In chiusura

Questo numero, il numero 21, è l’ultimo numero di «tradurre».

A più di dieci anni dal numero 0, la nostra rivista chiude e la testata «tradurre» non esisterà più.

L’abbiamo fondata con il desiderio di creare un luogo –  diverso dalle sedi (poche) nelle quali all’epoca si collocava il dibattito sulla traduzione – dove poter parlare di traduzione, anzi del tradurre, come pratica che “cambia il mondo”. Volevamo farlo in modo scientificamente solido e documentato, ma lasciando anche spazio e legittimità agli aspetti più umani e personali. Al centro si collocava una nostra idea di traduzione in quanto ingranaggio di quella macchina complessa e poderosa che è la filiera del libro e di un’editoria che si occupa di scegliere, selezionare, pubblicare, far circolare libri, idee, linguaggi. Insomma, per noi la traduzione era e continua a essere un modo di costruire cultura, un atto mai neutro, mai slegato da meccanismi economici, politici, da contesti storici.

Siamo riusciti nel nostro intento?

In parte sì.

Misurare l’esistenza a colpi di traduzione

INTERVISTA A SUSANNA BASSO di Gianfranco Petrillo | Per fortuna, con la buona stagione e le vaccinazioni il maledetto covid ci ha lasciato un po’ di respiro. Abbiamo potuto guardarci in faccia, Susanna e io, non attraverso uno schermo. Abbiamo potuto conversare, con semplicità. O meglio: la semplicità è tutta sua, la strabiliante semplicità con cui lei sola riesce a dare senso anche alle contorte e banali domande con cui io cerco, invano, di metterla in difficoltà, trovandomi a essere io quello in difficoltà, quello che fino a quel momento non ha capito niente. E capisce meglio ora, oltre a tante altre cose, anche perché «tradurre» chiude, esaurito non solo il suo compito, ma il suo tempo.

Per cominciare, spolveriamo libri

CONVERSAZIONE CON NORMAN GOBETTI E PAOLA MAZZARELLI di Gianfranco Petrillo | Mi trovo davanti a due grandi professionisti della traduzione. Dal punto di vista professionale, solo in superficie si può dire che ciò che hanno in comune è la lingua da cui traducono, cioè “l’inglese”. In realtà, attraverso quella lingua, nella loro vastissima produzione esercitano in italiano la scrittura di una grande varietà di generi, dalla saggistica alla narrativa: più quella che questa per Paola, più questa che quella per Norman. E da una grande varietà di Englishes, di “inglesi”: dai classici ottocenteschi ai contemporanei abitatori e attraversatori del globo, dal linguaggio accademico al colloquiale più ardito, con registri vertiginosamente diversi.

Note su lingue, traduttori e interpreti nella Terza Internazionale

Note su lingue, traduttori e interpreti nella Terza Internazionale di Aldo Agosti | L’articolo di Emmanuel Jousse presentato in questo numero di «tradurre» solleva una serie di problemi e di interrogativi che possono essere in gran parte riproposti anche per la fase successiva della storia dell’internazionalismo “operaio” o “proletario”, in particolare per quello comunista nel periodo in cui esso si cristallizzò in una precisa e possente forma organizzativa, definita Terza Internazionale: una denominazione che sottolineava la filiazione e insieme la discontinuità dalle Internazionali precedenti, oggetto dell’analisi di Jousse, e che – sempre più spesso con il passare degli anni – lasciò il posto a quella di Internazionale comunista (Komintern negli acronimi russo e tedesco, Comintern in quello inglese, IC nelle sigle francese e italiana).

I traduttori dell’Internazionale

di Aldo Agosti (traduzione da Les traducteurs de l’Internationale di Emmanuel Jousse) | Il 21 agosto 1907, a Stoccarda, la commissione del congresso dell’Internazionale [socialista] incaricata di esaminare la questione del militarismo discute delle posizioni di Gustave Hervé. Il belga Emile Vandervelde cerca una mediazione ed esorta il congresso a prendere una decisione che non sia un segnale di pusillanimité socialiste, «pusillanimità socialista», suscitando l’obiezione del presidente tedesco che respinge l’espressione come una «traduzione francese». «E’ francese, e del miglior francese», replica Jaurès, suscitando l’ilarità dell’assemblea.

Le molte vite di una traduttrice

BIANCA UGO DALLA TRADUZIONE ALL’ARTE DIVINATORIA di Patrizia Caccia | Fra i tanti traduttori che, fra gli anni trenta e settanta del secolo scorso, hanno accompagnato l’ondata di importazioni di letteratura e cultura straniera in Italia, un posto particolare va riconosciuto a Bianca Ugo che, fin dal famigerato “decennio delle traduzioni”, ha prodotto apprezzabili versioni dal tedesco e dall’inglese.

Bianca (all’anagrafe Bianca Enrica Luisa Maria Teresa) Ugo nacque a Genova l’11 febbraio 1910 da Nice Castellani – un’appassionata apicultrice morta il 21 giugno 1974 – e da Ernesto, agente di cambio. Oltre a Bianca, gli Ugo ebbero Franco e Bruna, storica dell’arte.

 

Anna Vanzan, tra divulgazione e traduzione

di Giacomo Longhi | In Italia, fino a una ventina di anni fa, la letteratura persiana moderna e contemporanea era quasi inesistente, per quanto le incursioni nell’editoria generalista non fossero mancate. Basti pensare che la primissima traduzione in italiano di un autore persiano moderno, anche se condotta dall’inglese, era avvenuta per Feltrinelli, che nel 1960 aveva pubblicato La civetta cieca di Sadeq Hedayat (Hedayat 1960), mentre nel 1989 Sellerio aveva dato alle stampe una pionieristica antologia di scrittori persiani del Novecento, I minareti e il cielo, curata dall’iranista Filippo Bertotti (Bertotti 1989). Tali episodi, tuttavia, erano rimasti dei casi isolati e fino alla soglia degli anni Duemila le pubblicazioni si erano mantenute sporadiche, non raggiungendo la decina, e per lo più disperse presso editori piccoli e poco distribuiti (Longhi 2016).

Dante e la Russia: le traduzioni novecentesche della Divina commedia

di Giulia Baselica | Nel settimo centenario della morte di Dante il lettore russo dispone di ben quattro traduzioni integrali della Divina Commedia, tutte pubblicate nel Novecento: una in epoca sovietica – la celeberrima versione di Michail Lozinskij (1939-1945), insignita del premio Stalin nel 1946 – e tre negli anni novanta, immediatamente dopo la dissoluzione dell’Urss: quelle di Aleksandr Il’jušin (1995), di Vladimir Lemport (1997) e di Vladimir Marancman (1999). È dunque interessante osservare che alla canonica traduzione di Lozinskij seguono in rapidissima successione tre versioni, l’una dall’altra notevolmente diverse in termini di ricezione e di approccio traduttivo, due delle quali (quelle di Il’jušin e Marancman) concepite negli anni della perestrojka, epoca in cui la letteratura si liberava, finalmente, «dal monologismo in cui era imbrigliata» (Piccolo 2017, 10). Se in epoca sovietica Dante, così come Petrarca e Boccaccio, figurava fra i classici stranieri più diffusamente pubblicati e letti, appunto in traduzioni canoniche, gli anni compresi fra il 1985 e il 1991 favorirono, evidentemente, una inedita libertà ispirativa e progettuale, generando nuove, talvolta audaci, riletture e reinterpretazioni dei monumenti della letteratura universale. Gli esiti si collocano nel decennio – ormai comunemente definito «epoca di transizione» (Piccolo 2017, 9) – che si estende dalla dissoluzione dell’Urss (1991) all’inizio dell’era putiniana (1999).

La traduzione in situazioni di emergenza: crisi umanitarie, sanitarie, e catastrofi naturali

di Paola Brusasco | Le situazioni di crisi – che si tratti di fenomeni naturali o conseguenze di attività umane – sono caratterizzate da alcuni aspetti comuni: l’evento è inaspettato o smentisce le previsioni, costituisce una minaccia per la sicurezza, la salute, la vita o le infrastrutture, e richiede interventi rapidi per contenere gli effetti (Sellnow, Seeger 2013). Tali sconvolgimenti della normalità, seguiti di solito da una temporanea inadeguatezza delle reazioni e da una limitata possibilità organizzativa, provocano, oltre a vittime e danni materiali, anche traumi, angoscia e confusione. Un diverso tipo di crisi, meno improvviso ma altrettanto critico, è quello che si verifica in zone di conflitto o nei campi profughi, dove spesso vengono messi in atto interventi umanitari. In tutti questi frangenti, la comunicazione assume un’importanza vitale, sia per consentire un’efficace collaborazione fra squadre di soccorso o operatori umanitari – spesso internazionali –, forze dell’ordine, volontari, cittadini, sia per aiutare le persone colpite, alleviarne il dolore o organizzare azioni e strutture di sostegno. Nelle società contemporanee accade inoltre spesso che siano presenti comunità di origini e culture diverse i cui componenti non sempre padroneggiano la lingua locale. La comunicazione, urgente e necessaria, rischia pertanto di essere poco efficace o di non raggiungere una parte della popolazione, il che può determinare conseguenze importanti per tutti.

Quando l’errore è nell’originale

di Daniele A. Gewurz | Sugli “errori” di traduzione è stato già detto un bel po’, a partire dalla problematicità in sé del parlare di “errori”, anziché di interpretazioni, approcci diversi al testo e altre categorie più indulgenti. Un vero o presunto “errore” può a volte far sghignazzare o indignare i non addetti ai lavori, ma più spesso invita alla riflessione, a cercare di evitare il nostro prossimo “errore”. Quando però traduciamo, mentre siamo intenti a commettere nostri errori nuovi di zecca (e qui smetto di usare le virgolette: io e chiunque altro commettiamo errori a profusione, e possiamo parlarne senza pudore), ci capita in realtà anche di imbatterci in errori commessi dall’autore nel testo su cui stiamo lavorando. Perché c’è quell’errore, ammesso che sia tale? Che cosa ci dice? Come vogliamo, o dobbiamo, interagirci? Ecco a cosa mi hanno portato l’esperienza, il confronto con i colleghi e qualche riflessione in proposito.

Un imprenditore della cultura

LUIGI RUSCA E LE LETTERATURE STRANIERE di Stefano Bragato | Luigi Rusca (Milano 6 aprile 1894 – 9 agosto 1986) è un personaggio molto citato negli studi sull’editoria ma ancora poco studiato, al punto che persino le informazioni biografiche sul suo conto sono relativamente scarse. Conviene dunque richiamare fin da subito i principali punti della sua traiettoria (ringrazio Sara Lonati per avermi fornito i dati fondamentali sulla biografia di Rusca). Nato in una famiglia alto-borghese di imprenditori, studia al Liceo Parini di Milano – dove ha per compagni Piero e Carlo Emilio Gadda – e, dopo aver combattuto come ufficiale di complemento nella guerra del 1915-18, si laurea in lettere classiche all’Accademia scientifico-letteraria (poi Università Statale). Mentre inizia la sua attività al Touring Club Italiano come redattore capo del mensile «Le Vie d’Italia», collabora anche al quindicinale antifascista milanese «Il Caffé», assieme a Riccardo Bauer, Tommaso Gallarati Scotti, Ferruccio Parri, Piero Jahier, Giovanni Mira e Mario Borsa.

«Mi considererò un volgare sub-appaltatore»

GADDA E LA LETTERATURA DI LINGUA INGLESE di Carolina Rossi | Per una serie di motivazioni valutare gli esiti e le circostanze dell’attività traduttiva di Carlo Emilio Gadda richiede di confrontarsi con un campo d’indagine complesso e composito. La prima ha a che vedere con l’orizzonte entro cui si collocano le proposte di traduzione che Gadda riceve: tra gli anni trenta e cinquanta è coinvolto in diverse operazioni promosse da editori, critici e collaboratori editoriali che partecipano al suo progressivo riconoscimento nel circuito letterario e culturale del tempo e che, sulla base di strategie più o meno consapevoli, lo invitano a partecipare a numerose iniziative editoriali. Le traduzioni che Gadda accetta di realizzare interessano le letterature di lingua francese, tedesca, spagnola e inglese: lingue con cui ha un diverso grado di dimestichezza e che, in alcuni casi, non legge in originale, ricorrendo alle traduzioni francesi. La maggior parte di queste proposte rimane irrealizzata per l’insorgere di altri impegni, per circostanze esterne o per il venir meno dell’interesse dello scrittore. Solo due saranno i volumi effettivamente tradotti da Gadda: L’agente segreto di Joseph Conrad (Bompiani, 1953) e La verità sospetta di Juan Ruiz de Alarcón (ERI, 1957). Le collaborazioni ad antologie e i contributi pubblicati su rivista lo impegneranno invece con due traduzioni dal francese (di cui solo la prima è presente in Isella 1993, 1148-1150), due dallo spagnolo (v. Vela 1993; Benuzzi Billeter 2005), una dal tedesco (v. Checola 2014, 193) e una dall’inglese (Isella 1993, 1167-1169).

 «Le radici del pensiero moderno sono nel romanticismo tedesco e in Goethe»

SCIPIO SLATAPER E LA LETTERATURA TEDESCA di Lorenzo Tommasini | Scipio Slataper (Trieste, 14 luglio 1888 – Monte Calvario, 3 dicembre 1915) nasce a Trieste quando la città fa ancora parte dell’impero asburgico. A quell’epoca la situazione linguistica di questa zona presentava una sua complessità: nel centro città prevalevano gli italiani (che spesso usavano il dialetto), mentre nelle periferie erano maggioritari gli slavi, e in particolare gli sloveni. A ciò si aggiunga che l’amministrazione parlava tedesco e di discrete dimensioni appariva anche la componente germanofona. La situazione aveva portato, dalla seconda metà dell’Ottocento, ad animati scontri culturali tra le varie componenti e a un’accesa polemica nei confronti dell’amministrazione asburgica da parte del partito liberalnazionale che controllava il comune dal 1861 e che esprimeva gli interessi del ceto medio di cultura italiana. Slataper, nonostante la sua famiglia sia di cultura italiana, ha dunque occasione di entrare fin da giovane in contatto con la lingua e la letteratura tedesca a causa della condizione della sua città natale. I suoi genitori, di tendenze politiche liberalnazionali, decidono di iscriverlo al ginnasio comunale come fanno molti esponenti della borghesia triestina dell’epoca. Si tratta di una scuola di lingua italiana ma che nei suoi programmi prevede anche l’insegnamento del tedesco. Per questi due motivi acquisisce una prima basilare conoscenza della lingua tedesca.

«Il Convegno» e le letterature straniere

di Anna Antonello | L’ultima parte dell’introduzione all’antologia del «Convegno» (1920-1940), un progetto per lungo tempo perseguito da Enzo Ferrieri (1890-1969) ma mai realizzato, si intitola Noi e l’Europa e si apre con le seguenti parole: «Da quando nacque la Rivista e fino al suo ultimo numero, ritenemmo primo impegno quello di dare una realtà alla nostra ansiosa tensione verso l’Europa.» Nelle pagine che seguono il fondatore e direttore del mensile letterario elenca le (ri)scoperte internazionali più celebri e celebrate – a partire dall’eclettica triade Joyce, Kafka, Proust –, sottolineando la capacità dei suoi collaboratori, pur profondamente ancorati al mondo intellettuale milanese, di guardare oltre il confine nazionale, non tanto per motivi di affermazione e di prestigio, quanto per comunicare in «un linguaggio che nasceva dalla cultura e dalla vocazione europea».

«Il Convegno» e la letteratura irlandese

di Antonio Bibbò | La presenza di due tradizioni letterarie come quelle irlandese e scandinava in questo speciale sul «Convegno» mi è parsa fin da subito emblematica della varietà di interessi di Ferrieri e soci, così ben rappresentata nei circa vent’anni di esistenza della rivista, eppure caratterizzata da fiammate di entusiasmo, da stagioni dense, brevi e uniche, in cui una letteratura sembrava invadere le pagine della rivista in maniera quasi esclusiva per poi pressoché sparire negli anni successivi. Di certo è quello che è successo con la letteratura irlandese, che tiene a battesimo la creatura di Ferrieri (e Linati) e poi finisce per sparire, quasi del tutto, negli anni successivi.

«Il Convegno» e le letterature scandinave

di Sara Culeddu | Lo spazio che Enzo Ferrieri dedica alle letterature scandinave rivela quanto «Il Convegno» abbia assunto un ruolo di mediazione per le letterature scandinave che con tutta probabilità si è spinto anche oltre le intenzioni dello stesso Ferrieri. Nell’introduzione all’antologia de «Il Convegno» (Ferrieri 2020) si esprime il desiderio di creare una carta geografica della letteratura contemporanea, mappando lo spirito moderno europeo. In quest’ottica il progetto di Ferrieri realizza a mio avviso due cose: da un lato inserisce di fatto la Scandinavia in questa carta europea in un modo in cui ancora non era mai stato fatto in Italia; dall’altro è capace di coglierne proprio lo spirito moderno, con un’attenzione alla letteratura contemporanea che amplia la percezione di un Nord che, fino a quel momento, era stato prevalentemente ibseniano, strindberghiano e kierkegaardiano.

Il «Convegno» e la letteratura inglese

di Sara Sullam | Nel panorama delle riviste letterarie dell’entre deux guerres il nome del «Convegno» è associato, per le letterature di lingua inglese, a un nome sopra tutti: James Joyce. Come ricorda Ferrieri nell’introduzione all’antologia, «Il Convegno» ebbe il merito di essere il primo a far conoscere l’opera dell’irlandese in volontario esilio europeo al pubblico italiano: «Di James Joyce fummo, ritengo, i primi a occuparci in Italia.» (Ferrieri 2020, 44; per una trattazione esaustiva della presenza di Joyce sulla rivista si rimanda al libro di Antonio Bibbò (2021) e al suo contributo nel presente numero).

«Il Convegno» e la letteratura tedesca

di Anna Antonello | […] prima che si usasse dire “l’Europa letteraria”, l’universo, l’organizzazione del mondo e tutte quelle robe europeiste o universalistiche venute di moda dopo, [Il Convegno] è stato in sé e per sé al di sopra di tutte le mischie e al di sopra di tutti i paesi, perché non è che si è voluto dare le novità di oltreconfine, non c’è stato affatto lo snobismo che è un po’ venuto poi di moda di dire ah, noi siamo quelli che sappiamo chi sono gli islandesi e voi siete quelli che sanno chi sono gli ungheresi; in fondo c’è stato l’istinto di leggere quel che veniva, di leggere quel che c’era. (Mazzucchetti Lavinia 1965) 

Una vita col botto

di Laura Cangemi autrice di Jenny Jägerfeld, La mia vita dorata da re, Milano, Iperborea, 2021 (da Mitt storslagna liv, Stockholm, Rabén&Sjögren, 2019) | Chiunque affianchi alla traduzione lo scouting editoriale sa quanto è grande la soddisfazione che si prova vedendo accolta la propria proposta e, soprattutto, traducendo il libro di cui si è suggerito l’acquisto. Con La mia vita dorata da re è stato un colpo di fulmine: lette le prime cento pagine (meno di un terzo del totale), ho chiamato la direttrice editoriale di Iperborea e le ho detto che doveva comprare quel libro. Cristina Gerosa si è fidata e ha avviato le trattative con l’agente senza nemmeno avere in mano la mia scheda di lettura. Jenny Jägerfeld è un’autrice che seguo da anni e non vedevo l’ora che scrivesse un libro come questo

Quale lingua per tradurre Eliot

di Carmen Gallo autrice di T.S. Eliot, La terra devastata, Milano, Il Saggiatore, 2021 (da The Waste Land, 1922) | Tradurre un classico come The Waste Land di T.S. Eliot è stata una decisione maturata nell’arco di molti anni. Volevo tornare a mettere alla prova la nostra lingua per vedere se, accanto alle traduzioni precedenti, si potesse far emergere altro da un testo così complesso. In particolare, mi stava a cuore restituire la varietà dei registri linguistici del testo originale: lirico, colloquiale, letterario (da Dante a Hesse), biblico e omiletico, tra gli altri. Ho spesso notato nelle traduzioni verso l’italiano una certa tendenza ad aulicizzare la lingua del testo poetico, anche quando piano o quotidiano. Come se, nell’orizzonte di attesa di cosa ‘suoni’ poetico, persistesse un modello linguistico ancora legato a stilemi romantici o ottocenteschi. Questa lingua poetica attardata, che privilegia inversioni aggettivo-nome, un lessico volutamente obsoleto, una sintassi artatamente complessa, sembra non considerare modelli che nel Novecento hanno invece sperimentato un dettato poetico, sia alto che basso, efficace senza automatismi desueti

Evanescenze e ricostruzioni

di Federica Niola autrice di Jazmina Barrera, Quaderno dei fari, Roma, La Nuova Frontiera, 2021 (da Cuaderno de faros, Ciudad de México, Tierra Adentro, 2017) | I fari piacciono a tutti, dice Barrera, non sono una passione originale. Ma questa collezione di fari, cominciata durante una gita al Yaquina Head Lighthouse (Oregon, USA), mentre la scrittrice leggeva To the Lighthouse di Virginia Woolf, era destinata fin dall’inizio ad assumere le forme di un’ossessione votata all’accumulo: edifici, riproduzioni di fari, mappe, ma anche storie delle torri e dei loro guardiani, dell’illuminazione, e naturalmente esperienze di lettura. Il risultato, a distanza di anni, è questa specie di camera delle meraviglie dei fari, che riunisce e riordina la collezione di Jazmina Barrera in una sorta di diario di viaggio diviso per fari visitati. Sotto i nomi dei fari che scandiscono i capitoli si susseguono e si intrecciano esperienze di «gite ai fari» fisici e letterari, fari del passato, descrizioni delle lanterne e del loro funzionamento, storie di guardiani, reali o immaginati, e soprattutto riflessioni che l’accumulazione di oggetti e di parole ha suscitato.

Gioco di specchi

di Paola Cantatore autrice di Tom Schamp, Il più folle e divertente libro illustrato del mondo di Otto, Modena, Franco Cosimo Panini, 2018 (da Het grootste en leukste beeldwoordenboek ter wereld, Tielt, Lannoo, 2016) | Tom Schamp non ti racconta una storia, Tom Schamp ti trasporta in un mondo. Lo fa così come fa il tornado quando trascina Dorothy nel Mondo di Oz. Un bambino lo riconosce, il mondo da lui inventato: ci entra con naturalezza, ci si acquatta dentro e lo esplora di gusto. Perché Tom Schamp gioca con le cose e le parole come molti bambini fanno. Entrare nello sguardo dell’autore, condividerne la prospettiva, andarsene a spasso per le pagine con lui, è come fare un giro al luna park. Un giro bizzarro, allegro, a volte spiazzante. Le sue tavole sono composte di moltissimi elementi, che si aggrovigliano, dialogando continuamente tra loro e con il nostro bagaglio culturale. Leggerle significa andare a caccia di particolari e spesso, per seguirne uno, finisci per sbattere contro un altro perdendo la direzione. Poi, però, capisci che la direzione non è mai stata importante. Riuscire a rendere dall’olandese la freschezza dei ribaltamenti, dei giochi di parole originali e a trasmettere tutto il genuino divertimento della loro interazione con il disegno: è stata questa la principale sfida della traduzione.

Giocare con le parole

di Camilla Pieretti autrice di Michael Rosen, Il libro dei giochi. 101 modi per divertirti di più nella vita, Milano, Il Saggiatore, 2020 (da Michael Rosen’s Book of Play, London, WellcomeCollection, 2019) | Tradurre Il libro dei giochi di Michael Rosen è stata una delle esperienze più divertenti della mia vita, ma anche una delle più impegnative. Con il suo stile arguto e irriverente, ironico e insieme profondo, l’autore si “prende gioco” (letteralmente) di qualunque cosa per spiegarci come giocare serva a imparare a essere più flessibili, a convivere con i cambiamenti, a riscrivere le regole per organizzarle in strutture nuove… nella vita di tutti giorni come, ovviamente, nella lingua! Il testo, una via di mezzo tra un saggio sulla creatività e una guida al gioco per grandi e piccini, include un intero capitolo dedicato ai giochi di parole, ma Rosen coglie ogni occasione per sfruttare appieno il potenziale del linguaggio, stravolgendo e reinventando morfologia, sintassi, semantica, fonetica e punteggiatura. Traducendolo ho capito, una volta di più, che la lingua è qualcosa di plastico e mutevole, e che parole e frasi sono come mattoncini di Lego con cui giocare, scomponendoli e ricomponendoli. Non solo: ho imparato a guardarmi attorno con occhi diversi, cercando in ogni cosa uno spunto nuovo, una nuova prospettiva, reinterpretando ciò che vedo (e sento) in chiavi diverse e non soltanto in quella più ovvia.

La recensione / 1 – Diventa oggetto una vita passata a prendersi cura dei libri

di Susanna Basso | A proposito di: Renata Colorni, Il mestiere dell’ombra. Tradurre letteratura, Milano, Edizioni Henry Beyle, 2020, pp. 170, € 70,00 «Ogni libro di Vincenzo Campo – scrive Matteo Codignola – è un esperimento sul corpo stesso dell’editoria». E aggiunge: «se si immagina ogni titolo di Vincenzo come una risposta, diventa spesso divertente, e interessante, cercare di capire quale sia stata la domanda». Nella stessa sede, il Catalogo 2009/2019 delle Edizioni Henry Beyle (2019), Stefano Salis ne descrive così i libri: «Formato piccolo, sobrietà massima, tipografia austera ma non triste, cura delle minuzie (che sono il sale dell’editoria), delle carte, dei risvolti, delle piegature, attenzione massima ai dettagli: alla porosità tattile, al colpo d’occhio estetico, al gusto della lettura, raggiunto solo dopo che la cura formale ha tutto predisposto al momento finale: l’incontro con l’autore, con il testo». A sua volta il fotografo Ferdinando Scianna parla di “militanza estetica” a proposito delle proprie collaborazioni con le Edizioni Henry Beyle. E Lorenzo Viganò riconosce all’editore Campo «lo sforzo di avvicinarci il più possibile al libro come l’autore l’avrebbe voluto, facendone emergere l’anima».

La recensione / 2 – Ritratto di un poeta che traduce poeti

di Jacob Blakesley | A proposito di: Teresa Franco, La lingua del padrone: Giovanni Giudici traduttore dall’inglese, Soveria Mannelli (CZ), Rubbettino Editore, pp. 266, € 16,00

Si sbaglia chi scrive la storia della letteratura italiana senza analizzare la massiccia influenza delle traduzioni nell’arco dei secoli. Eppure, in Italia, ancora vige l’idea che la traduzione sia una prassi culturale marginale, nonostante la crescita e la fioritura dei Translation Studies. Ma cosa sarebbe stata, per esempio, la poesia italiana del Novecento senza le traduzioni che l’hanno in gran parte modellata? Fra i numerosi poeti-traduttori italiani del Novecento, Giovanni Giudici (1924-2011) è uno dei più innovativi, per tre motivi: la commistione (e la sinergia) fra la poesia propria e le traduzioni; la scelta di tradurre da lingue spesso inconsuete, e la sua profonda teorizzazione della traduzione. Però, nonostante la vasta gamma di opere tradotte da Giudici (almeno due dozzine), non esiste una monografia che le analizzi tutte. Questa lacuna critica si fa sentire, soprattutto quando le traduzioni di diversi altri poeti-traduttori contemporanei – da Montale e Ungaretti a Luzi e Sereni – hanno ricevuto moltissima attenzione.

La recensione / 3 – Un giurilinguista ante litteram

di Jean-Luc Egger | A proposito di: Alessandro Albano, Angelo Lanzellotti traduttore di costituzioni, Manduria (TA), Piero Lacaita Editore, 2020, pp. 154, € 15,00

Nella travagliata Europa dell’inizio Ottocento le idee di uguaglianza, libertà e giustizia sociale che avevano ispirato la Rivoluzione francese cercavano differenti vie per contrastare le risacche della restaurazione. Lasciati i campi di battaglia a vantaggio delle forze soverchie, occorreva certo impegnarsi nella lotta politica sfruttando i margini d’azione offerti dalle strutture istituzionali che si erano create, ma era pure necessario operare sul piano teorico e dottrinale per evitare che quanto a tale livello era stato raggiunto fosse dimenticato e, in definitiva, messo da parte. Uno dei vettori delle trasformazioni politiche del XIX secolo fu la nozione di Costituzione, e non è del resto un caso che in questo periodo l’Europa conobbe un gran numero di progetti costituzionali (si veda sul punto Jean-Louis Halpérin, Histoire des droits en Europe, Paris, Flammarion, 2020, pp. 110-118). 

La recensione / 4 – Un approccio quantitativo alla traduzione della poesia

di Paola Brusasco | A proposito di: Jacob S. D. Blakesley, A Sociological Approach to Poetry Translation: Modern European Poet-Translators, New York/London, Routledge, 2019, pp. 257, £ 29,59

Fotografia dei flussi di traduzione in lingua inglese, francese e italiana ad opera di poeti-traduttori dal 1900 a oggi, il bel volume di Blakesley è un articolato studio di taglio quantitativo che incrocia i dati raccolti per rilevare tendenze e verificare ipotesi sulla traduzione poetica. Partendo da un corpus di 495 poeti nati fra il 1840 e 1970 che hanno scritto in inglese, francese o italiano, l’analisi si concentra sui 260 (53%) che, presenti in antologie di qualità della propria tradizione linguistica, hanno anche tradotto almeno un volume, di qualsiasi genere letterario. Lo sguardo, ispirato alle posizioni di Franco Moretti, abbandona il tradizionale confronto fra testo fonte e testo d’arrivo e sceglie invece una lettura prospettica, lontana, in grado di cogliere i movimenti dei testi poetici da e verso culture diverse e di dedurne il valore nei termini, mutuati da Bourdieu, di capitale economico (denaro), sociale (relazioni), culturale (istruzione) e simbolico (prestigio).

La recensione / 5 – Il difficile rapporto di Sciascia con la Germania

di Mario Marchetti | A proposito di: Nel paese di Cunegonda. Leonardo Sciascia e le culture di lingua tedesca, a cura di Albertina Fontana e Ivan Pupo, Firenze, Olschki, 2019, pp. 256, € 29,00

Come sempre Olschki ci offre un bell’oggetto libro, elegante, dalla bella carta color avorio, con pagine che lo sguardo riesce ad abbracciare senza sforzo. Completato da una copertina in cartoncino ruvido sulla quale campeggia la riproduzione di una xilografia del multiforme Pino Di Silvestro dove fanno capolino gli occhiali a pince-nez del diavolo della manettiana Tentazione di Sant’Antonio, che illustrava la sovracopertina della prima edizione di Todo modo (Einaudi, 1974). Ringraziamo la casa editrice per il piacere fornito ai nostri occhi e l’associazione Amici di Leonardo Sciascia per aver promosso la pubblicazione di questo terzo volume della collana «Sciascia scrittore europeo» 

La recensione / 6 – La traduzione è politica

di Giulia Grimoldi | A proposito di: Laura Fontanella, Il corpo del testo. Elementi di traduzione transfemminista queer, Sesto San Giovanni, Asterisco, 2019, pp. 192, € 17,00

La traduzione è sempre un processo politico: questa è la tesi alla base del volume Il corpo del testo. Elementi di traduzione transfemminista queer di Laura Fontanella. La riflessione è più che mai attuale e scottante visto anche il recente dibattito sulle traduzioni europee di Amanda Gorman. Per citare un articolo di Paul B. Preciado, pubblicato su «Internazionale» l’1 aprile 2021 (nella traduzione di Andrea Sparacino, mentre l’articolo originale è stato pubblicato su «Libération» il 13 marzo 2021): «Niente permette di capire meglio la politica culturale di una nazione delle sue pratiche in materia di traduzione» (Rien ne permet de mieux comprendre la politique culturelle d’une nation que ses practiques en matière de traduction).

La recensione / 7 – L’impegno politico di un grande editore per la biblioteca pubblica

di Gianfranco Petrillo | A proposito di: Chiara Faggiolani, Come un ministro per la cultura. Giulio Einaudi e le biblioteche nel sistema del libro, Firenze, Firenze University Press, 2020, pp. 347, € 19,90

Alla vigilia della marcia su Roma, nel settembre del 1922, Luigi Einaudi plaudì sul «Corriere della sera» a un discorso pronunciato a Udine da Benito Mussolini. Sorvolando disinvoltamente sulla esplicita apologia della violenza squadrista che aveva stroncato sul nascere lo sciopero generale “legalitario” indetto dai sindacati rossi all’inizio di agosto, il grande economista apprezzava in quel discorso il revirement liberista del capo dei fascisti, il quale aveva tuonato: «Basta con lo Stato ferroviere, con lo Stato postino, con lo Stato assicuratore. Basta con lo Stato esercente a spese di tutti i contribuenti italiani ed aggravante le esauste finanze dello Stato». Come si sa – ma qui non ci interessa – in ben altra direzione sarebbe andata la concreta gestione del potere da parte del “duce”. 

La recensione / 8 – Un giocoso bignami di traduzione

di Roberta Sapino | A proposito di: The Illustrated Survival Guide. Translators, testi a cura di Giacomo Benelli, Ivan Canu e Benedetta Lelli, traduzione in inglese di Katherine Clifton, illustrazioni di Daniele Morganti, Mantova, Corraini, 2020, pp. 71, € 12,00

Una ben graziosa guida di sopravvivenza per aspiranti traduttori – editoriali, soprattutto – o professionisti alle primissime armi, che ne affianca altre due, simili, dedicate ai mestieri dell’illustratore, dell’editor e dell’editore (The Illustrators Survival Guide, 2019 e The Illustrated Survival Guide. Editors and Publishers, 2020), e che nasce dalla collaborazione tra Mimaster Illustrazione e la fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori. Per compilarla, gli autori/curatori hanno consultato una trentina di professionisti del rango di Gina Maneri, Leonardo Marcello Pignataro e Claudia Zonghetti: le loro parole hanno fornito i materiali per i vari capitoli, e di tanto in tanto sono citate in riquadri che propongono testimonianze dirette su casi concreti.

La recensione / 9 – I sommersi e i salvati, un libro «tedesco»

di Bruno Maida | A proposito di: Martina Mengoni, I sommersi e i salvati di Primo Levi. Storia di un libro (Francoforte 1959-Torino 1986), Macerata, Quodlibet, 2021, pp. 320, € 23,00

I sommersi e i salvati ha una data di nascita. È il 1959, quando Primo Levi, a un anno dall’uscita dell’edizione einaudiana di Se questo è un uomo, riceve le prime proposte di traduzione per il suo libro. Una di queste arriva dalle edizioni tedesche Fischer e Levi inizia uno scambio di lettere sia con l’editore sia con il traduttore, Heinz Riedt, una figura particolarmente interessante perché studioso di Goldoni e attivo durante la guerra nella Resistenza italiana. Da quell’incontro, prende l’avvio un dialogo epistolare che si allarga a molti lettori tedeschi della sua opera e che mette Levi «di fronte al desiderio irresistibile, assillante, certamente vitale, di essere letto dai cittadini di lingua tedesca, e di entrare in contatto con loro» (p. 9).

Le segnalazioni

di Anna Battaglia | A proposito di: Alberto Bramati, Le trappole del francese. Una grammatica per i traduttori dal francese all’italiano, Milano, Edizioni Libreria Cortina, 2019, pp. 423, € 29,00

Il testo affronta la traduzione (della lettera e non solo del senso) nella convinzione che solo l’analisi sintattica delle lingue coinvolte, possa produrre una traduzione corretta. I dizionari bilingui e le grammatiche contrastive sono in genere insoddisfacenti di fronte ai punti di conflitto che insorgono nella pratica traduttiva: l’opera vuole colmare questo vuoto. Il primo capitolo tratta de I quattro problemi del traduttore della lettera: problemi di tipo lessicale, grammaticale, retorico e melodico ritmico. Il secondo, Elementi di sintassi, illustra la terminologia che sarà usata, talvolta discordante con le abituali designazioni e categorie sintattiche. Gli otto capitoli che seguono esaminano otto tra i punti di conflitto più frequenti, secondo l’autore, nella traduzione dal francese all’italiano: il pronome clitico indefinito on; il pronome clitico en; il pronome relativo dont; il gruppo c’est; il vocabolo bien; il participe présent; la dislocation; la phrase clivée

La citazione – Anni e anni nei tormenti letterari ed espressivi

Con tutto che Elena [d’Amico, moglie di Antonio Giolitti] traduce con scrupolo e pulizia, mi pare le manchi di avere passato anni e anni nei tormenti letterari ed espressivi – sola condizione per affrontare un Proust con speranza di successo. Qui si tratta veramente di “mestiere”, di tour de main e di quell’indefinibile senso delle parole che si acquista solamente attraverso i molti e molti insuccessi ed esperimenti e contatti retorici di una vita “letterata”

Ad Antonio Giolitti, 24 febbraio 1947, citata in Luisa Mangoni, Pensare i libri. La casa editrice Einaudi dagli anni trenta agli anni sessanta, Torino, Bollati Boringhieri, 1999, p. 447

Reminiscenze e borbottii / 14

Reminiscenze e borbottii / 14 Il vecchio lettore | Dedicato con affetto all’amica carissima Angela Albanese. Un suo conterraneo, con ascendenze uguali alle sue, Giuseppe Gangale, amico e sodale di Piero Gobetti, circa un secolo fa, il 27 dicembre 1924, inorridito dalle nefandezze mussoliniane, denunciava sdegnato sul settimanale protestante da lui diretto, «Conscientia», «il dissidio che lacera l’epoca nostra tra fede religiosa, che vaga dispersa battendo, come rondine cieca, il capo dalle muraglie del tomismo alle muraglie cinesi d’Oriente, e pensiero filosofico che inaridisce in manganello [leggi: Gentile], o ombreggia la spaventosa tranquillità di Croce traducente, nell’incalzar della bufera presente, la favola de “lu cuntu de li cunti”». Una decina di giorni dopo Mussolini avrebbe dato l’annuncio ufficiale della stretta dittatoriale; qualche mese dopo, per fortuna, Croce si sarebbe in parte riscattato col Manifesto degli intellettuali.