A proposito di Le mani sporche di Angelo Morino
di Mario Marchetti
È proprio il caso di parafrasare il titolo di un celebre bolero sudamericano per introdurre brevemente il bel saggio di Angelo Morino Le mani sporche. Appunti sul tradurre letteratura. In realtà si tratta di una ripubblicazione: questo frutto di un pensiero libero, già apparso in una prima versione nel volume a cura di Giovanna Calabrò, Teoria, didattica e prassi della traduzione (Liguori, Napoli 2001), Morino lo ripresentò, rivisto, nel volume a cura di Roberto Carnero e Giuliano Ladolfi, Sentieri narrativi stranieri contemporanei (Interlinea Edizioni, Novara 2004). È questa seconda versione, «snellita e aggiornata, con qualche modifica non irrilevante» – come lui stesso avvertiva -, che abbiamo pensato meritasse la più ampia diffusione. Morino (1950-2007) ha studiato, scritto, insegnato e tradotto molte cose. Negli ultimi anni, a partire dal 1995 è stato docente di Lingue e letterature ispano-americane presso l’Università di Torino, ha tradotto più di cento romanzi (dallo spagnolo, ma non solo), ha scritto vari saggi che spaziano dalla letteratura ispano-americana (tra gli altri, su Onetti, Lispector, Carpentier, Lezama Lima, Vargas Llosa, García Márquez, Puig) ai cronisti del Nuovo Mondo, dalla letteratura mistica alla narrativa picaresca, da suor Juana Inés de la Cruz a Marguerite Duras, dal romanzo esotico dell’Ottocento al romanzo della selva. A lui deve moltissimo la conoscenza e la diffusione della letteratura sudamericana in Italia. Ma qui soprattutto ci interessa nella sue veste di traduttore (a cominciare da Vargas Llosa per arrivare, attraverso gli autori già citati, a Soriano, Bolaño e Jaime Bayly) e come maestro di tanti traduttori che operano oggi nel mare magnum delle letterature di lingua spagnola. Sulla sua figura la rivista intende tornare più in là con qualcosa di più sistematico nella cornice di una serie di rievocazioni dedicate a figure più o meno note di traduttori che hanno contribuito ad allargare i nostri orizzonti.
Ma, per tornare all’interrogativo di partenza, «dove stai traduzione?»: in realtà, ci dice Morino – col suo stile a spirale, a guizzi e a scarti come un bolero – essa è un oggetto sfuggente, difficilmente incasellabile e inquadrabile. Morino non ama particolarmente la «traduttologia», o per lo meno non pensa che possa essere di aiuto nella traduzione concreta, che è un corpo a corpo col testo, un corpo a corpo in cui ci si sporcano le mani (come insinuava, in modo ambivalente, Sartre per l’impegno politico… Les mains sales, appunto). Purezza e traduzione non possono stare insieme: la traduzione è meticciato, e il traduttore è un uomo di frontiera, un uomo che attraversa le frontiere. La traduzione è un lavoro artigianale (un lavoro bello, non fordista, che non ha orari, ovvero ha troppo orario) che non si può insegnare ex cathedra, che può venire trasmesso solo attraverso la bottega, lavorando fianco a fianco, insieme, ma occorre anche che il «garzone» sappia raccogliere l’esempio: deve avere letto molto, deve avere molto amato i libri e giocare con la lingua deve essere per lui un divertimento. Insomma, la traduzione, se vogliamo insegnarla, è un «suggerimento», un suggerimento che deve trovare un terreno fertile.