La recensione / 4 – L’«oggetto letterario» e i suoi diversi artefici

Alberto Cadioli, Le diverse pagine. Il testo letterario tra scrittore, editore, lettore, il Saggiatore, Milano 2012, pp. 309, € 22,00

Protagonisti nell’ombra. Bonchio Brega Ferrata Gallo Garboli Ginzburg Mauri Pocar Porzio, a cura di Gian Carlo Ferretti, Edizioni Unicopli – Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano 2012, pp. 254, € 15,00

di Gianfranco Petrillo

Era una «nottataccia d’inferno» o «d’inverno», quella in cui Pinocchio in preda alla fame va in cerca di cibo, all’inizio del sesto capitolo?
Ragazzi di vita è andato per le mani di migliaia di lettori, suscitando scalpore per la sgradevolezza della realtà ossessivamente esposta, in una versione molto edulcorata rispetto al testo originale, che aveva «spaventato» l’editore Garzanti.
«La sciatteria di Palazzeschi era tale – racconta Giovanni Falaschi – che i pezzi non potevano essere pubblicati senza prima essere corretti», soprattutto nella punteggiatura.
Bacchelli s’impuntava sugli spazi bianchi da lasciare fra il titolo dei capitoli e l’inizio del testo.
Le pretese di D’Annunzio in fatto di carta e di caratteri fecero versare sudore, sangue e quattrini (imprenditorialmente ben spesi) ad Arnoldo Mondadori.
«Il giardino di Francoforte [nell’edizione di Paolo il caldo di Vitaliano Brancati nel Meridiano Mondadori dedicato allo scrittore siciliano] – osserva Salvatore Silvano Nigro – è un bel barocchismo, che rende favoloso, e irraggiungibile da Catania, il giardino di Francofonte».
Leopardi – che era pignolissimo in fatto di punteggiatura, di caratteri tipografici, di impaginazione – si oppone all’idea dell’editore Stella di pubblicare le Operette morali in una sua collana di romanzi chiamata «Biblioteca amena ed istruttiva per le donne gentili»: «un libro di argomento profondo e tutto filosofico e metafisico, trovandosi in una “Biblioteca per Dame” – gli scrive seccato – non può che scadere infinitamente nell’opinione, la quale giudica sempre dai titoli più che dalla sostanza».

Non fosse che per la ricchezza e la gustosità delle decine e decine di esempi di questo tipo sciorinati praticamente a ogni pagina, il libro di Cadioli dovrebbe raggiungere una «comunità di lettori» ben più ampia di quella degli studiosi di storia del libro e dei critici letterari ai quali è evidentemente destinato. È, questo della «comunità di lettori» alla quale un libro (quale che sia il suo supporto, cartaceo o non: avvertiamo una volta per tutte) è destinato dall’autore e/o dall’editore, uno dei concetti chiave su cui si incardina l’importante richiamo alla materialità dell’«oggetto letterario» avanzato da Cadioli: qualcosa di più e di sostanzialmente diverso dal «segmento di mercato» che verrebbe subito in mente all’esperto di marketing. Dal momento in cui viene concepito a quello in cui giunge sotto gli occhi del lettore, un testo – letterario o non, ma qui Cadioli si occupa solo di testi letterari – passa attraverso tante fasi (e scelte) e tante mani da rendere spesso molto problematico stabilire quale fosse la volontà autentica dell’autore, lui stesso indotto a modifiche non solo dalle imposizioni degli editor(i) – come fu il caso di Pasolini – ma anche dalle sollecitazioni postegli dalla stessa lavorazione dell’oggetto libro. L’accettazione del testo in casa editrice attraverso la sensibilità dell’editore «iperlettore» (altro bel concetto di Cadioli) e i pareri di lettura; le modifiche richieste da subito all’autore; la scelta della collana; la scelta del titolo (lo sapevate che I ventitré giorni della città di Alba doveva chiamarsi Racconti barbari?); la revisione dell’editor; la correzione delle bozze; le eventuali illustrazioni; la copertina; il testo dei risvolti o della quarta di copertina (e io aggiungerei sommessamente le scelte del distributore): tutto concorre non solo al successo o all’insuccesso di un «oggetto letterario», ma alla interpretazione che se ne dà.

Non a caso un capitolo del libro, forse il più importante, è intitolato Ermeneutica dell’edizione: le descrizioni e riflessioni di Cadioli, sostenute da una robusta conoscenza della letteratura storico-critica in argomento, non solo italiana ma francese e anglosassone, non puntano soltanto a un ripensamento dell’ecdotica di fronte al libro moderno, in particolare dell’epoca in cui, da un paio di secoli a questa parte, si è affermata definitivamente la figura dell’editore, ma anche, e forse soprattutto, a un ripensamento della stessa critica letteraria.

Le diverse pagine costituisce un notevole passo avanti in quell’ambito di studi che cerca ancora una denominazione appropriata, tra storia del libro e storia dell’editoria, ampliandone l’orizzonte in sede filologica e critica. Da noi questa disciplina conta su due grandi maestri: Vittorio Spinazzola e Gian Carlo Ferretti. Non a caso Alberto Cadioli può dirsi allievo di entrambi: del primo, all’Università di Milano, dove ora insegna lui stesso Letteratura italiana contemporanea; del secondo, in quanto “ragazzo di bottega” neolaureato, tanti anni fa, nella redazione milanese degli Editori riuniti, di cui era a capo appunto Ferretti. È grazie a questi due maestri (e a Gabriele Turi) che da qualche anno viene sempre di più rivolta l’attenzione agli aspetti sociali, economici, imprenditoriali, tecnici della pubblicazione letteraria, con una fioritura di studi e di iniziative ai margini della quale si può annoverare anche questa rivista.

Alla fattura di un libro concorrono quindi più persone, per lo più ignote ai lettori. A questi Protagonisti nell’ombra la Fondazione Mondadori (poco o nulla, ormai, a che vedere con la casa editrice), che di questo tipo di studi può considerarsi il tempio, ha dedicato nell’ottobre del 2010 un seminario per festeggiare gli ottant’anni di Ferretti, che ne ha quindi curato gli atti. Si tratta, a esemplificazione di alcuni di questi mestieri nascosti, di una galleria di ritratti di professionisti del libro noti, quando lo sono, per motivi diversi dalla loro attività in ambito editoriale. Roberto Bonchio, raccontato qui da Stefano Guerriero, era il capo degli Editori Riuniti, colui che era riuscito a fare di un ente di partito, nato soprattutto per la propaganda e per la diffusione di testi canonici del marxismo(-leninismo, ahimè, almeno in una prima fase), una grande casa editrice di cultura. Gian Piero Brega, raccontato da Roberta Cesana, da direttore editoriale fu l’alter ego, riflessivo e sobrio, dell’avventuroso Gian Giacomo Feltrinelli, di cui condivideva gli ideali, non le analisi né le iniziative ideologico-politiche; coraggiosamente, salvò, insieme con Inge Schoenthal (e pochi altri ancor più nell’ombra), la casa editrice dal naufragio cui pareva destinata dopo la tragica morte del fondatore e titolare. Di Giansiro Ferrata, critico letterario e occasionalmente traduttore (è stato co-responsabile dell’italiano di Addio alle armi), Isotta Piazza mette in luce soprattutto il ruolo di consulente, lettore e direttore di collana presso la Mondadori del dopoguerra. Come lui, altri “letterati-editori” (la definizione è di Alberto Cadioli, che ad alcune di queste figure ha dedicato un suo libro) furono presso Mondadori sia Niccolò Gallo, qui ritratto da Virna Brigatti, sia Cesare Garboli, di cui si occupa Laura Desideri, l’uno e l’altro impegnati anche su altri fronti, sia come redattori di riviste che come consulenti e direttori di collana di altre case editrici.

Natalia Ginzburg è ben nota come scrittrice; meno nota è la sua intensa attività, fin dagli anni quaranta, come redattrice prima e consulente poi della Einaudi, di cui il primo marito, il martire antifascista (e grande traduttore dal russo) Leone Ginzburg, era stato uno dei fondatori. Ne parla, nel libro curato da Ferretti, Giulia Iannuzzi, che non dimentica l’apporto – che si può ben definire storico – dato dalla Ginzburg alla prima traduzione della Recherche proustiana. A completare la galleria dei letterati-editori pensa Marco Fumagalli ritraendo Domenico Porzio.

Con Luciano Mauri Vittore Armanni ci guida in un territorio finora ancor meno esplorato e, direi, quasi snobbato – se si eccettua qualche eccezione, come il Mondadori di Enrico Decleva – dagli studi sul libro: quello propriamente imprenditoriale. E si tratta, in prima battuta, dell’impresa economica svolta in un settore, quello della distribuzione, di cui è ignoto ai più il peso decisivo nella fortuna e nella sfortuna dei libri e delle stesse case editrici. Mauri è stato infatti, in quanto erede del cofondatore – suo padre Umberto, a sua volta cognato e primo direttore amministrativo di Valentino Bompiani (dopo esserlo stato di Arnoldo Mondadori – a capo delle Messaggerie Italiane, la più grande casa di distribuzione libraria italiana, e da lì, coi fratelli Fabio e Achille, è partito – avvalendosi della grande esperienza, in qualità di socio, di Mario Spagnol (altro grande “protagonista nell’ombra”) – per la creazione del grande GEMS (Gruppo Editoriale Mauri Spagnol) in cui è riuscito ad aggregare vari marchi editoriali gloriosi con i loro cataloghi.

In questa sede il nostro interesse è però attirato dal nome di Ervino Pocar, uno dei più grandi germanisti nostrani del Novecento, traduttore di migliaia e migliaia di pagine essenziali alla nostra cultura, del quale è qui esaurientemente ricostruita da Anna Antonello la sua attività professionale “nascosta”, ma in realtà prevalente, in qualità di funzionario della Mondadori, per una trentina d’anni responsabile della produzione “materiale” dei libri, compito assorbente e delicatissimo, che gli permetteva di dedicarsi alle sue amate traduzioni soltanto nel tempo cosiddetto libero. Si resta esterrefatti davanti alla capacità di lavoro di Pocar, per di più a tali livelli di qualità.

Né in un libro né nell’altro ci si occupa di traduzioni e traduttori, se non tangenzialmente e di sfuggita. Non solo: l’attenzione è concentrata pressoché esclusivamente sulla produzione “letteraria”, cioè, in pratica sulla narrativa e en passant sulla poesia italiane (un accenno a Rimbaud e uno alla ormai arcinota vicenda dei racconti di Carver sono gli unici sconfinamenti, e solo da parte di Cadioli), trascurando pressoché completamente la saggistica e la varia. È, per ora, uno dei limiti, in Italia, di questo tipo di studi. Ma la strada è aperta. Con la speranza che, nell’ombra, contro libri così delicati non si perpetrino ancora piccoli misfatti come i refusi che macchiano, insidiosi soprattutto nell’indice dei nomi, il libro di Cadioli. E che, dall’ombra, possano uscire i nomi degli autori e delle autrici delle traduzioni dei saggi stranieri citate in questi libri, anche testualmente, con la sola menzione dell’editore.