Mon semblable, mon frère!

 

 

Nessuno più del traduttore* ha diritto di fare propria la baudelairiana chiamata di correo al lettore. Lettore per eccellenza, ancor più di altri scrittori il traduttore è costretto a contare sulla complicità del collega lettore perché passi sotto silenzio la sua ipocrita pretesa di parlare per conto terzi. Il traduttore sta nascosto a casa sua, il lettore non sa a chi si sta affidando, o fa finta di non saperlo.

È bene chiarire. Non stiamo parlando delle traduzioni dotate di apparato critico, spesso di grandi classici, svolte e pubblicate a fini scientifici e accademici, sulle quali non ci attentiamo a metter becco. Né, ovviamente, parliamo della traduzione tecnica. Parliamo della traduzione editoriale, in particolare di narrativa e di saggistica, che costituisce la stragrande maggioranza della produzione libraria italiana e che è il mestiere di alcune centinaia di professionisti. Secondo mestiere, di solito, come nel caso di molti altri lavori “intellettuali”.

Non è un velo sottile, quello che separa il Lettore dal Traduttore, né tanto meno immateriale. Oh sì, certo: possiamo disquisire su tutto il corposo mondo linguistico-letterario-filosofico che va smosso per comprendere il problema generale del tradurre. È quello che si fa di solito, doverosamente, in sede accademica e che altrettanto doverosamente faremo noi anche in questa sede, con la massima cura. Ma il velo più corposo, la vera cortina di ferro che nasconde il traduttore editoriale all’hypocrite lecteur è, molto prosaicamente e poco accademicamente, la complessa filiera del libro, di cui la traduzione è un anello trattato dall’editoria alla stessa stregua degli altri, cioè come un costo. Per questo, come in copertina compare il nome della casa editrice, nelle ultime pagine quello della tipografia, nel colophon quello dei grafici e dell’illustratore di copertina ecc., così sotto il titolo in frontespizio quando va bene (o, in casi eccezionali, addirittura in copertina) o anch’esso nel colophon quando va male, ecco il nome del traduttore.

Ma non intendiamo attardarci nell’ennesima vana lamentazione circa la sottovalutazione, e conseguente sottoretribuzione, dell’«autore invisibile» (del resto, tranne strabilianti eccezioni, non se la passano meglio neanche gli autori visibili). Qualunque editore schietto ci spiegherebbe in quattro e quattr’otto che, essendo la traduzione un costo, occorre tenerlo basso; e per tenerlo basso occorre che la traduzione sia sottovalutata. In fondo alla filiera non c’è il Lettore, c’è il Mercato: o meglio il Mercato spacciato per Lettore. In realtà il Mercato, questo autentico moderno Principe, detta le sue sempre più opinabili, e contraddittorie e a ogni piè sospinto contraddette, leggi anche al Lettore e pretende che sia un lettore: il più possibile uniforme e massificato, il più possibile deprivato di sensibilità e cultura, il più possibile prono alle voghe effimere, il meno possibile critico. Così — contro ogni osannata legge del Mercato — la moneta cattiva scaccia quella buona: il cattivo italiano ha il sopravvento sul buon italiano, la cattiva traduzione ha la meglio sulla buona: costa di meno, non importa se è pessima. Tanto il lettore ingoia e non si lamenta. Tranne rarissime eccezioni, l’editore, che rispetta il Mercato e ne ha giusto timore, non si rende (non vuole rendersi? rinuncia a rendersi?) conto di essere anche lui depauperato di valore e di senso, ridotto a produrre libri come si produrrebbero salatini o surgelati.

Il nostro intento è di rendere dignità culturale al mestiere del tradurre, svelandone, in tutti i suoi risvolti, la complessità e la ricchezza, la profondità e l’inventiva, la durezza e la leggerezza. Con questo, vogliamo fare appello al Lettore nascosto dietro il Mercato, affinché persuada anche l’editoria ad avere – a tornare ad avere – dignità culturale. È uno dei tanti impegni in difesa dell’ambiente che occorre intraprendere nel mondo da qualche tempo a questa parte. Si affianca alle energie alternative, ai banchi alimentari, al microcredito, ai gruppi d’acquisto, all’agricoltura biologica ecc. Come quelli, è donchisciottesco. Ma perseguirlo ci restituisce, almeno in parte, la nostra dignità.

 


* Dobbiamo avvertire: la lingua italiana, finché esiste, è quella che è e impone il maschile per i singolari con valore collettivo che comprendono anche persone di genere femminile, anche quando esse —  come nel nostro caso — siano la maggioranza. A questa norma ci atterremo, nella speranza di non essere accusati perciò di maschilismo.