La recensione / 4 – Un approccio quantitativo alla traduzione della poesia

di Paola Brusasco

A proposito di: Jacob S. D. Blakesley, A Sociological Approach to Poetry Translation: Modern European Poet-Translators, New York/London, Routledge, 2019, pp. 257, £ 29,59

Fotografia dei flussi di traduzione in lingua inglese, francese e italiana ad opera di poeti-traduttori dal 1900 a oggi, il bel volume di Blakesley è un articolato studio di taglio quantitativo che incrocia i dati raccolti per rilevare tendenze e verificare ipotesi sulla traduzione poetica. Partendo da un corpus di 495 poeti nati fra il 1840 e 1970 che hanno scritto in inglese, francese o italiano, l’analisi si concentra sui 260 (53%) che, presenti in antologie di qualità della propria tradizione linguistica, hanno anche tradotto almeno un volume, di qualsiasi genere letterario. Lo sguardo, ispirato alle posizioni di Franco Moretti, abbandona il tradizionale confronto fra testo fonte e testo d’arrivo e sceglie invece una lettura prospettica, lontana, in grado di cogliere i movimenti dei testi poetici da e verso culture diverse e di dedurne il valore nei termini, mutuati da Bourdieu, di capitale economico (denaro), sociale (relazioni), culturale (istruzione) e simbolico (prestigio).

Dopo un primo capitolo introduttivo che illustra la metodologia usata e le considerazioni alla base dei criteri adottati, il volume segue un percorso via via più specifico, fornendo una panoramica dei risultati emersi e concentrandosi poi sulle singole tradizioni linguistiche. Il secondo capitolo è quindi una rassegna di quanto emerge dal confronto dei dati, di cui è praticamente impossibile fornire una sintesi date la ricchezza e varietà. Alcuni però colpiscono: per esempio, il fatto che, pur essendo l’italiano la lingua meno rappresentata numericamente (101 poeti contro i 126 in inglese e 268 in francese), è quella in cui è presente la percentuale più alta di poeti-traduttori (72%, contro il 51% del francese e 39% dell’inglese), che non è la più produttiva in assoluto (8,4 volumi in media contro i 9 del francese), ma al suo interno si trova la percentuale più alta di poeti che hanno tradotto 20 o più volumi (15%). In ogni incrocio di dati i poeti-traduttori di lingua inglese presentano il valore più basso, il che conferma che anche nella poesia il sistema letterario egemonico traduce meno dei sistemi centrali (francese) o semi-centrali (italiano). Altri dati interessanti riguardano i generi letterari tradotti, da cui risulta, per esempio, che i francesi hanno tradotto più poesia, mentre gli italiani narrativa e teatro (genere in cui spiccano Quasimodo e Sanguineti); per quanto riguarda la versatilità linguistica, i poeti di lingua francese hanno tradotto da 41 lingue, quelli di lingua inglese da 30, e quelli di lingua italiana da 23, il che potrebbe riflettere, oltre a una maggiore apertura del mercato editoriale, la più radicata presenza di comunità immigrate da cui sono emersi poeti in grado di tradurre da lingue meno diffuse. Per la maggior parte dei poeti l’esordio è avvenuto con testi propri, dato che, con riferimento a questo corpus, smentisce la tesi che la traduzione sia usata come preludio alla scrittura. Le poetesse rappresentano solo l’11% del totale, ma, sottolinea Blakesley, inserire autrici non ufficialmente riconosciute come canoniche avrebbe falsato i dati; meno della metà delle 56 poetesse presenti nel corpus ha anche tradotto, ma fra queste le italiane spiccano per frequenza e volume delle traduzioni, superate solo dai poeti francesi. Numerosi grafici e tabelle illustrano altri dati, fra cui segnaliamo quelli relativi ai testi tradotti, che nell’ordine sono di lingua francese, tedesca e inglese, con l’italiano solo all’ottavo posto, mentre gli autori sono Shakespeare, Rilke e – con una certa improprietà di termini – la Bibbia.

I capitoli 3, 4 e 5 sono dedicati a ciascuna tradizione linguistica, di cui vengono esaminati mercati e politiche editoriali in tre periodi – 1900-1945, 1946-1989, 1990-oggi – volutamente ampi data l’esigua produzione di testi poetici in traduzione. Nelle loro specificità, anche questi dati contribuiscono a tratteggiare la temperie culturale e politica. Ne sono esempi l’appello, espressione di rammarico sul piano culturale e sdegno su quello economico, sottoscritto da un gruppo di parlamentari britannici in reazione alla decisione presa da Oxford University Press nel 1998 di interrompere la pubblicazione di poesia contemporanea, simbolico culmine di una tendenza che aveva caratterizzato mezzo secolo, portando la poesia dal sesto posto nella graduatoria dei generi più venduti in Gran Bretagna nel 1935 al ventunesimo nel 1981. Oggi, riferisce Blakesley, la poesia raramente compare nelle statistiche delle vendite. Per quanto riguarda l’Italia, dopo una sintesi degli sviluppi del XX secolo e dell’attuale divisione in gruppi editoriali, l’autore si sofferma sulle collane di Mondadori, Einaudi e Guanda. Il francese prevale, seppur di poco, per Einaudi, mentre l’inglese per Mondadori e anche per Guanda, che tuttavia mostra maggiore apertura verso i moderni e si è distinta negli anni per l’attenzione ad altre lingue e culture.

Il sesto capitolo si concentra su una figura particolarmente rappresentativa per ciascuna tradizione – Tony Harrison, Jacques Ancet e Maurizio Cucchi – scelta rispettivamente per l’affermazione in campo poetico e teatrale, per la copiosità delle traduzioni, e per la varietà dei ruoli assunti nel mondo letterario ed editoriale. Di Cucchi viene sottolineata la versatilità e la sfida posta dalla traduzione di testi lontani nel tempo, ma anche la convinzione che le traduzioni migliori diventino testi autonomi attraverso i quali approfondire la conoscenza del poeta-traduttore stesso.

A Sociological Approach to Poetry Translation, pur basato su un canone selettivo, è uno studio preciso e ben documentato, interessante per metodo e risultati. Le molteplici interrogazioni dei dati consentono a Blakesley non solo di delineare le dinamiche di uno specifico settore della produzione editoriale, ma anche di commentare l’evoluzione del panorama e delle politiche editoriali dei paesi presi in esame, di metterli in relazione fra loro e collocarli al contempo nel più ampio scenario culturale, economico e storico mondiale.