Giocare con le parole

di Camilla Pieretti

autrice di Michael Rosen, Il libro dei giochi. 101 modi per divertirti di più nella vita, Milano, Il Saggiatore, 2020 (da Michael Rosen’s Book of Play, London, WellcomeCollection, 2019)

 

Tradurre Il libro dei giochi di Michael Rosen è stata una delle esperienze più divertenti della mia vita, ma anche una delle più impegnative.

Con il suo stile arguto e irriverente, ironico e insieme profondo, l’autore si “prende gioco” (letteralmente) di qualunque cosa per spiegarci come giocare serva a imparare a essere più flessibili, a convivere con i cambiamenti, a riscrivere le regole per organizzarle in strutture nuove… nella vita di tutti giorni come, ovviamente, nella lingua!

Il testo, una via di mezzo tra un saggio sulla creatività e una guida al gioco per grandi e piccini, include un intero capitolo dedicato ai giochi di parole, ma Rosen coglie ogni occasione per sfruttare appieno il potenziale del linguaggio, stravolgendo e reinventando morfologia, sintassi, semantica, fonetica e punteggiatura. Traducendolo ho capito, una volta di più, che la lingua è qualcosa di plastico e mutevole, e che parole e frasi sono come mattoncini di Lego con cui giocare, scomponendoli e ricomponendoli. Non solo: ho imparato a guardarmi attorno con occhi diversi, cercando in ogni cosa uno spunto nuovo, una nuova prospettiva, reinterpretando ciò che vedo (e sento) in chiavi diverse e non soltanto in quella più ovvia.

Tra rime, limerick, assonanze, filastrocche, titoli storpiati e vocaboli inventati è stato come sottoporre il mio cervello a intense sessioni di allenamento, che lo lasciavano ogni sera spossato ma sempre più “in forma”. Con il passare delle settimane (e delle sfide linguistiche da affrontare), mi è sembrato che diventasse sempre più elastico, sempre più pronto a rispondere alle mille sollecitazioni a cui veniva sottoposto. In qualche caso, come per le citazioni di Carroll, ho potuto attingere al lavoro dei colleghi che mi avevano preceduto; in altri ho coinvolto amici e familiari, estendendo il gioco anche al di là della traduzione in sé: inventare “Titoli gatteschi” o “Titoli enologici” è stato uno dei tanti passatempi con cui distrarsi durante il primo lockdown, con risultati esilaranti quali I promessi pelosi, Fusa da Alcatraz, Il barolo rampante, Il cabernet inesistente e via dicendo. In questo caso più che di traduzione si è trattato di “transcreazione”, perché ho dovuto trovare delle alternative che funzionassero in italiano ma che non hanno nulla a che vedere con l’inglese. Altre volte ancora, ho dovuto fare ricorso a tutta la mia fantasia. Un esempio? Citerei il gioco di parole che forse più mi ha messo in difficoltà: The poet Roger McGough told me that he had once seen a sign outside a restaurant that listed ‘Today’s Special’, and written underneath it: ‘So’s every day’. Per giorni mi sono scervellata su possibili alternative a tema ristorantizio. Ho immaginato decine di menù, cartelli, insegne e lavagnette, ma mi venivano in mente solo soluzioni forzate, poco naturali. Poi mi sono detta: ma deve essere per forza un ristorante? La risposta, chiaramente, era no. Dovevo trovare una scritta in cui si può incappare passeggiando per strada e reinterpretarla in maniera non convenzionale, “giocandoci”. Ecco allora che nella mia testa ha cominciato a spuntare un piccolo mondo, una lunga via di casette colorate, popolata di ristoranti, bar, locali, e poi negozi di abbigliamento, cinema, librerie… Più ci pensavo, più la passeggiata del mio io interiore si faceva lunga e ricca di possibilità. Finché, alla fine, è comparso anche un parrucchiere e, con lui, una soluzione: «Un mio conoscente mi ha detto che un giorno ha visto un cartello fuori da un parrucchiere che diceva “Oggi permanente” e ci ha scritto sotto “Nulla lo è”».

È l’unica soluzione possibile? Certo che no. È la migliore che si potesse trovare? Forse nemmeno. Però trovo che rispetti lo spirito di fondo della battuta e che sia piuttosto efficace nel trasmettere il concetto cardine del libro di Rosen: tutto, attorno a noi, è gioco, basta solo imparare (o reimparare?) a vederlo!