e davanti alle quali giustamente il pubblico italiano è rimasto perplesso: non si può tradurre un’opera poetica, né, tanto meno, riprodurre fedelmente lo spirito, senza il rispetto assoluto per la sua veste ritmica. Che vale, infatti, trascrivere in brutta prosa versi perfettissimi? Traducendo bisogna rivivere passo passo con il poeta l’intiero processo creativo: riudire in noi le musiche divine che gli suonarono dentro, fissarle nella nostra lingua, fare, insomma, anche opera di critica, giacché una buona traduzione ha da essere anche un buon commento. […] Ora bisogna, piuttosto che polemizzare, riparare. E sarei già lieto se nella mia versione i lettori ritrovassero quell’aroma indefinibile che il «Boris» aveva perso nelle manomissioni precedenti.

Il lavoro di “riparazione” intrapreso da Küfferle produsse nel 1928 un’edizione completa dei testi drammaturgici di Puškin per i tipi della Unitas, diretta da Vincenzo Errante, che recava ben evidente nel frontespizio la precisazione «traduzione in versi» (Küfferle 1928a) e una nota che riassumeva una posizione decisamente reader-oriented, cioè orientata a favorire la comprensione del lettore, sulla traslitterazione del cirillico, in totale dissidio con i criteri della traslitterazione elaborata da Lo Gatto sulla base dell’alfabeto croato e successivamente adottata dalla maggior parte degli editori.

Alle note informative allineate nella presente introduzione sarebbe desiderio del traduttore non aggiungere altro. Il suo tributo alla parte critica egli l’ha pagato col tradurre in poesia la poesia del Pusckin. Rimane tuttavia qualche ultima dichiarazione da fare.
Nella trascrizione dei nomi russi, ad evitare la complicazione dei segni speciali, resi, purtroppo, indispensabili dall’insufficienza dell’alfabeto italiano in confronto con l’alfabeto russo, il traduttore si è attenuto ad un criterio d’approssimazione (Küfferle 1928b, XVII).

e proseguiva:

Tutte le così dette parole intraducibili che troppo spesso si riportano senz’altro in corsivo il traduttore ha cercato di spiegarle, così che si è spontaneamente eliminata la necessità delle note in calce. […] Le poche parole russe rimaste nella traduzione, come zar, boiardo, ecc., son comprese da tutti (ivi, XVII).

Küfferle avrebbe mantenuta immutata per decenni la sua avversione per la traslitterazione scientifica, considerandola «grafia pedantesca (del tutto astratta per l’orecchio e per l’occhio dei nostri lettori), i segni diacritici, il valore convenzionale di certe lettere», un’avversione pari a quella – scriveva all’editore Gherardo Casini il 16 aprile 1951 – per la «conservazione dei pesanti patronimici, le antiartistiche per eccellenza note filologiche» (Fondo Küfferle, b. 13, fasc. 83).

Sul ritmo e la musicalità del testo Küfferle non transige e sottolinea come «la fatica dell’interprete» sia mirata soprattutto a «rivivere insieme col poeta il processo creativo e fissare in questa lingua d’Italia almeno una debole eco delle musiche divine che il genio del Pusckin produsse per la consolazione degli uomini» (Puškin 1928, XVIII).

Negli stessi anni Küfferle iniziò a tradurre i libretti d’opera per la Scala e il libretto steso da Musorgskij per la trasposizione operistica del Boris puškiniano (1872) è uno dei primi testi con cui si cimentò. La sensibilità per il testo poetico, unita alla sua cultura musicale — aveva iniziato a studiare pianoforte a Pietroburgo — gli permetteva di realizzare magistrali e insuperabili «versioni ritmiche» dei libretti d’opera, per cui affrontò testi russi, tedeschi, francesi e inglesi (Malcovati 2016). Küfferle dimostrava piena consapevolezza di tutti i vincoli posti da un genere così particolare, come rivelano brani della corrispondenza e diverse note inedite alle traduzioni dei libretti, tra le quali una, riguardante L’uomo nero (da Schwarzer Peter, diWalter Lieck, musicata da Norbert Schultze, 1936), molto limpida: «la versione ritmica ha l’obbligo della perfetta aderenza ai ritmi musicali di cui è un calco esatto fin negli accenti secondari delle parole. Non ha l’indipendenza artistica che è spesso privilegio del libretto originale, ma deve modellarsi sul disegno melodico già esistente» (Fondo Rinaldo Küfferle, b. 9, fasc. 44).

In alcuni casi, a detta degli esperti musicali, le versioni di Küfferle riescono addirittura a migliorare il testo originale, come si legge in una recensione pubblicata sul «Corriere della sera» del 2 marzo 1926, dedicata alla prima di Kovanscina alla Scala: «fu una vera fortuna pel libretto l’aver trovato un traduttore colto e intelligente in Küfferle, che cercò anzitutto di mantener fedele la versione italiana al testo originale e supplire a certi screzi tra la parola e la sua eco musicale rimasti nella partitura anche dopo la revisione di Rimskij».

L’apice dell’attività di Küfferle come traduttore di testi in versi può essere sicuramente considerata la traduzione di Chelovek (Uomo) di Vjačeslav Ivanov, realizzata tra il 1941 e il 1946, grazie alla collaborazione con l’autore, che viveva in Italia, su un testo di grande complessità concettuale e compositiva. La vicenda della traduzione del poema è testimoniata da un ricco carteggio, che rivela la venerazione di Küfferle per Ivanov e la grande considerazione di quest’ultimo per il traduttore che, con la sua sensibilità, gli offriva spunti preziosi per riformulare concetti e immagini del testo originale. In questa ardua impresa, letteraria e spirituale, Küfferle aveva perduto la giovanile sicurezza ed era lì lì per abbandonare l’impresa, mentre Ivanov gradualmente si convinceva dell’importanza di proseguire nell’elaborazione di una stesura in gran parte nuova, di cui si conservano alcune redazioni, che sono già state oggetto di analisi dettagliate (Malcovati 1989; Ruffolo 1997; Malcovati 2011).

L’ultimo progetto di traduzione di versi è un’antologia di poeti russi, proposta nei primi anni cinquanta alla milanese F.lli Bocca, presso la quale Küfferle aveva pubblicato, a partire dai primi anni quaranta, volumi di versi suoi, versioni di Goethe, L’uomo di Ivanov (1946) e, come direttore della «Biblioteca scientifico-spirituale», numerose opere di Rudolf Steiner, che contribuirono alla diffusione dell’antroposofia in Italia. Il progetto di antologia prevedeva la collaborazione di Boris Zajcev, scrittore dell’emigrazione russa a Parigi, che, grazie alla sua conoscenza dell’italiano, intervenne nella scelta e anche nella traduzione dei testi. Küfferlelo interpellava per consigli e informazioni, come testimoniano la corrispondenza,vari fogli di appunti e il dattiloscritto dell’antologia. Il lavoro di selezione e traduzione dei testi occupò tutta la prima metà degli anni cinquanta. La redazione definitiva prevedeva una scelta di autori dal Settecento sino al periodo contemporaneo. Ma se la serie di poeti che rispecchia la poesia settecentesca e ottocentesca era decisamente tradizionale, la raccolta di testi di poesia del Novecento risentiva in maniera evidente delle chiusure della diaspora russa nei confronti di tutta la letteratura sovietica o percepita come tale. L’antologia comprendeva quasi tutti i poeti simbolisti, includeva Achmatova, Mandel’štam e Gumilëv, ma escludeva totalmente la rappresentanza futurista, Esenin e gli immaginisti; accoglieva invece autori dell’emigrazione parigina come Georgij Ivanov, Boris Poplavskij, Vladimir Smolenskij e Vasilij Janovskij, probabilmente suggeriti da Zajcev, o altri, come Anatolij Gejncel’man, che viveva anche lui in Italia e aveva con Küfferlecontatti diretti.

L’antologia era ormai completata e la revisione dei testi in fase molto avanzata, quando tutto si interruppe per la morte improvvisa di Küfferle. Vani furono i tentativi della moglie Giana Anguissola di collaborare alla revisione finale per procedere alla pubblicazione, che non si realizzò.

Un altro progetto con Bocca rimasto sulla carta riguardava una collana dal titolo «Scrittori russi», che prevedeva la riedizione di testi ottocenteschi e novecenteschi — Puškin, I demoni, l’Atlantide di Merežkovskij, opere di Zajcev, Bunin e altri — opere per lo più già tradotte da Küfferle negli anni venti e trenta. Anche se quest’ultimo progetto non arrivò a compimento, il contributo di Küfferle alla diffusione della narrativa in lingua russa fu ugualmente incisivo e originale.

Le traduzioni di narrativa

Nelle prime traduzioni e recensioni di traduzioni di prosa emerge la stessa intransigenza della giovanile polemica con Lo Gatto per la traduzione dell’Onegin. In molte occasioni lo spirito critico di Küfferle si estendeva alle scelte editoriali, come nel caso della recensione all’antologia di racconti umoristici Risate russe tradotti e curati da Alfredo Polledro nel 1926 per Lattes. Nella rubrica «I libri della settimana» della «Fiera Letteraria» del 28 febbraio 1926 Küfferle metteva apertamente in discussione la scelta di affiancare la «grandezza universale e solitaria» di Čechov e lo stile quasi pirandelliano di Kuprin ad altri autori che gli parevano del tutto fuori luogo, legati a un buon tempo andato (la recensione si apriva con un breve scorcio della propria lontana vita di studente pietroburghese), quando Küfferle leggeva i testi di Doroševič, Averčenko, Teffi e altri umoristi minori per sfuggire alla noia. In questo caso la critica a Polledro non toccava la traduzione, eseguita con «coscienza e intelligenza», ma la scelta e l’accostamento: avrebbe preferito più testi di Čechov, che risultava sminuito dalla vicinanza degli altri scrittori e poco in sintonia con il tema della risata russa (anche se non è affatto certo che il titolo della raccolta fosse stato scelto da Polledro).

Per somma ironia, solo cinque anni tardi, Küfferle si sarebbe trovato a tradurre per Bompiani una nuova antologia di racconti umoristici russi, scelti da Aleksandr Amfiteatrov, prosatore celebre anche per i suoi racconti satirici. La raccolta, dal titolo Intorno al samovar. Racconti russi moderni (Amfiteatrov, Küfferle 1931), comprendeva una selezione di autori in gran parte simile a quella di Lattes (gli stessi Doroševič, Averčenko, Teffi accostati a Čechov), ma, probabilmente, in questo caso Küfferle non osò criticare troppo la scelta, in considerazione dei rapporti di amicizia e collaborazione con Amfiteatrov.

Con il Polledro della torinese Slavia Küfferle collaborò brevemente per la traduzione di una raccolta turgeneviana, Scene e commedie, per la quale scrisse una breve e concisa nota alla fine del volume. Si tratta della prima versione italiana di alcune composizioni drammaturgiche del giovane Turgenev, inserita nella collezione «Il Genio russo». Oltre ad alcune precisazioni sulla sua traduzione, Küfferle forniva al lettore sommarie informazioni sull’opera e un breve commento:

Niente bibliografia e niente prefazione. Il piano della Collezione me ne dispensa. […] Una vera prefazione le «Scene e commedie» non l’hanno avuta nemmeno dall’autore, né mi pare che ne abbiano bisogno. Le grazie un po’ vecchiotte, che il tempo ha fatto impallidire, ma non è riuscito a cancellare, […] bastano da sole a dare una ragione d’essere a questo teatro che «Il Genio Russo» presenta ora ai lettori.
Di poche note ho corredato questo libro, perché poche o punte ne occorrevano. Ho trascritto in corsivo le parole e le frasi tedesche e francesi che ricorrono nel testo, senza avvertirne il lettore ad ogni passo. Ho cercato, insomma, di essere il meno possibile pedante (Küfferle 1927, 345).

Fin qui tutto abbastanza bene, a parte la velata perplessità per la scelta delle «grazie vecchiotte e impallidite». Non si può neppure escludere un leggero disappunto per il fatto che non fossero assegnati a lui testi turgeneviani di ben altro impatto. Certo è che, all’uscita della traduzione di Padri e figli, eseguita per la Slavia da Giuseppe Pochettino (1928), Küfferle non risparmiò critiche all’editore per non aver mantenuto fino in fondo il proposito di pubblicare solo traduzioni condotte rigorosamente ed esclusivamente sul testo originale, senza la minima concessione alle precedenti versioni dal francese. La polemica, ricostruibile parzialmente dalle lettere di Polledro tra il gennaio e il febbraio del 1929, si estese ad altre traduzioni pubblicate dalla Slavia, da quella di Guerra e pace a cura della Duchessa d’Andria, fino a coinvolgere lo stesso Polledro per la sua versione dei dostoevskijani Besy (Polledro 1927), accusata esplicitamente di rivelare, qua e là, echi della traduzione francese (Piazzoni 2016, 23). Polledro ribatté a tutti gli appunti definendoli «sommarie generalizzazioni». Ovviamente l’episodio pose fine alla collaborazione di Küfferle con la Slavia, che, nel ripubblicare nel 1934 le Scene e commedie turgeneviane, eliminò anche la paginetta di note del traduttore. Dopo questo dissidio, Küfferle sembra aver ingaggiato con Polledro una vera competizione, pubblicando nel 1933, oltre a Padri e figli nella mondadoriana «Biblioteca romantica» diretta da Borgese (Küfferle 1933a), anche Alla vigilia (Küfferle 1933b), già tradotto da Polledro (1930). È pur vero, d’altronde, che in quegli anni gli editori italiani facevano a gara nel completare il repertorio dei classici russi, e non era raro che uno stesso testo avesse più edizioni quasi contemporanee.

Anche la traduzione dei Demoni per la «Biblioteca romantica» (Küfferle 1931) parrebbe rientrare in questa sfida editoriale con Polledro, ma le carte dell’archivio rivelano che Küfferle si era accordato anni prima con Vincenzo Errante, condirettore di Mondadori, e che quest’ultimo voleva inviare in composizione gli Ossessi (questo il titolo preferito da Küfferle) già nell’agosto 1928.

La traduzione di Besy — che diventerà Demoni invece di Ossessi nella versione a stampa — rappresentava per Küfferle un primo punto di arrivo nel suo decennale lavoro sull’opera di Dostoevskij, di cui tradusse e pubblicò, oltre a brani scelti su periodici, anche Il giocatore (Küfferle 1930) e L’adolescente (Küfferle 1935). La consapevolezza del grande impegno dedicato alla traduzione e la riluttanza ad accettare qualunque intervento redazionale, spingeranno Küfferle, negli anni cinquanta, a una sofferta contesa con Mondadori e Sansoni, con la conseguenza di vedere la sua versione uscire rimaneggiata, anonima, o quel che è peggio, parzialmente adottata da un altro traduttore (si veda in proposito, in questo stesso numero di «tradurre», l’articolo di Edoardo Esposito).

Questi contrasti non ridussero l’interesse di Küfferle per Dostoevskij, come rivela il lungo lavoro sull’Idiota, iniziato negli anni della guerra e pubblicato solo postumo, nel 1960, nel terzo volume delle opere complete dello scrittore russo curate per Mursia da Eridano Bazzarelli e più volte ripubblicate. Küfferle discusse progetti di edizione dei romanzi dostoevskijani con diversi editori (Piazzoni 2016), perfezionando la sua specifica strategia per riprodurre le relazioni testuali dominanti dell’originale e ne rende partecipe il lettore:

Nell’impeto febbrile, col quale lo scrittore […] anima e configura la materia, non c’è posto per una levigazione delle asperità espressive che, in questa traduzione, condotta fedelmente e integralmente sull’originale ristampato da Ladyschnikov (Berlino, 1922), sono state mantenute, come rappresentative delle sprezzature stilistiche di Dostoievski. Così pure si è rinunziato a rompere, con una più ariosa distribuzione dei periodi, i compatti blocchi di prosa che, talvolta, occupano parecchie pagine di fila, senza un solo a capo, per non togliere all’esuberante narrazione il suo affanno primitivo (Küfferle 1956, 8-9).

L’approfondimento costante dell’opera di Dostoevskij non impedì a Küfferle di apprezzare e diffondere la letteratura della diaspora russa, in particolare quella parigina, grazie ai contatti diretti con i suoi più celebri esponenti, testimoniati da una corrispondenza cordiale e densa di dettagli (Garetto 2016b). Tra il 1930 e il 1933, grazie alla collaborazione con Bietti, che gli affidò la collana «Biblioteca russa», e con altri protagonisti dell’editoria milanese — Corbaccio, Sonzogno, Mondadori — Küfferle si fece promotore di una straordinaria opera di diffusione dell’opera di Ivan Bunin, Mark Aldanov, Ivan Šmelëv, Boris Zajcev, Teffi, estendendo il suo interesse anche ad autori meno affermati come Vladimir Nabokov, Boris Poplavskij e Vasilij Janovskij. Su questo fronte Küfferle rivelò grande sensibilità per le nuove tendenze della prosa russa novecentesca, unita alla volontà di presentare al lettore italiano un settore quasi inesplorato, quello della diaspora. L’impresa più difficile era semmai convincere gli editori a pubblicarli; i rifiuti non mancarono. Mondadori negli anni trenta respinse quasi tutte le proposte di contemporanei, Nabokov compreso, e, dopo aver accettato Bunin in virtù della recente assegnazione del Nobel, impose un drastico taglio del finale di Mitina ljubov’. Con un tipico intervento autocensorio, teso a prevenire un possibile sequestro, L’amore di Mitia uscì nella «Medusa» (Küfferle 1934) senza il suicidio del protagonista, provocando uno scambio di lettere molto amare fra autore e traduttore. In un articolo pubblicato su «Stampa sera» a vent’anni da quell’edizione e a pochi mesi dalla scomparsa di Bunin, Küfferle rievocò quell’episodio e non perse occasione per sottolineare la scarsa conoscenza della letteratura russa da parte del mondo editoriale italiano, lamentando che il suo manoscritto fosse stato corretto da un «terzo personaggio», interprete delle cosiddetta mentalità del lettore medio, che, oltre a osservare pedantemente le regole censorie, aveva anche deformato il testo in nome di una maggiore vivacità stilistica: «I disse e i rispose buniniani si erano trasformati in una selva impervia e screziata di annuì, ribattè, ecc.».

Nel periodo bellico le difficoltà di pubblicare testi tradotti dal russo e per di più provenienti dalla Francia si fecero insormontabili e Küfferle dovette attendere tenacemente sino agli anni cinquanta per veder realizzati alcuni suoi progetti concernenti Zajcev (Küfferle 1950) e Janovskij (Küfferle 1955).

Anche nella traduzione della letteratura d’emigrazione Küfferle si mantenne fedele ai suoi principi traduttologici. Ne troviamo un saggio eloquente nella prefazione all’Altro amore (Liubov vtoraia) di Janovskij, pubblicato da Bompiani dopo il rifiuto di Mondadori.

Accade spesso che vengano pronunciati giudizi su questa o quella traduzione senza la conoscenza del testo originale e perciò dei criteri di condotta che ogni interprete dotato di sensibilità artistica attua caso per caso, immergendosi nell’opera da ricreare oggettivamente. Per una equa valutazione critica sarebbe necessario tener conto di questi due fattori determinanti della forma che un’opera straniera riceve nella nostra lingua.
Altra, ad esempio, è la formula stilistica da me usata per Dostoevski da quella adottata per Bunin o Turgheniev; un linguaggio diverso fra loro parlano attraverso di me Pusckin, Zaitsev, Aldanov, Amfiteatrov, Merezkovski, ecc.
Non nella personalità dell’interprete è da ricercare dunque l’origine dell’eleganza o della ruvidezza di una traduzione, ma nella peculiarità espressiva del modello.
Tale norma di eclettismo mi è sempre parsa un requisito indispensabile all’interprete, altrettanto che all’attrice, la quale, a seconda della parte ch’è chiamata e recitare, deve «saper essere» bella o brutta, affascinante o ripugnante.
Per L’altro amore, Janovski ha preteso da me un’aderenza estrema alla configurazione nervosa, qua e là isterica, del testo. Il 2 febbraio 1937 scriveva: «In nome di tutti i santi, non smussate, non levigate il libro. Rimangano pure le angolosità, le asprezze. Non lasciatevi sconcertare dal fatto che in italiano non si possa dire così, – nemmeno in russo si dice così. Seguiamo la linea della massima opposizione!».
Opposizione al cliché, all’andamento comodo che si suppone rientri nel gusto del così detto «lettore medio».
La richiesta categorica di Janovskii mi ha trovato consenziente; e ciò spiega audacie di costrutti (nei limiti, naturalmente, della esigenza artistica), stranezze della punteggiatura (come l’uso abbondante della lineetta), ecc. (Küfferle 1937).

Questa breve rassegna ha inteso ricostruire sommariamente solo alcune costanti dell’approccio di Rinaldo Küfferle alla traduzione, senza entrare nel merito dei risultati qualitativi raggiunti nel corso della sua lunga e articolata attività, ma sottolineando piuttosto come per lui la trasposizione di un testo letterario non fosse che una componente di un processo molto più complesso, a partire dall’approfondimento della personalità dell’autore, della storia della composizione dell’opera, per giungere ad elaborare un linguaggio specifico per ogni singolo autore, la cui personalità doveva emergere il più possibile intatta nel testo d’arrivo, senza barriere formali, ma anche senza inutili concessioni al “lettore medio”.

Questa valutazione molto esigente, talvolta intransigente, dei compiti del traduttore era spesso associata a una visione molto chiara di quale letteratura russa fosse necessario introdurre nell’orizzonte culturale italiano. Su entrambe le questioni non sempre Küfferle si trovava in sintonia con le scelte editoriali o traduttologiche operate da altri, mentre lavorava con maggiore libertà e determinazione in veste di direttore di collana o in collaborazione con interlocutori della levatura di Borgese o Errante.

Fonti archivistiche

Il Fondo Rinaldo Küfferle, recentemente ordinato e inventariato da Maria Rosaria Moccia, è custodito presso l’Archivio della Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano.

Bibliografia

Amfiteatrov, Küfferle 1931: Intorno al samovar. Umoristi russi moderni, scelti da Alessandro Amfitheatrov e tradotti da Rinaldo Küfferle, Milano, Bompiani

Esposito 2016: Edoardo Esposito, Rinaldo Küfferle e Giuseppe Antonio Borgese, in «Un Dostoievski non è mai carta sprecata». Spunti di ricerca dalle carte di Rinaldo Küfferle, a cura di Elda Garetto, Milano, Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, pp. 33-45

Garetto 2016a: Elda Garetto, Cenni biografici, in «Un Dostoievski non è mai carta sprecata» cit., pp. 59-60

– 2016b: Elda Garetto, Fra gli scrittori dell’emigrazione, in «Un Dostoievski non è mai carta sprecata» cit., pp. 9-21

Küfferle 1920: Rinaldo Küfferle, Il pollice riverso, Pontedera, Vallerini

– 1927a: Ivan Turgheniev, Scene e commedie; prima versione integrale e conforme al testo russo con note di Rinaldo Küfferle, Torino, Slavia

– 1927b: Rinaldo Küfferle, Nota del traduttore, in Küfferle 1927a, p. 345

– 1928a: Alessandro Pusckin, Boris Godunov; Il cavaliere avaro; Mozart e Salieri; Il convitato di pietra; L’ondina, traduzione in versi e introduzione di Rinaldo Küfferle, Milano, Unitas

– 1928b: Introduzione a Küfferle 1928a, pp. XVII – XVIII

– 1930: Fiodor Dostoievski, Il giocatore, traduzione dall’originale e introduzione di RinaldoKüfferle, Milano, Bietti

– 1931: Feodoro Dostoievski, I demoni, traduzione di Rinaldo Kufferle, 2 voll., Milano, Mondadori

– 1933a: Ivan Turgheniev, Padri e figli, traduzione di Rinaldo Kufferle, Milano, Mondadori

– 1933b: Ivan Turgheniev, Alla vigilia, traduzione dal russo e introduzione di Rinaldo Kufferle, Milano, Sonzogno

– 1934: Ivan Bunin, L’amore di Mitia ed altre prose, Milano, Mondadori

– 1935: Feodor Dostoievski, L’adolescente, unica traduzione integrale dal Russo di Rinaldo Küfferle, Milano, Sonzogno

– 1937: Rinaldo Küfferle, Avvertenza, in Vassilij Janovski, L’altro amore, Bompiani

– 1950: Boris Zaitsev, Una casa a Passy, Milano, Martello

– 1955: Vassili Janovski, Esperienza americana; traduzione dal russo di Rinaldo Küfferle, Milano, Ed. Ape (Artistiche Propaganda Editoriali) – Corticelli

Küfferle 1956: Rinaldo Küfferle, Introduzione, in Fiodor Dostoievski, L’orfana. Le notti bianche, Utet

Lo Gatto 1925: Alessandro Puškin, Eugenio Onjeghin, traduzione, introduzione e note di Ettore Lo Gatto, Firenze, Sansoni

– 1937: Alessandro Puškin, Eugenio Oneghin; versione poetica di Ettore Lo Gatto; introduzione di Venceslao Ivanov, Milano, Bompiani

Malcovati 1989: Fausto Malcovati, La traduzione italiana de “L’uomo” di Ivanov, in Dalla forma allo spirito. Scritti in onore di Nina Kauchtschischwili, a cura di Rosanna Casari, Ugo Persi, Gian Piero Piretto, Milano, Guerini

– 2011: Fausto Malcovati, Vjaceslav Ivanov e Rinaldo Küfferle. Alcune lettere inedite sulla traduzione di “L’Uomo”, in Donum homini universalis. Sbornik statej v čest’ 70-letija N.V. Kotreleva, sostaviteli: N.A. Bogomolov, A.V. Lavrov, G.V. Obatnin,Moskva, OGI

– 2016: Fausto Malcovati, «L’aborrito mio rival». Küfferle traduttore di libretti d’opera, in: «Un Dostoievski non è mai carta sprecata» cit., pp. 47-60

Piazzoni 2016: Irene Piazzoni, Le trame della mediazione letteraria. Küfferle e i “suoi” editori, in: «Un Dostoievski non è mai carta sprecata» cit., pp. 23-31

Pochettino 1928: Ivan Turghenjev, Padri e figli, romanzo; versione integrale e conforme al testo russo con note di Giuseppe Pochettino, Torino, Slavia

Polledro 1927: Fjodor Dostojevskij, I demoni (Bjesy), romanzo in tre parti; prima versione integrale con note di Alfredo Polledro, Slavia

Polledro 1930: Ivan Turghenjev, Alla vigilia. Romanzo; versione integrale dal russo con note di Silvio Polledro., Torino, Slavia

Ruffolo 1997: Daniela Ruffolo, Vjačeslav Ivanov-Rinaldo Küfferle,in Archivio italo russo. A cura di Daniela Rizzi e Andrej Shishkin, Trento, Dipartimento di Scienze filologiche e storiche, pp. 563-601