Il miglior fabbro
di Ezra Pound
Traducendomi, non cercare l’eleganza di espressioni letterarie. Non temere l’aspro. La lingua italiana può ben prendere qualcosa dal barbaro e dall’estraneo, senza divenire né barbara né estranea.
Non basta dire che la lingua inglese è più “breve” che l’italiana. Ogni traduzione dev’essere più breve dell’originale. Non fare complementi a cascate. Sono modi di condensazione propri dell’italiano. Naturalmente un forestiero non può condurre tale rinvigorimento della lingua: bisogna cercare qualche autoctono, che forzi la sua lingua nativa.
Ma si può cercare questa brevità, questo stile, non telegrafico bensì che appartiene all’epoca del telegrafo. […]
L’italiano è pieno di germogli di opportunità: questa durezza nuova ed efficace che voglio, non si fa di mozziconi, ma si fa di parole dure, martellate una contro l’altra.
Ezra Pound, Appunti I. Lettera al traduttore, in «L’indice», 12, a. I (ottobre 1930), traduzione italiano di Francesco Monotti [da un originale inedito oggi perduto], ora in Ezra Pound’s Poetry and Prose. Contributions to Periodicals in ten volumes, vol. V, 1928-1932, edited by Lea Baechler, A. Walton Litz and James Longenbach, Garland, New York, 1991, p. 328 (citato da Domenico Scarpa, Poeti, eroi e mascalzoni. Forster, Pound e il linguaggio italiano, in Giancarlo Alfano et al., Una d’arme, di lingua, d’altare, di memorie, di sangue, di cor, Palermo, :duepunti edizioni, 2013, p. 80).