Ancora e sempre sulla traduzione della poesia

TRADUZIONE DA ENCORE ET TOUJOURS SUR LA TRADUCTION DE LA POESIE DI JOËLLE GARDES

di Fabrizio Di Majo

Farò qui un bilancio delle difficoltà che ho incontrato traducendo la raccolta del poeta Tommaso Di Dio, Tua e di tutti, Faloppio, LietoColle, 2014 (La tienne et à tous, Recoursaupoeme éditions, juin 2015, www.recoursaupoemeediteurs.com). Non assumerò il ruolo del linguista o del traduttologo, ma piuttosto quello del traduttore davanti a un testo che gli resiste, perché si tratta di poesia, e di una poesia particolare, nello stile e nelle intenzioni. Delle intenzioni dell’autore qui non parlo, ma non trovo un termine migliore per designare le caratteristiche profonde dei componimenti poetici, i valori estetici, morali, persino metafisici, che ne costituiscono il fondamento.

Quella che propongo è dunque una semplice testimonianza. Evocherò rapidamente le difficoltà legate alla natura di questa poesia, radicata tanto nella biografia quanto nella cultura, e in entrambi i casi in un modo allusivo che rende molto difficile riconoscere questi legami. Mi dilungherò maggiormente sui problemi legati alle particolarità dell’italiano e del francese, che pur sono lingue affini.

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Uno dei punti di forza della poesia di Tommaso Di Dio sta nella tensione tra l’evocazione di momenti della vita personale e di ricordi – il compleanno della madre, la scena mattutina di un ragazzo che distribuisce i giornali… – di fatti di cronaca – l’assassinio di una giovane cameriera -, di episodi attinti dalla storia – la morte dei fratelli Cervi, che lottavano per la libertà durante la seconda guerra mondiale. Tutti questi fatti, quali che essi siano, sono evocati in maniera allusiva e io li conosco soltanto grazie alle informazioni datemi dal poeta. La traduzione non è tenuta a precisare di più.

Su questi fatti si innesta una cultura classica e moderna. Tommaso Di Dio, infatti, insegna italiano e latino. Si trova così nelle sue poesie più di un’eco dei testi antichi, di Tacito ad esempio. Una sua poesia porta in esergo un estratto del grande storico e rimanda espli-citamente a due episodi degli Annali, quello della disfatta di Varo nella foresta di Teutoburgo, dove furono massacrate tre legioni, evento che i Romani, Augusto per primo, interpretarono come un effetto della collera degli dei, e poi quello della visita di Germanico al sito della battaglia, dove fece costruire una tomba per i soldati morti in combattimento. I due nomi figurano nella poesia ma, per comprenderne la tonalità generale, bisogna far riferimento nel dettaglio ai due momenti. Certo, questo non influisce direttamente sulla traduzione, ma chiarisce ad esempio la menzione dei «crani», e soprattutto permette di meglio apprezzare la finalità della poesia, una meditazione sul tempo e la memoria.

Le poesie della raccolta echeggiano spesso altri poeti, Leopardi, Pascoli, T.S. Eliot. È pensando a quest’ultimo e a The waste land che ho tradotto «bruti o brulli, come/ terra nella terra» con désolés et dévastés,che aveva il vantaggio di proporre ripetizioni di suono, anche se la paronomasia non è così netta come nell’originale.

È in occasione dei nostri colloqui che, a proposito dei versi:

Qualcosa va perduto
non sarà di nessuno nessun tempo lo avrà
mai,

Tommaso di Dio mi ha spiegato un’allusione: «quel verso (che appartiene ad una poesia fra le più vecchie della raccolta) riecheggia un altro verso, molto celebre nella poesia italiana, di Vittorio Sereni: “sotto il pennino dello scriba una pagina frusciante/ e dopo / dentro una polvere di archivi / nulla nessuno in nessun luogo mai (da Intervista a un suicida, in Gli strumenti umani)». Sarebbe stato dunque impossibile, in queste condizioni, non conservare la ripetizione «nessuno / nessun» e tradurre banalmente «nessuno» con personne. Ho scelto di tradurre:

Quelque chose doit se perdre
qui n’appartiendra à nul etre que nul temps ne possédera
jamais.

Nul etre è forse più ricercato di «nessuno», ma mi è sembrato che il gruppo fosse in accordo con il tono generale della raccolta, dove la parola «essere» è utilizzata molte volte. Tornerò sulla scelta della relativa.

Se tradurre è necessariamente interpretare, mi sembra imperativo avere una visione ampia del contesto e comprendere, per quanto possibile, la cultura soggiacente al testo. Ciò pone d’altronde un problema generale, quello stesso della lettura della poesia, quando è poesia colta. Probabilmente è possibile apprezzarla ritmicamente, emotivamente, senza chiarirne tutte le allusioni; tuttavia, un’esegesi permette di approfondirne la comprensione. La poesia non è solo sentimento, è anche significazione intellettuale. I riferimenti culturali, gli echi possono non essere percepiti dal lettore, ma io penso che, nella misura del possibile, si debbano lasciare in un testo, conservandogli tutte le sue virtualità perché un giorno, forse, siano ritrovati. Una poesia è fatta di strati, il lettore può fermarsi agli strati superficiali, ma è bene che possa, se vuole, arrivare a quelli che si vedono meno ma che sono stati preservati.

2

Le difficoltà linguistiche sono le più facili da analizzare, anche se non sono le più facili da risolvere. Mi sembra che il lessico di Tua e di tutti sia quello che pone meno problemi, cosa non abituale in poesia. Sono sempre riuscita a tradurre un termine senza perdere troppo, anche quando ho dovuto ricorrere a una perifrasi, il che evidentemente non è privo di inconvenienti, in particolare perché cambia il ritmo. È così che mi è sembrato impossibile tradurre il termine «greto»con grève, perché questa parola in francese è diventata letteraria, e in ogni caso non la si userebbe più per indicare la riva di un fiume e di un ruscello.

In questo distico:

Dopo un passo
sei nel greto nella strada nel bosco

Un pas de plus
tu es dans le lit du ruisseau dans la rue dans le bois
,

ho quindi scelto una perifrasi che rimanda a una realtà immediatamente comprensibile, semplice quanto la strada o il bosco.

Per contro, una parola tanto comune come «apertura»mi ha posto un problema nell’espressione«L’apertura delle foglie». Il ricorso al sostantivo ouverture è quasi impossibile, perché la lista dei complementi della parola sembra limitata, e non è neanche molto plausibile: l’ouverture di una porta, di una sessione… L’ouverture delle foglie non evoca, o evoca male, il loro schiudersi e il loro dispiegarsi in primavera. Ho fatto quindi ricorso al verbo: Les feuilles s’ouvrent, che consente questa evocazione e conserva il doppio significato che Tommaso Di Dio intendeva conferire alla parola: nascita e dimensione («dimensione larga, ampia»). Al contrario, in quest’altro esempio: «Il giorno che s’avvera», ho trasposto il verbo in sostantivo: Le jour dans sa vérité. Il verbo s’avérer è raro in francese, se manifester mi è sembrato banale, e ho pensato che l’impiego di vérité, che ha la stessa radice di «avverarsi», fosse più forte. Qui siamo ai confini tra lessico e sintassi.

3

Di fatto, è proprio la sintassi che mi ha dato maggiori problemi, non tanto perché il poeta usi una sintassi particolare, quanto in ragione delle differenze tra i due sistemi, o dei due usi, del francese e dell’italiano. Ne darò qualche esempio soltanto.

Il primo riguarda l’assenza del pronome soggetto in italiano, che in francese è necessario. E quelli che si sono posti non sono tanto problemi di genere, come succede spesso quando bisogna scegliere tra un il o un elle, quanto problemi che implicano anche il lessico. Ritorno sul distico che ho citato prima:

Qualcosa va perduto
non sarà di nessuno nessun tempo lo avrà.

Quelque chose doit se perdre
qui n’appartiendra à nul etre que nul temps ne possédera

Poiché nella raccolta la parola chose è importante, era necessario conservare quelque chose in francese, salvo che la necessità di dare un soggetto ai verbi del secondo verso m’ha obbligata a introdurre ua relativa, la quale non implica il genere, impossibile da attribuire a quelque chose. Avrei potuto omettere il pronome soggetto:

Quelque chose doit se perdre
ne sera à personne

ma la frase, del resto corretta, avrebbe avuto un aspetto un po’ strano. Altrimenti si sarebbe dovuto mettere una coordinata, che però non sarebbe stata adeguata allo stile: quelque chose doit se perdre et ne sera à personne. In ogni caso, il pronome relativo era necessario per que nul temps ne possédera, perché era impossibile usare un pronome personale che indicasse il genere. Tradurre è veramente pesare ogni parola.

Il secondo problema che concerne la sintassi è quello dell’ordine delle parole. Il francese ha un ordine più rigido dell’italiano; lo si vede ad esempio quando si tratta della collocazione del complemento oggetto. Nella stessa poesia classica, in cui vigevano regole particolari per l’inversione, quella del complemento oggetto è rarissima. Per tradurre: «Tutto questo non possiamo noi dimenticare» bisogna riprendere il complemento con un pronome e optare per una dislocazione: Tout cela nous ne pouvons l’oublier. In questo modo, il complemento conserva la posizione che ha in italiano, ma la ripresa per mezzo del pronome fa sì che, in una certa maniera, esso sia meno integrato nella frase, nella quale è diventato un componente mobile Tra l’origine e il bersaglio la differenza è minima, e purtuttavia esiste.

L’ordine rispettivo del verbo e del soggetto è quello che pone i maggiori problemi. Esso è strettamente regolamentato in francese; ad esempio, è impossibile anteporre il soggetto di un verbo transitivo seguito da un complemento. In questo passaggio:

Che mostrino le cose
come un vanto la loro
opaca maniera

è stato necessario invertire l’ordine del verbo e del soggetto:

Que les choses se fassent
une sorte de mérite de leur
opacité

Il francese ammette per contro l’inversione del soggetto se il verbo è intransitivo e se appartiene, quanto al lessico, alla categoria dei verbi di moto o di apparizione, a condizione che il verbo non si trovi a inizio frase:

Au loin se lève une fumée

*Se lève une fumée.

Si può dunque seguire l’ordine italiano in un esempio come questo :

Sul cemento oggi
camminano le urla

Sur le ciment aujourd’hui
cheminent les cris

ma non in quest’altro, dove il verbo è in posizione iniziale:

Girano i giorni
nelle notti; girano le
lacrime.

Les jours roulent
dans la nuit; les larmes
roulent.

Avrei anche potuto scegliere di tradurre:

Dans les nuits
roulent les jours; roulent les larmes.

ma avrei dovuto invertire l’ordine dei versi, cosa che mi sembra sempre costituire un affronto alla struttura di un componimento poetico.

Un esempio come:

Ti stringe lunga
stretta e schiva la strada.

pone più d’un problema. Il primo è quello del posto del soggetto con un verbo transitivo. Il secondo, più difficile da descrivere, è quello della posizione dell’aggettivo appositivo. In francese, è raro che esso preceda il gruppo al quale è apposto, salvo che si tratti del soggetto. Fortunatamente, l’anteposizione del soggetto permette di risolvere questo secondo problema. Avrei quindi potuto tradurre con:

Longue étroite rétive
la rue te serre.

Ma allora la struttura dei due versi sarebbe stata ampiamente modificata. Per sconvolgerla di meno, ho scelto la traduzione seguente, che pospone gli aggettivi al soggetto:

La rue te serre longue
étroite et rétive.

Nessuna delle due scelte era soddisfacente, ho dovuto scegliere.

Su un altro punto ancora, la differenza di sistema e di uso tra l’italiano e il francese mi ha creato dei problemi. Si tratta dell’uso molto frequente del gerundio: «cercando», più raro in francese. Differenza di sistema: nonostante la tradizione, non è propriamente esatto parlare di gerundio per il francese, che, a differenza dell’italiano, non dispone di una forma specifica; in francese si utilizza il participio presente con la preposizione en: en cherchant. Differenza d’uso: questa costruzione è meno frequente in francese di quanto lo sia il gerundio in italiano, tanto più che su di essa pesa un fatto di grammaticalizzazione che l’associa obbligatoriamente al soggetto della frase e la pone spesso all’inizio: En cherchant son crayon, il a trouvé ses lunettes. Stando così le cose, in questo passaggio:

A volte la vedo
che fruga, cercando
cercando.

ho evitato la forma francese corrispondente di «cercando» e ho usato l’indicativo:

Parfois je la vois
qui fouille, qui cherche
qui cherche.

In quest’ultimo esempio il gerundio era staccato da una virgola. In generale, la scarsità di punteggiatura in questa raccolta mi ha creato anch’essa dei problemi.

E’ avvenuto che la costruzione sintattica non fosse leggibile, come nell’esempio che segue:

Sopravviveva
nel tempo protetta bianca ancora là
una sedia

Lo stesso Tommaso Di Dio riconosce che il ritmo è un po’ particolare: «è una piccola forzatura anche in italiano». La difficoltà è certo quella del ritmo, ma è anche prima di tutto quella della sintassi, che l’assenza di punteggiatura rende ambigua. Se si mettesse la punteggiatura bisognerebbe scrivere, secondo l’interpretazione che ho scelto: «Sopravviveva nel tempo, protetta, bianca, ancora là, una sedia» o associare «protetta»a «nel tempo»: «Sopravviveva, nel tempo protetta, bianca, ancora là, una sedia».

Io ho dunque tradotto:

Il [le jardin] survivait
au temps et blanche protégée encore là
une chaise

spostando protégée per meglio associarlo a encore e sottolineare l’idea di tempo come avevo fatto costruendo survivait con au temps. Il ritmo resta forzato, particolarmente a causa dell’ejambement di une chaise, dopo tutte le apposizioni come in italiano, secondo una costruzione cui sembra che il poeta sia affezionato.

4

Arriviamo ora ai problemi di stile, campo nel quale con ogni probabilità la soggettività del traduttore si manifesta maggiormente. Una delle difficoltà fondamentali, generali, della traduzione della poesia è legata alla metrica, che differisce considerevolmente da una lingua all’altra. Il francese, ad esempio, ha una metrica sillabica, mentre l’italiano ha una metrica accentuativa, il che non è senza influenza anche sulla poesia in versi liberi, e persino sulla prosa, perché l’accento è lessicale in italiano, e accento di gruppo in francese. In quest’ultima lingua, quindi, riscoprire l’importanza della sintassi è essenziale ai fini della creazione del ritmo. Queste questioni di ritmo mi si sono poste molto spesso. Qualche esempio: «una miriade sbriciolata di luce». La traduzione più fedele sarebbe stata, ovviamente, une miryade + émiettée de lumière. Ho invece scelto di spostare il participio: une miryade de lumière émiettée. La prima soluzione comportava in effetti due binomi all’interno del sintagma, une miryade émiettée + de lumière, di cui il primo era più lungo del secondo, come d’altronde in italiano. Ora, in francese l’ordine naturale è detto progressivo, ossia si va dal più breve al più lungo, come avviene con une miryade de lumière émiettée.

Quest’altro esempio è più complesso:

     […] Nessuno
finché vive, potrà dimenticare
cosa chi una per volta per tutte va
mentre nessun pronome resta.

     […] Personne
de toute sa vie, ne pourra oublier
quoi ou qui à son tour et une fois pour toutes s’en va
pendant qu’aucun pronom ne reste.

È di nuovo in gioco una questione di sintassi e di ritmo. Questa volta, la costruzione è così concisa che ho dovuto svilupparla, in qualche modo dispiegarla, persino interpretarla. Ho quindi tradotto «per volta»con à son tour, e poi ho scelto di ricorrere all’espressione une fois pour toutes, che rimanda anche a «per tutte». Ma il poeta si è dichiarato soddisfatto del ritmo che ho creato. È vero che i monosillabi accentati dell’inizio del verso e i gruppi che seguono permettono di ottenere cinque accenti e di conservare la brutalità dell’accento sul monosillabo va, tanto più sensibile in quanto è alla fine del verso.

Anche le ripetizioni concorrono alla creazione del ritmo globale e della tonalità. Una di esse è quasi un tic di Tommaso Di Dio; è quella di «poi», che scandisce le poesie. Ora, quando si pone attenzione alla distribuzione dell’equivalente francese puis ci si accorge che non appare in principio di frase, ma soltanto all’interno: il est venu, puis il est reparti rapidement. Se è all’inizio, lo si fa volentieri precedere da et : Et puis. D’altra parte, «poi»non ha sempre un senso temporale, tanto che non lo si può tradurre in tutti i casi con ensuite, la cui distribuzione sembra meno obbligata e che pertanto sarebbe una soluzione. «Poi»funziona spesso, in particolare all’inizio della frase, come un appoggio del discorso. L’ho quindi tradotto in diversi modi, talvolta con puis, talvolta con ensuite, e qualche volta l’ho persino soppresso, quando si limita a dare avvio a un testo o una frase:

Di mattina, raddrizzano i tavoli
al bar del parco. Poi, i piccioni a terra
vanno per le briciole.

Le matin, on redresse les tables
au bar du parc. Les pigeons à terre
marchent dans les miettes

Ho forse perduto un dettaglio che conferisce alla raccolta il tono semplice, che contrasta con la sintassi essenziale, e ho attenuato la tensione tra una voce famigliare e un’altra più sofisticata. Mi ci sono risolta a malincuore.

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In ogni caso, mi sembra di aver tratto da questo lavoro di traduzione un doppio profitto. Mi ha permesso di capire la fabbrica del testo, il suo universo di parole, e in tal modo di penetrarvi più profondamente, e mi ha anche permesso di riflettere sulle particolarità delle lingue, la cui impalcatura in parte arbitraria non smetterà mai di meravigliarmi.