La recensione / 6 – Le pasticheur pastiché

di Piernicola D’Ortona

A proposito di: Ornella Tajani, Tradurre il pastiche, Modena, Mucchi Editore, 2018, pp. 172, € 14,00

Accostarsi al pastiche significa per prima cosa fare i conti con una attenta (e spesso apparentemente cavillosa) disamina teorica su quali sono i caratteri di un oggetto testuale a volte così elusivo, sospeso com’è tra imitazione, parodia, omaggio e in certi casi – certamente i migliori – critica. Tajani ci regala dunque una ricognizione che è in primo luogo teorica, dato che si confronta non solo con un gigante come Gérard Genette, che con Palimpsestes (1982) è stato tra i pionieri dello studio sistematico di quella che lui chiama littérature au second degré, «letteratura al secondo grado», ma con tutta una serie di studiosi, come Paul Aron e Jacques Espagnon, che in anni più recenti hanno approfondito la questione allargando la definizione genettiana.

Si tratta, però, anche di una ricognizione storico-critica, visto che nei tre capitoli principali del saggio di Tajani ripercorriamo le tappe salienti di un percorso che ha attraversato il Novecento francese. Si parte, cela va sans dire, da Marcel Proust e dalle sue versioni de L’Affaire Lemoine, in qualche modo il testo “seminale” del genere. Importante ricordare che Proust concepiva il pastiche non solo come «una maniera privilegiata di conoscere lo stile di un autore, di illuminare pregi e difetti della lingua adoperata, ma anche un’occasione di esercizio critico» (p. 32-33). Senza contare che la pratica della scrittura imitativa faceva in qualche modo parte del cursus studiorum di qualsiasi letterato della Terza Repubblica (si veda l’interessante volume di Antoine Albalat, L’art d’écrire, del 1899, citato a p. 29: Savoir imiter, c’est apprendre à ne plus imiter, «Sapere imitare significa imparare a non imitare più» – traduzione mia).

La tappa successiva della ricognizione di Tajani riguarda due testi scritti à la manière de Arthur Rimbaud: La Chasse spirituelle (1949), di Akakia-Viala e Nicolas Bataille, e Les veilleurs (1927), componimento posto da Robert Desnos in apertura al suo romanzo La liberté ou l’amour! In particolare il primo – nonostante certe goffaggini stilistiche che l’autrice rileva e giustifica con dovizia di esempi, sulla scorta della sua dimestichezza con l’intero corpus rimbaldiano – fu al centro di un acceso dibattito nel mondo culturale parigino. Il saggio si chiude – e non poteva essere altrimenti – su un esempio di matrice oulipiana, nello specifico il pastiche lipogrammatico, a opera di Georges Perec, di due autori sacri della tradizione francese: nel romanzo La Disparition, scritto interamente senza e, l’autore inserisce una riscrittura di Voyelles di Rimbaud (che diventa Vocalisations) e una di Brise marine di Stéphane Mallarmé (trasformata in Bris marin). Interessante notare come per l’Oulipo il legame tra pastiche e traduzione (in questo caso endolinguistica) sia posto già a livello teorico: si veda, a questo proposito, la definizione che apre il capitolo Traductions dell’Atlas de littérature potentielle.

Non dimentichiamo, comunque, che al centro dell’attenzione di Tajani sta la traduzione: l’interesse teorico del pastiche sta infatti nel suo rappresentare una di quelle “traduzioni estreme” che consentono di riflettere sui legami fra traduzione e autorialità. Un’autorialità, certo, derivata, che nel caso del pastiche deve barcamenarsi fra almeno due ordini di contraintes: quella del testo fonte e quella della lingua o dei testi pastichés, che a loro volta possono presentare una tradizione linguistica nella lingua d’arrivo (vale a dire che è impensabile tradurre in italiano un pastiche di Balzac senza confrontarsi in qualche modo con le traduzioni italiane di Balzac). Tajani insiste – a ragione – sul fatto che «la traduzione del pastiche porta il traduttore alla ribalta più spesso di quanto accade per altri testi: la triangolazione con l’autore pastiché e l’autore pasticheur, unita alle esigenze del doppio gioco mimetico, lo obbliga di frequente a scelte più visibili o audaci» (p. 110), perché alla base di questa particolare tipologia testuale vi è il vincolo essenziale della riconoscibilità; il contrat de pastiche vuole che il lettore sia in grado di cogliere i tratti salienti della lingua dell’autore pastiché.

Il lettore avrà quindi modo di immergersi nelle complete analisi che Tajani fa delle traduzioni oggetto del suo studio: da quella di Giuseppe Merlino dei Pastiches proustiani fino ai funambolismi di Piero Falchetta nella traduzione de La Disparition di Perec.