DALL’ITALIANO E NON SOLO
di Nevin Özkan
Sulla ricezione della lingua e della letteratura italiana in Turchia molto c’è da dire. Nel settore del commercio, anche in quello del commercio marittimo, come in quello bancario, si incontrano spesso parole italiane, un fenomeno che riguarda peraltro la lingua di molti paesi con cui l’Italia è entrata in contatto attraverso i secoli. Se si pensa alla letteratura, dopo la fondazione della Repubblica turca la traduzione in turco di opere classiche europee, incluse quelle italiane, è stata incoraggiata. In un primo momento vennero tradotte opere come la Divina Commedia, il Decameron, Il Principe di Machiavelli, il Giovanni Episcopo di D’Annunzio, il Fontamara di Silone, il Pinocchio di Collodi e il Cuore di De Amicis. Ma per queste traduzioni non sempre si è partiti dall’originale. Se la traduzione, ed era frequente, passava per l’inglese o il francese, lo si doveva alla mancanza di traduttori che fossero esperti conoscitori dell’italiano. Da allora la tradizione letteraria italiana è andata poi affermandosi come una delle più importanti del mondo, non meno di quella anglo-americana, francese, russa, tedesca, greco classica e latina (senza dimenticare quella araba e persiana). Una collana di classici potrebbe allora comprendere Dante come Machiavelli, Goldoni e Svevo, accanto a Dostoevskij, Balzac e Omero. Orhan Pamuk per il suo romanzo Yeni Hayat (Vita nuova) prese il titolo e qualche spunto narrativo da Dante. Forse anche scrittori come Calvino e Moravia hanno esercitato un influsso paragonabile. Il primo ha introdotto un tipo di letteratura fantastica che in Turchia ha esercitato un evidente influsso su molti scrittori, il secondo è stato un modello per chi ha voluto scrivere più liberamente delle relazioni tra i due sessi.
In una seconda fase è venuta meno l’influenza statale sull’editoria e si è formato un sistema editoriale paragonabile a quello europeo, nel quale erano le case editrici a scegliere i libri da tradurre e pubblicare. I traduttori, però, erano pagati una miseria, forse un decimo di quello che ricevevano i loro colleghi italiani. Inoltre, le case editrici preferivano sempre pubblicare i nuovi titoli in un numero limitato di tirature (tra 500 e 1500 copie). Anche se il libro aveva un certo successo e veniva esaurito rapidamente, non si procedeva nemmeno in quel caso alla sua ristampa, con un ulteriore danno economico per i traduttori, che non potevano contare sui diritti d’autore. Così si creava una situazione in cui i libri tradotti venivano resi di fatto inaccessibili, soprattutto al pubblico delle piccole città e, in virtù della loro ridotta tiratura, totalmente irreperibili subito dopo. Molte biblioteche pubbliche non disponevano di molte di queste traduzioni. Bisognerebbe aggiungere che questa situazione non riguardava soltanto le opere della letteratura italiana tradotte in turco.
I libri tradotti intorno agli anni novanta erano spesso di poche pagine: novelle o romanzi brevi, e non romanzi ottocenteschi o opere estese alla Wu Ming. È tuttavia da segnalare che dal 2000 le tirature sono aumentate, il pubblico legge di più e molte case editrici hanno preso la giusta decisione di pubblicare in traduzione anche libri più corposi, come Ka di Roberto Calasso e Il cimitero di Praga di Umberto Eco.
A questo punto va detto che, oggi, l’interesse del pubblico turco è rivolto a testi non in traduzione, ma a quelli di argomento storico e identitario. E ciò non si vede solo nella letteratura ma anche nel cinema. Negli ultimi dieci anni è nato un “cinema turco” che ha avuto e continua ad avere un enorme successo, serie a puntate che trovano mercato nei paesi balcanici e arabi. Fra i registi italiani gode di una certa fama Ferzan Ozpetek, che preferiamo chiamare più correttamente Özpetek, considerandolo anche “nostro”.
Con un rovesciamento di prospettiva, potremmo ora chiederci quali opere maggiori di autori italiani importanti non siano state ancora tradotte, o citare versioni così datate da renderne impossibile, per il lettore moderno, la lettura e perfino il reperimento. La risposta includerebbe Elsa Morante (molti suoi romanzi tranne L’isola di Arturo), Giorgio Bassani (Gli occhiali d’oro ed altri lavori), Gabriele D’Annunzio (Il notturno, Il libro segreto e altre opere), Giovanni Verga, Primo Levi (La chiave a stella e molti altri racconti), Pier Vittorio Tondelli (mai tradotto), Beppe Fenoglio (Il partigiano Johnny ed altre sue opere). A conferma di quanto resta ancora da fare.
La scarsa presenza dell’italiano in ambito accademico ci indica un ritardo anche nel campo della didattica: in Turchia l’insegnamento di lingua e letteratura italiana si vede in due università soltanto, ad Ankara (dal 1960) e ad Istanbul, in anni più recenti.
Da ultimo, va ricordato il ruolo degli Istituti italiani di cultura in Turchia e delle sedi universitarie dove si insegna lingua e cultura italiana. L’Istituto italiano di cultura di Ankara, che vantava 450 studenti; che era luogo di incontro privilegiato per molti appartenenti alla comunità turca e italiana, è stato chiuso nel 2014 per carenza di fondi, nonostante le nostre proteste contro una decisione ritenuta sbagliatissima, come ci dimostra il numero degli iscritti al momento di chiusura. A mio parere, l’economia non si salva cosi, chiudendo rappresentanze all’estero che lavorano con successo.
In Turchia, a partire dagli anni ottanta, sono stati istituiti dipartimenti di interpretariato e traduzione, i primi presso l’Università di Hacettepe e quella di Bilkent, nel 1982, all’interno delle Facoltà di Lettere. Attualmente sono 89 i programmi di interpretariato e traduzione attivati da varie università statali e private turche.
La globalizzazione e l’intensificarsi dei rapporti commerciali hanno fatto sì che l’interpretariato e la traduzione diventassero – non solo nel nostro paese ma nel mondo intero – settori di grande interesse per gli studenti.
I corsi di interpretariato e traduzione si tengono generalmente in turco e in tre lingue straniere: inglese, tedesco e francese. All’Università Okan di Istanbul le lingue di studio sono russo, cinese e arabo, mentre nelle Università Beykent e Aydin, sempre a Istanbul, si lavora solo con il russo. All’Università di Kırıkkale, invece, sono l’arabo e il persiano le lingue di riferimento per l’insegnamento dell’interpretariato e della traduzione.
Sbocco naturale per i giovani laureati sono il ministero degli Affari Esteri, il ministero per i Rapporti con il Parlamento europeo, il ministero della Cultura e del Turismo e il ministero della Pubblica istruzione.
Nella convinzione che una testimonianza diretta potesse essere di valore fondamentale per capire come si vive “da traduttore” in Turchia, abbiamo raccolto quella di Eren Cendey, che a Istanbul ha dedicato lunghi anni, trentasei per la precisione, alla traduzione degli autori italiani da lei più amati: tra i contemporanei, Daria Bignardi, Susanna Tamaro, Tiziano Terzani, Paolo Giordano e Cristina Caboni. Di questi autori, di una lingua tanto lontana dalla sua, ha tradotto tutte le opere. Per ognuno la difficoltà va misurata sulla base dell’uso che questi hanno fatto della lingua: per fare un esempio, il linguaggio di Umberto Eco è particolare e difficile. Ma conta molto anche la leggerezza o la pesantezza dell’argomento trattato. Del resto è lei a volte a suggerire alle case editrici – Can, Everest, Yapi ve Kredi Yayınları e Hep Kitap i nomi degli editori con cui ha lavorato fino ad oggi – i libri che trova potenzialmente interessanti per il lettore turco, quando invece non le viene chiesto di esprimere un parere sulle loro proposte. Rari i rifiuti, dall’una e dall’altra parte. Rimanendo ai rapporti con gli editori, è la lingua da cui si traduce ad avere un ruolo primario quando si parla di “condizioni offerte” ai traduttori. Conta molto anche l’esperienza del traduttore: le condizioni offerte a un traduttore esperto che lavora nel settore da anni sono diverse da quelle offerte a un suo collega nuovo del mestiere. Naturalmente tradurre da una lingua poco conosciuta, come è l’italiano in Turchia, offre dei vantaggi. Le condizioni di lavoro sono migliori; viene stipulato subito un contratto; i pagamenti vengono corrisposti senza grandi ritardi; molte case editrici accettano di scrivere sulla copertina il nome del traduttore, cosa non sempre facile da ottenere fino a tempi recentissimi. Si traduce prevalentemente da inglese, tedesco, francese e spagnolo, ma, negli ultimi anni, anche da portoghese, svedese, norvegese, persiano e greco. Due le associazioni di traduttori, Çevbir e Besam e nessun iter formativo per il traduttore editoriale. Tra i problemi da rilevare figura la traduzione non dal testo originale, ossia la traduzione indiretta, tramite una versione ponte in una lingua più nota, anche se è un fenomeno che va scomparendo. Per i libri di Coelho che in passato venivano prima tradotti dal francese, oggi c’è un traduttore turco che conosce bene il portoghese e che traduce dall’originale. Lo stesso vale per la letteratura giapponese che passava prima per l’inglese: oggi ci sono due bravi traduttori turchi che traducono direttamente dal giapponese. Da ultimo un giudizio del tutto negativo dell’intervistata sugli strumenti della traduzione automatica. Piuttosto, tradurre con disciplina, usando bene il tempo e possibilmente dedicandosi con amore al lavoro che si fa.