La fille prodige della traduzione

GIOVANNA BEMPORAD DA OMERO A RILKE E RITORNO

di Flavia Di Battista

In una lunga intervista rilasciata nel 2008 Giovanna Bemporad ricorda con orgoglio i suoi esordi di traduttrice, frutto della «scoperta che un uomo maturo, com’era Carlo Izzo, ha fatto di una ragazzina quindicenne straordinaria, che traduceva tutti i grandi classici da tutte le lingue con una bravura da superare quella di tanti traduttori già famosi e conosciuti, tanto che si era sparsa la voce, si diceva, Traverso, Praz e Manacorda, eccetera: “Sì, ma quella li batte tutti”. Correva questa voce, no, che io ero più brava di tutti» (Bemporad 2011, 15). L’incontro con Izzo, che a quel tempo lavora sia come traduttore dall’inglese che come insegnante, avviene in un’aula scolastica e dà origine a un intenso rapporto maestro-discepola, di cui testimoniano le molte lettere che dopo la fine della supplenza a Bologna lui continua a spedirle da Venezia, dove risiede (le repliche di lei invece non sono conservate). Il principale interesse attorno al quale si fonda e si cementa il sodalizio è la traduzione: i due si inviano reciprocamente le proprie prove, incoraggiandosi e correggendosi a vicenda. Benché sia molto più avanti negli anni e più esperto di lei, Izzo mostra cieca fiducia nel parere della sua allieva e ne alimenta le speranze e i sogni di gloria: «quello che tu potrai fare domani, sarà un po’ anche opera mia e potrai fare cose memorabili, di quelle che gli uomini ricordano per millenni» (Izzo 2013, 27).

Lungi dal rimanere lettera morta, l’entusiasmo di Izzo si converte in un impegno concreto nell’introdurre Bemporad negli ambienti letterari; parla infatti di lei, di volta in volta con maggiore o minor successo, a Massimo Bontempelli, Aldo Camerino, Mario Praz e Leone Traverso («Procura di venire meno stracciata che sia possibile. Se non sarai del tutto impresentabile, potrei aver modo di presentarti a Massimo Bontempelli, che sa di te. E a Camerino e eventualmente ad altri», le raccomanda in una lettera del 26 novembre 1941 – Izzo 2013, 87). Seguendo questo esempio, la stessa Giovanna si fa avanti cercando contatti epistolari soprattutto con esperti di letteratura greca e tedesca come Manara Valgimigli, Vincenzo Errante e Giaime Pintor. I “mostri sacri” della traduzione vengono quasi idolatrati dall’adolescente, in un modo che pare riflettere un certo status raggiunto in quel giro di anni dalla figura del traduttore, proprio grazie all’iconicità del profilo che personaggi come Errante, Praz o Traverso hanno saputo costruirsi. Bemporad percepisce il lavoro di traduzione, in cui si sente particolarmente versata, come una via di accesso alla carriera letteraria più facilmente praticabile per una donna, funzionale al desiderio di farsi strada con opere proprie. Ma i suoi tentativi in questo senso vengono accolti con cautela persino da Izzo: «So che tu sei più che una promessa. Ma, non conoscendo i tuoi versi originali, voglio prima vedere se sono all’altezza delle traduzioni. Ove non lo siano: traduci e aspetta che il tuo mondo fantastico sia all’altezza delle tue possibilità espressive. D’accordo?» (Izzo 2013, 32).

Oltre che in virtù del suo talento, Bemporad ottiene i primi incarichi dagli editori perché è in grado di offrire tariffe più competitive rispetto ai personaggi che vuole emulare e con i quali sente di poter concorrere alla pari. È questo il caso della sua prima pubblicazione: nel 1941, dietro suggerimento di Traverso, l’editore fiorentino Enrico Bemporad – pura omonimia – la contatta per proporle di tradurre alcuni brani da Virgilio per un’antologia scolastica che lui, in quanto ebreo, è costretto a far uscire sotto l’insegna di un’altra casa editrice (cfr. Volpicelli 1942). Per le versioni dai poemi omerici da affiancare a quelle virgiliane, Enrico Bemporad cerca la collaborazione di Salvatore Quasimodo, tentando probabilmente di sfruttare il successo dei Lirici greci da lui tradotti, usciti l’anno prima; tuttavia le pretese economiche del poeta, di molto superiori a quelle della sedicenne Giovanna, faranno sì che infine anche le traduzioni da Iliade e Odissea vengano affidate a lei (Cecconi 2018, 22). Una simile dinamica si riproporrà circa cinque anni dopo per il coinvolgimento di Bemporad nel progetto delle Opere di Hofmannsthal, quando la sua partecipazione verrà suggerita, di nuovo da Traverso ma stavolta a Enrico Cederna, in luogo di quella di Tommaso Landolfi, certo più prestigiosa ma anche più onerosa per il bilancio dell’editore (Cederna 1946-1947).

Inoltre, il mito della liceale prodigio diventa quasi una curiosità tra gli addetti ai lavori, e li spinge a concederle incarichi di traduzione che però non sempre verranno portati a termine (sarà così con il Goethe prospettatole da Sansoni e con il Byron concordato con Garzanti). Molto sicura delle proprie capacità, Bemporad non esiterà a prendere di petto autori e testi considerati importanti e difficili, dagli esperimenti orientaleggianti del West-östlicher Divan goethiano (di fronte ai quali persino l’apprezzato Traverso arretrerà) fino al capolavoro della letteratura occidentale per eccellenza, l’Odissea. Un’impresa, quest’ultima, che a fine carriera le varrà, tra gli altri, il Premio nazionale per la traduzione, ulteriore riconoscimento da parte delle istituzioni culturali delle sue doti di traduttrice, mezzo secolo dopo le lodi di Izzo.

I poeti tedeschi negli Esercizi

L’esperienza poetica di Giovanna Bemporad è racchiusa in un unico libro, intitolato Esercizi, che ha conosciuto varie edizioni in momenti molto diversi della carriera dell’autrice. Sin dalla loro prima apparizione, nel 1948 a Venezia presso la piccolissima casa editrice Urbani e Pettenello, gli Esercizi si presentano come la raccolta di un’autrice colta, sul modello delle antologie di molti importanti poeti novecenteschi, in cui si trovano giustapposti testi originali e traduzioni da varie lingue (sanscrito, greco antico, francese e tedesco). A firmare la silloge è in realtà una ragazza poco più che ventenne, il cui ritratto campeggia sulla prima pagina.

Se riferito a Giovanna Bemporad e alla letteratura tedesca –  ma lo stesso discorso si potrebbe estendere alla francese e all’inglese – la definizione di “mediatrice” appare in certa misura impropria. Nella scelta dei testi da tradurre, infatti, Bemporad si rifà interamente a un canone già esistente, senza spingersi a formulare nuove proposte. In mancanza di contatti di prima mano con la cultura tedesca, la tradizione a cui si richiama è, per così dire, tutta italiana e coincide con quella dell’ermetismo, che negli anni della sua formazione è la corrente poetica egemone in Italia. A indicarlo non è solo la sua scelta di tradurre scrittori cari a quella stagione (per quanto riguarda il tedesco, Friedrich Hölderlin, Stefan George e Rainer Maria Rilke), ma anche il fatto che le versioni si rivelino in molti casi condotte sulla falsariga di quelle di Traverso.

Di George, ad esempio, negli Esercizi si trovano antologizzati due componimenti già tradotti e pubblicati da Traverso nella raccolta di Poesie di Stefan George (Guanda, 1939). A riprova di quanto e come le versioni di Bemporad interagiscano con il modello, si mettano a confronto le rispettive rese di Jahrestag:

O Schwester nimm den Krug aus grauem Thon –
Begleite mich! denn du vergassest nicht
Was wir in frommer Wiederholung pflegten.
Heut sind es sieben Sommer dass wirs hörten
Als wir am Brunnen schöpfend uns besprachen:
Uns starb am selben Tag der Bräutigam.
Wir wollen an der Quelle wo zwei Pappeln
Mit einer Fichte in den Wiesen stehn
Im Krug aus grauem Thone Wasser holen. (George 1930 [1895])

O sorella, togli la brocca grigia,
E accompagnami poi che tu non hai
Dimenticata la devota usanza.
Sono oggi sette estati che l’udimmo,
Quando al fonte attingendo ci parlammo:
Ci è morto il giorno stesso il fidanzato.
E ora vogliamo al fonte ove due pioppi
Coll’abete sul prato esili stanno
Attinger acqua dalla grigia brocca. (Traverso 1939, 47)

Sorella, accompagnami! e prendi la brocca
di argilla grigia, poiché non scordasti
ciò che in pia ricorrenza solevamo.
Sono oggi sette estati che lo udimmo
quando attingendo al fonte ci parlammo:
ci è morto il giorno stesso il fidanzato.
Vogliamo attingere acqua nella brocca
di argilla grigia, alla sorgente, dove
nei prati stanno un pino con due pioppi. (Bemporad 1948, 146)

Come si vede, i versi centrali sono riproposti da Bemporad praticamente invariati, fatta salva una relativa normalizzazione della sequenza al v. 5 («Quando al fonte attingendo ci parlammo» diventa «quando attingendo al fonte ci parlammo»). Attraverso questo e altri piccoli aggiustamenti Bemporad si discosta, nel momento stesso in cui lo cita, dal metodo traduttivo di Traverso, fortemente improntato all’inversione (Di Battista 2020, 169-175). La costruzione delle frasi risulta infatti più regolare anche nella resa degli altri versi, in particolare degli ultimi tre. Inoltre, nella traduzione di Krug aus grauem Thon (brocca di argilla grigia), ripetuto due volte nell’originale, Bemporad procede in senso contrario alla tendenza di Traverso a spogliare il testo di elementi ritenuti superflui (Di Battista 2020, 111): nella traduzione del 1939 l’indicazione del materiale di cui è fatta la brocca scompare, mentre viene preservata in quella del 1948. Questa dinamica a cavallo tra adesione e opposizione al modello è presente in maniera più sottile anche nella traduzione di Wir schreiten auf und ab im reichen Flitter…, tratto dal ciclo georghiano Das Jahr der Seele (L’anno dell’anima):

Wir schreiten auf und ab im reichen Flitter
Des Buchenganges beinah bis zum Tore
Und sehen außen in dem Feld vom Gitter
Den Mandelbaum zum zweitenmal im Flore.

Wir suchen nach den schattenfreien Bänken
dort wo uns niemals fremde Stimmen scheuchten
In Träumen unsre Arme sich verschränken
Wir laben uns am langen milden Leuchten

Wir fühlen dankbar wie zu leisem Brausen
Von Wipfeln strahlenspuren auf uns tropfen
Und blicken nur und horchen wenn in Pausen
Die reifen Früchte an den Boden klopfen. (George 1928 [1897])

Camminiamo nel vivo splendore
Dei faggi in riga sino al limitare.
Dai cancelli guardiamo alla campagna
Un’altra volta il mandorlo nel fiore.

Ai riposi il ricordo ci accompagna,
Che voce estranea mai venne a turbare:
E nei sogni s’allacciano le braccia
E il mite lume a lungo ci consola.

Grati su noi sentiamo qualche traccia
Gocciar di raggi i vertici frementi:
Volgiamo il capo nelle pause intenti
Quando un frutto maturo cade al suolo. (Traverso 1939, 59)

Noi su e giù tra il ricco similoro
dei faggi andiamo, quasi al limitare,
e il mandorlo nel campo oltre il cancello
vediamo una seconda volta in fiore.

Cerchiamo le panchine vuote d’ombra
dove mai non ci urtava voce estranea;
nei sogni a noi s’intrecciano le braccia,
ci consoliamo al lungo, mite raggio;

sentiamo grati che su noi, frusciando
stillano dalle cime scie di fuochi;
solo guardiamo e ascoltiamo, a intervalli,
battere i frutti maturi sul suolo. (Bemporad 1948, 145)

Sebbene Bemporad recuperi alcune soluzioni (per esempio, sul piano lessicale, l’ottocentesco «limitare» per Thore, letteralmente “porta”), è però chiaro il suo intento di mantenersi su un tono più sobrio e semplice rispetto alla ricercata e complessa versificazione di Traverso. Nella versione del 1939 si noti, oltre alla consueta involuzione della successione delle parole nella frase, la resa letterale della preposizione articolata im con effetto straniante per il lettore italiano («guardiamo […] un’altra volta il mandorlo nel fiore»), un espediente utilizzato volentieri da Traverso (Di Battista 2020, 128) che Bemporad dal canto suo rifiuta a vantaggio di una traduzione più adeguata alla norma linguistica del contesto d’arrivo («e il mandorlo […] vediamo una seconda volta in fiore»).

Altrettanti rilievi si potrebbero compiere analizzando Hälfte des Lebens (Metà della vita), un testo hölderliniano con cui si è cimentato più di un traduttore, nella prima metà del Novecento, da Errante a Contini fino allo stesso Traverso (cfr. Castellari 2005). La distanza da una certa maniera anni trenta appare ancor più radicale se si guarda a uno dei Sonette an Orpheus (Sonetti a Orfeo) di Rilke, il 26b, nella resa di Bemporad e di Pintor, di cui si dà qui solo un piccolo saggio:

Schreien den Zufall. In Zwischenräume
dieses, des Weltraums, (in welchem der heile
Vogelschrei eingeht, wie Menschen im Träume –)
treiben sie ihre, des Kreischens, Keile. (Rilke 1955 [1923], 768)

Gridano il caso. Nei vaghi interregni
di questo spazio del mondo (in cui puro
entra lo strido d’uccello, e s’insinua
l’uomo nel sogno) essi piantano acuto
il grido. […] (Pintor 1942, 53)

Gridano il caso. Negli ozi di questo
spazio del mondo (in cui penetra il puro
grido d’uccello, come uomini in sogni)
piantano un cuneo di strido tagliente. (Bemporad 1948, 151)

Nonostante il probabile prestito di alcune soluzioni lessicali («puro» per heil; «piantano» per treiben), la seconda versione è lontana dal deciso sperimentalismo e dalla libertà creativa della prima (si guardi solo a quel «s’insinua / l’uomo nel sogno» a fronte di un ben più letterale «come uomini in sogni»).

Al di là delle prese di distanza più o meno esplicite dal tradurre ermetico, più tardi ribadite anche in sede teorica (Bemporad 1986a, 5), le traduzioni di Bemporad esibiscono comunque già in queste prime prove un forte grado di intertestualità, in dialogo con la tradizione poetica italiana, così come avverrà in modo ancor più marcato, e maturo, con l’Odissea (Rodighiero 2015).

Si può certo ipotizzare che la giovane alle prime armi preferisse lavorare con accanto una versione già svolta anche solo per evitare di incorrere in errori di interpretazione, e a una simile cautela potrebbero essere ricondotti anche i criteri di semplicità e relativa aderenza al testo originale registrati nelle traduzioni contenute negli Esercizi. In effetti, le medesime versioni riviste per la pubblicazione all’interno della collana «Poesia» di Garzanti nel 1980, suggello della canonizzazione di Bemporad come poetessa, recano alcune varianti che indicano una maggiore disinvoltura nell’approccio al testo: in Noi su e giù tra il ricco similoro… tratto da George, rispetto alla resa del 1948 che abbiamo riportata sopra, il verso 6 si fa più marcato (si passa da «dove mai non ci urtava voce estranea» a «dove mai voce estranea ci turbava», peraltro con il recupero del verbo “turbare” utilizzato da Traverso); così anche l’ultima strofa presenta una costruzione della frase di complessità crescente (nel 1948 si aveva «sentiamo grati che su noi, frusciando, / stillano dalle cime scie di fuochi; / solo guardiamo e ascoltiamo, a intervalli, / battere i frutti maturi al suolo»; nel 1980 «grati, ad ogni fruscio sentiamo gocce / d’oro su noi stillare dalle cime; / con lieve soprassalto udiamo i frutti /maturi in terra battere a intervalli»).

L’ultima edizione della raccolta di Bemporad, pubblicata vivente l’autrice sotto il titolo Esercizi vecchi e nuovi (Sossella, 2011), ospita soltanto la sua produzione poetica originale, compresa quella più tarda, con l’espunzione di tutte le versioni da altre lingue. Questa scelta risponde alla volontà, espressa per bocca della curatrice, di presentare una «preziosa voce, che per essere meglio apprezzata necessitava dell’affrancamento dalle bellissime e ingombranti traduzioni» (Russi 2011, 115). Se dunque per l’esordiente Giovanna Bemporad tradurre i poeti allora più in voga doveva essere un mezzo per legittimarsi nel mondo dei letterati ricavandosi un proprio spazio in un terreno già battuto, in questa ultima tappa quello di traduttrice è invece interpretato come un ruolo che rischia di far schermo a quello più prestigioso di poetessa tout court, capace di espressione autonoma.

Le traduzioni in volume: Hofmannsthal, Goethe e Novalis

Oggi di Bemporad si ricordano soprattutto le versioni dalle lingue classiche, che segnano tanto l’esordio quanto l’epilogo della sua carriera. Nondimeno, la fase centrale della sua produzione edita è costituita in larga parte da traduzioni dal tedesco. Dopo l’eclettismo iniziale del lavoro con gli idiomi più disparati, Bemporad si è infatti attestata stabilmente su queste due aree, la greco-latina e la tedesca, anche qui con una riproposizione, conscia o meno, del profilo di Traverso, responsabile presso gli ermetici della «specula ellenico-germanica» (Macrì 1971, 15).

Come già accennato, nel secondo dopoguerra le viene affidata la traduzione del dramma Elektra di Hugo von Hofmannsthal, nell’ambito di una collezione di opere dello scrittore austriaco curata da Traverso. Non a caso si tratta della rielaborazione di un modello greco, sofocleo nello specifico, così come l’altro testo che si valuta di affidarle, Oedipus und die Sphinx (Edipo e la Sfinge, cfr. Traverso 1946), poi eliminato dalla selezione. Bemporad, che in quel periodo si trova in difficoltà economiche, accetta e porta a termine il lavoro, senza per questo sviluppare un particolare interesse per Hofmannsthal, del quale smetterà in seguito di occuparsi.

Più duratura e significativa è invece l’attenzione per Goethe. Già sulla rivista bolognese «Il Setaccio», nel 1942, è possibile reperire alcune esitanti versioni dal West-östlicher Divan, con ogni probabilità nate come prove di traduzione per la raccolta di scritti goethiani allora in preparazione presso Sansoni sotto la guida di Lavinia Mazzucchetti (ma la trasposizione del West-östlicher Divan fu infine opera di Raffaello Prati). Dopo alcuni anni di silenzio seguiti alla pubblicazione degli Esercizi, Bemporad avvia una collaborazione con la cattolica Morcelliana diretta da don Giuseppe De Luca. Ne risultano nel 1952 un volumetto di liriche scelte di Goethe, Trilogia della passione, e un più impegnativo Hymnen an die Nacht di Novalis. In entrambi, così come per lo Hofmannsthal, il momento critico di accompagnamento alle traduzioni è demandato a un’altra voce: a commentare il trittico di Goethe, Bemporad traspone in italiano un saggio di Charles Du Bos, rappresentante di spicco della cultura cattolica europea e importante mediatore di letteratura tedesca verso la Francia; dell’introduzione agli Inni alla notte si incarica il germanista Rodolfo Paoli, anche lui vicino agli ambienti fiorentini dell’ermetismo; l’Elettra, infine, uscirà nel 1956 seguita da una postfazione di Gabriella Bemporad, impegnata non solo come traduttrice ma anche come interprete di Hofmannsthal. Dal punto di vista formale, tutte queste traduzioni sono accomunate dall’uso massiccio dell’endecasillabo, cifra stilistica programmaticamente seguita da Bemporad lungo tutta la sua produzione (fanno naturalmente eccezione i componimenti degli Inni alla notte, in cui il verso breve dell’originale non autorizzerebbe l’uso dell’endecasillabo, e il dimetro giambico goethiano di Äolsharfen, reso con un novenario.

Il lavoro di più ampio respiro è senz’altro quello su Novalis, che si inserisce, anche stavolta, in una feconda tradizione di ricezione italiana, iniziata intorno al 1905 per opera di Giuseppe Prezzolini, il quale ne aveva presentato il côté mistico (De Lucia 2018). A quella marcatura si ispirava la prima traduzione degli inni novalisiani compiuta da Augusto Hermet nel 1912, e proprio dalle versioni di Hermet gemmano tanto quelle di Errante che quelle di Bemporad, come emerge chiaramente dalla giustapposizione anche solo di una manciata di versi tratti dal quarto inno:

Noch weckst du,
Muntres Licht,
Den Müden zur Arbeit –
Flößest fröliches Leben mir ein.
Aber du lockst mich
Von der Erinnerung
Moosigen Denkmal nicht.
Gern will ich
Die fleißigen Hände rühren
Überall umschauen
Wo du mich brauchst,
Rühmen deines Glanzes
Volle Pracht (Novalis 1960 [1800], 136)

Ancor desti,
luce allegra,
al lavoro lo stanco
e infondi a me vita gioconda.
Ma non mi alletti
fuor del muscoso
monumento del ricordo.
Ben io voglio
agitar le mani industri,
guardare attorno ovunque
di me ti giovi,
glorificar del tuo splendore,
la magnificenza piena,
indefesso perseguire
l’armonia bella
della tua arte,
[…] (Hermet 1912, 46)

Gioiosa Luce! E tu mi dèsti, ancóra,
stanco, al lavoro.
Un’ebbrezza di vivere m’infondi;
ma non riesci ad allettarmi via dal simulacro della Ricordanza
rivestito di musco.
Ben io vorrò muover le mani industri;
cercar, d’intorno, dove
l’opera mia ti giovi;
glorificar la tua magnificenza;
[…] (Errante 1942, 13)

Ancora tu risvegli,
o luce allegra,
lo stanco al lavoro – e in me stilli
vita gioconda –
ma tu non mi attiri
lontano dal monumento muscoso del ricordo.
Ben io voglio agitare
le mani operose,
cercare intorno, ovunque
di me bisogno tu avessi –
del tuo splendore
la magnificenza piena esaltare –
[…] (Bemporad 1952, 30)

Questo breve esempio è sufficiente a mostrare come, laddove la traduzione di Errante amplifica ed enfatizza il dettato proposto da Hermet, sullo stesso palinsesto Bemporad compie uno sforzo di normalizzazione e svecchiamento della lingua, che si fa più piana e più vicina all’italiano odierno. D’altra parte, che l’obiettivo di fondo fosse rendere «in italiano un testo più moderno e quindi più leggibile oggi» è stato poi confermato dalla traduttrice stessa (in Balistreri 2013, 43), con riferimento alla riedizione Garzanti degli Inni alla notte apparsa nel 1986 e ulteriormente modificata in direzione di una maggiore leggibilità. La porzione di testo sopracitata diventa infatti

Ancora tu risvegli,
allegra luce,
lo stanco al lavoro – mi infondi
vita gioiosa –
però non mi attiri
lontano dal monumento
muscoso del ricordo.
Lieto voglio agitare
le mani operose,
guardarmi intorno, dovunque
tu avrai bisogno di me –
esaltare la piena
magnificenza del tuo splendore – (Bemporad 1986, 23)

Il Novalis che a inizio secolo faceva il suo ingresso in Italia nel segno della mistica e dell’oscurità ha nel frattempo ultimato la trasformazione in “classico”, da restituire in maniera possibilmente chiara e in certa misura da storicizzare (l’edizione Garzanti è infatti dotata di un apparato storico-critico piuttosto corposo, firmato da Ferruccio Masini).

Da parte di Bemporad, la parentesi novalisiana verrà definita come un «pascola[re] in altri territori» prima di «torna[re] in patria, cioè, al mio Omero» (in Balestrieri 2013, 43). E bisogna in effetti constatare, in chiusura di questa rassegna, che su nessuna delle versioni dal tedesco c’è da parte sua un investimento sul piano artistico paragonabile a quello compiuto sull’Odissea. Lo si nota ogniqualvolta la traduttrice ragiona attorno al proprio mestiere (si vedano, ad esempio, Bemporad 1986a e Bemporad 2004): a essere chiamato in causa è sempre il poema omerico, o al massimo quello virgiliano, e mai i testi di area germanofona. E si deve forse a questa diversa intenzionalità il fatto che l’endecasillabo sia impiegato in maniera meno sistematica e inflessibile nelle traduzioni dal tedesco che in quelle dal greco e dal latino, nelle quali invece l’uso di quello specifico metro è teso a marcare un’appropriazione autoriale. Le incursioni di Bemporad nella poesia tedesca possono dunque essere benissimo definite, in tono minore, come “esercizi” poetici, prendendo a prestito il termine sotto cui è veicolata la sua opera originale.

Cronologia

Cronologia

1925 Il 16 novembre Giovanna Bemporad nasce a Ferrara, ultima di sei figli, in un contesto borghese (il padre è un avvocato di origine ebraica). È una ragazzina problematica: si rifiuta di mangiare e di dormire, passa le notti a leggere e a scrivere, si veste in maniera vistosamente trascurata e adotta comportamenti sopra le righe, come vagare per le strade di Bologna, dove la famiglia si è trasferita poco dopo la sua nascita, cantando e recitando versi ad alta voce.

1939-1941 È iscritta al liceo Galvani di Bologna, ma lo frequenta in maniera irregolare: l’indole protestataria e la salute logorata dallo stile di vita in cui si ostina la tengono lontana dalla scuola e spingono i genitori a farle trascorrere nel 1941 un breve periodo in sanatorio.

Carlo Izzo, suo insegnante nonché traduttore e mediatore di letteratura inglese e americana, le fa da mentore, cercando da un lato di convincerla ad adottare uno stile di vita più regolare e dall’altro di stimolarne la crescita intellettuale: «Mi si scrive che tu vai in giro per Bologna così male in arnese, che è inevitabile l’attenzione degli oziosi si soffermi su di te. […] Perché permettere all’originalità del tuo spirito di trapelare all’esterno in modo da renderti la favola della città? […] Tu stessa, del resto, dici di essere fuori del mondo: ebbene io ti dico, e te l’ho detto tante mai volte, rientraci, nel mondo, col corpo, libera di spaziare dove a te piaccia con lo spirito», le scrive il 1 luglio 1940 (Izzo 2013, 20).

Compone poesie che ruotano prevalentemente attorno al tema della morte. Traduce dal latino, dal greco, dall’inglese, dal tedesco; a Izzo invia stralci di versioni da Virgilio, Euripide, Shakespeare e Byron. È lui che ne fa circolare il nome nei circoli letterari, presentandola come fille prodige della traduzione, tra gli altri, a Massimo Bontempelli, Aldo Camerino, Mario Praz, Vincenzo Errante e Leone Traverso. Per intercessione di quest’ultimo, Giovanna ottiene un incarico della casa editrice Bemporad – con cui non ha alcun legame nonostante l’omonimia – per alcune versioni dal greco e dal latino da pubblicare in un’antologia scolastica curata dal pedagogista Luigi Volpicelli. Stringe una forte amicizia con la figlia dell’editore Enrico Bemporad, Gabriella.

Nel 1940 a Bologna conosce Pier Paolo Pasolini.

1942-1944 Conduce un’esistenza raminga: non vive più stabilmente coi genitori, sfollati a Fiesso Umbertiano, ma si sposta tra Bologna, Venezia e Firenze. Si dichiara atea, lesbica e antifascista.

Nel 1943 è a Casarsa da Pasolini, una prima volta in primavera e nuovamente in autunno, quando viene avviato il progetto di una piccola scuola dove i ragazzi del luogo possano studiare senza doversi recare fino a Pordenone o a Udine nel mezzo delle difficoltà della guerra. Bemporad vi insegna inglese e greco: «Giovanna è venuta qui solo perché c’era bisogno di un insegnante di greco; lei era l’unico dei miei amici che fosse così indipendente da poter venire. Ora la nostra scuoletta privata si è semisciolta, e lei se ne è tornata a casa. Ho passato con lei molti bei giorni poetici, e fatto belle discussioni, ma in compenso in quanti pasticci mi ha messo qui in paese» racconterà Pasolini a Luciano Serra il 26 gennaio 1944 (Pasolini 1976, 187-88).

Collabora anche a un altro progetto pasoliniano: quello della rivista «Il Setaccio», organo della Gioventù Italiana del Littorio di Bologna, sfruttato da Pasolini, che ne è redattore e primo ispiratore, e da altri giovani bolognesi come piattaforma per scrivere di letteratura, arte, cinema e politica. Giovanna vi pubblica una poesia (Più non sorga il domani), una traduzione da Euripide (Medea), quattro da Hölderlin (Heidelberg; La notte; Il mattino; Ritorno) e tre dal West-östlicher Divan di Goethe (Io ti ravviso; Notte di luna piena; Suleika; Ardore santo), accompagnate, queste ultime, da una breve nota critica. Si firma Giovanna Bembo, per aggirare le leggi razziali.

Il mito di Giovanna Bemporad come giovane traduttrice prodigio prende piede all’interno dei circoli letterari. Entra infatti in trattative per la pubblicazione delle sue versioni (da Novalis, Hölderlin, Euripide e altri) con vari editori, tra cui Sansoni, che considera l’idea di affidarle la traduzione integrale del West-östlicher Divan da inserire nella collezione dell’opera omnia di Goethe curata da Lavinia Mazzucchetti.

1946-1947 Fa base a Venezia, dove collabora con il quotidiano di ispirazione comunista «Il Mattino del popolo».

L’editore milanese Cederna, tramite la mediazione di Leone Traverso, le assegna, nell’ambito di una collezione di opere di Hugo von Hofmannsthal, la traduzione di Elektra, stampata da Vallecchi solo un decennio dopo.

1948 A Venezia vengono pubblicati, per la piccola casa editrice Urbani e Pettenello, gli Esercizi, in cui Bemporad raccoglie sue poesie originali accanto a traduzioni dal sanscrito (Atharvaveda), dal greco antico (Omero, Saffo), dal francese (Baudelaire, Verlaine, Rimbaud, Mallarmé, Valéry), dal tedesco (Hölderlin, George, Rilke).

1950-1952 Il classicista Paolo Vivante, conosciuto nel 1950, le presenta i genitori, Leone Vivante e Elena De Bosis, intellettuali proprietari di una villa nella campagna senese dove sono soliti ospitare gli amici letterati e presso cui anche Bemporad si recherà spesso in visita. Lì conosce Camillo Sbarbaro, cui la legherà un duraturo rapporto di amicizia (cfr. Sbarbaro 2004).

Nel 1952, nella collana «Fuochi» della casa editrice bresciana Morcelliana, diretta da don Giuseppe De Luca (uno dei principali coordinatori della cultura cattolica dell’epoca), pubblica le traduzioni Inni alla notte, da Novalis, e un volumetto contenente quattro liriche di Goethe – Trilogia della passione (Trilogie der Leidenschaft) e la poesia che nella Ausgabe letzter Hand segue direttamente questo trittico, Arpe eolie (Äolsharfen) – accompagnate da una versione dal francese di una conferenza di Charles Du Bos, L’ultimo amore di Goethe e l’Elegia di Marienbad.

1953-1956 Vive a Dimezzano, una frazione del comune di Greve in Chianti (Firenze), in condizioni economiche piuttosto precarie, sostenuta in parte dal mecenatismo degli amici.

Lavora intensamente a una traduzione dell’Odissea in endecasillabi, che nel 1955 per intercessione di Sbarbaro tenta di collocare presso Ricciardi.

Nel 1956 va in stampa la traduzione dell’Elettra di Hofmannsthal nella collana «Cederna» di Vallecchi.

1957-1960 Sposa Giulio Cesare Orlando, che avrebbe in seguito ricoperto numerosi incarichi istituzionali, come sottosegretario, ministro delle telecomunicazioni e senatore della Democrazia Cristiana. Giuseppe Ungaretti e Giuseppe De Luca sono testimoni di nozze. La coppia si stabilisce a Roma, prima in viale Tirreno, in un quartiere di recente costruzione, e poi, dal 1960, quando Orlando è nominato presidente dell’Irvam (Istituto per la ricerca del valore sui mercati agricoli) all’Eur. Al matrimonio segue un rallentamento dell’attività letteraria: «ho perso metà della mia vita a occuparmi di mio marito e della sua carriera, dimenticandomi della mia, della mia che non consideravo carriera, naturalmente, ma che però mi obbligava a coltivare rapporti sia coi letterati, sia con gli editori; e invece ho dovuto abbandonare tutto» (Bemporad 2011, 38).

1963 La Rapida, piccola casa editrice di Fermo, luogo d’origine del marito, pubblica sotto il titolo Poesie e traduzioni una selezione delle poesie di Bemporad e le traduzioni dei tre estratti dall’Odissea già apparse negli Esercizi.

1965 Le bolognesi Edizioni scolastiche Patron danno alle stampe l’antologia di poesia epica Gli eroi. Antologia dell’epica per la scuola media con le nuovissime traduzioni dai poemi classici di Giovanna Bemporad a cura di Sergio Stenti.

1968-1970 Per le edizioni della Rai, le Eri, vengono stampate nel giro di tre anni due edizioni pregiate della traduzione dell’Odissea, in tiratura limitata.

1980 Esce per Garzanti un’edizione ampliata di Esercizi e traduzioni, nella prestigiosa collana «Poesia», la stessa che ha in catalogo, oltre a Pasolini, molti dei più importanti poeti italiani del secondo Novecento (tra cui Attilio Bertolucci, Amelia Rosselli, Sandro Penna, Vittorio Sereni, Giorgio Caproni).

1981-89 Garzanti ristampa ripetutamente anche le sue versioni dell’Elettra di Hofmannsthal e degli Inni alla notte, cui vengono aggiunti i Canti spirituali, di Novalis.

Nel 1983 esce per Rusconi una selezione di brani tradotti dall’Eneide con un’introduzione di Luca Canali.

Continua a lavorare alla traduzione dell’Odissea, di cui tiene delle letture pubbliche.

Da poetessa e traduttrice piuttosto affermata, gode di buona presenza mediatica: oltre a rilasciare diverse interviste alla stampa, nel 1987 il documentario Le voci della scrittura, dedicato ai poeti italiani contemporanei e andato in onda su Raitre, la ritrae mentre recita un brano della traduzione dell’Odissea in riva al mare, e nel 1989 vince il contest televisivo Poeti in gara, ospitato all’interno della trasmissione televisiva RAI L’Aquilone, cui partecipano anche Valerio Magrelli, Amelia Rosselli, Edoardo Sanguineti, Maria Luisa Spaziani, Valentino Zeichen e altri.

1990 Dopo decenni di elaborazione, la versione dell’Odissea raggiunge una forma abbastanza stabile e viene pubblicata presso l’editore fiorentino Le Lettere, che in copertina annuncia «nella versione poetica di Giovanna Bemporad tutti i canti, per intero o a frammenti».

1992 Grazie alla traduzione dell’Odissea si aggiudica la quarta edizione del Premio nazionale per la Traduzione bandito dal ministero dei Beni culturali.

2013  Muore a Roma il 6 gennaio e viene sepolta a Fermo.

Bibliografia

Balestrieri 2013: Biagio Balestrieri, Ricordo di Giovanna Bemporad, in «Quaderni di arenaria», 3 (2013), pp. 40-44

Bemporad 1948: Giovanna Bemporad, Esercizi, Venezia, Urbani e Pettenello

– 1952: Novalis, Inni alla notte, introduzione di Rodolfo Paoli; traduzione di Giovanna Bemporad, Brescia, Morcelliana

– 1952a: Johann Wolfgang von Goethe, Trilogia della passione. L’ultimo amore di Goethe, L’Elegia di Marienbad, trad. it. di Giovanna Bemporad, Brescia, Morcelliana

– 1956: Hugo von Hofmannsthal, Elettra, trad. it. di Giovanna Bemporad, a cura di Leone Traverso, Firenze, Vallecchi

– 1986: Novalis, Inni alla notte e canti spirituali, introduzione di Ferruccio Masini, traduzione in versi di Giovanna Bemporad, Milano, Garzanti

– 1986a: Giovanna Bemporad, Il mio tradurre, in «Salvo imprevisti», 38-39, gennaio agosto 1986, pp. 4-5

– 2004: La traduzione dell’Odissea, in Franco Buffoni (a cura di), La traduzione del testo poetico, Milano, Marcos y Marcos, pp. 176-179

– 2011: Giovanna Bemporad, A una forma sorella. Intervista e videoritratto, Milano, Archivio Dedalus

Castellari 2005: Marco Castellari, Hölderlin in Italien. Übersetzer und Dichter zwischen Eifer und Wagnis, in «Studia Theodisca», XII, 2005, pp. 147-71

Cederna 1946-1947: Carteggio Leone Traverso – Enrico Cederna Editore, Apice, Archivio Cederna, serie 1, unità archivistica 137, fascicoli 1946 e 1947

Cecconi 2018: Giovanna Bemporad lettere all’editore, 1941-1943. Con sei lettere inedite di Salvatore Quasimodo, a cura di Andrea Cecconi, Firenze, Edizioni della Meridiana

Di Battista 2020: Flavia Di Battista, «Tradurre è come scrivere». Leone Traverso mediatore di Hugo von Hofmannsthal in Italia, tesi di dottorato, Università di Roma Tor Vergata, a.a. 2019/2020

Errante 1942: Novalis, Novalis, scelta di G[iovanni] A[ngelo] Alfero, versioni di G[giovanni] A[ngelo] Alfero e Vincenzo Errante, Milano, Garzanti

George 1928: Stefan George: Das Jahr der Seele. Gesamt-Ausgabe der Werke, Bd. 4, Berlin 1928, pp. 14-15.

– 1930: Stefan George, Die Bücher der Hirten- und Preisgedichte, der Sagen und Sänge und der hängenden Gärten. Gesamt-Ausgabe der Werke, Bd. 3, Berlin, p. 11

Izzo 2013: Carlo Izzo, Lettere a Giovanna Bemporad (1940-1943), Milano, Archivio Dedalus

Macrì 1971: Oreste Macrì, Leone Traverso e l’esperienza ermetica, in Studi in onore di Leone Traverso, a cura di Pino Paioni e Ursula Vogt, Urbino, Argalia, pp. 15-59

Novalis 1960: Novalis, Schriften. Das dichterische Werk, hrsg. von Paul Kluckhohn und Richard Samuel, Stuttgart, Kohlhammer

Pasolini 1976: Pier Paolo Pasolini, Lettere agli amici (1941-45) con un’appendice di scritti giovanili, a cura di Luciano Serra, Parma, Guanda

Pintor 1942: Rainer Maria Rilke, Poesie, trad. it. di Giaime Pintor, Torino, Einaudi

Rilke 1955: Rainer Maria Rilke, Gedichte. Sämtliche Werke. Bd. 1, Frankfurt am Main, Insel

Rodighiero 2015: Andrea Rodighiero, L’Odissea di Giovanna Bemporad, in «Un compito infinito». Testi classici e traduzioni d’autore nel Novecento italiano, a cura di Federico Condello e Andrea Rodighiero, Bologna, Bononia University Press, pp. 229-243

Russi 2011: Valentina Russi, Nota all’edizione, in Giovanna Bemporad, Esercizi vecchi e nuovi, Bologna, Sossella, pp. 115-116

Sbarbaro 2004: Camillo Sbarbaro, Cara Giovanna. Lettere di Camillo Sbarbaro a Giovanna Bemporad (1952-1964), Milano, Archivi del ’900

Traverso 1939: Stefan George, Poesie, a cura di Leone Traverso, Modena, Guanda

–  1946, Lettera a Enrico Cederna Editore 22 agosto 1946, Apice, Archivio Cederna, serie 1, unità archivistica 137, fascicolo 1946

Volpicelli 1942:  Antologia dell’epica per la scuola media, a cura di Luigi Volpicelli, Guido Mauro, Catanzaro