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Per una regia della traduzione

APPUNTI SU RITORNO A FASCARAY, DI ANNALENA MCAFEE

di Daniele Petruccioli | Partiamo dall’assunto che tradurre sia un lavoro, e un lavoro creativo. Mi rendo conto che si tratta di una questione controversa, su cui non esiste accordo né da un punto di vista pratico né teorico, né credo che vivrò abbastanza per vederlo. Se ancora dibattiamo sull’opportunità e sulla legittimità di un discorso creativo a proposito della traduzione; se nelle università italiane l’insegnamento della traduzione di testi creativi rientra ancora esclusivamente sotto l’ombrello dell’apprendimento linguistico; se la critica della traduzione, le rare volte in cui si affaccia a fare capolino su riviste e giornali più o meno specializzati, tende nella maggior parte dei casi a risolversi in un elenco che troppo spesso serve non al tentativo di descrivere un’interpretazione bensì a quello di determinare il maggiore o minor grado di errore; se è vero che non siamo d’accordo nemmeno sulla natura semiologica di questa pratica (figuriamoci sui suoi elementi, per dire, musicali…); se tutto questo è vero, non mi pare il caso di mascherarsi dietro un’introduzione fintamente assertiva che si ridurrebbe a una petizione di principio o peggio a una supplica. Vi chiedo di prenderlo come un assioma. Se lo condividete, non ho bisogno di invitarvi a seguirmi. Se non lo condividete, ma vi interessa vedere dove va a parare un ragionamento che parta da queste premesse, coltivo quanto meno la speranza di riuscire a toccare alcuni punti importanti anche per voi sul modo di pensare e praticare la traduzione.

Michail Bulgakov nell’Italia della contestazione

di Giulia Baselica

«Ed ora non chiedete ad uno come me, che non sa una parola di russo, di darvi un giudizio estetico su un’opera letta in traduzione e nemmeno posta in rapporto con le non poche altre opere dello stesso autore» (Montale 1967, 2855) scriveva Eugenio Montale nella recensione – apparsa il 9 aprile 1967 sul «Corriere della sera» – al romanzo Il Maestro (o maestro) e Margherita pubblicato contemporaneamente in due versioni italiane: l’una da Einaudi, con prefazione di Vittorio Strada e traduzione di Vera Dridso; l’altra da De Donato, nella traduzione di Maria Olsoufieva.