di Bruno Osimo
[Il 13 novembre 2012 nella lista Qwerty (groups.google.com), che raccoglie alcuni traduttori italiani, un messaggio di commento all’articolo di Giulia Baselica su Paolo Nori («tradurre» n. 3, autunno 2012) ha dato origine a un dibattito sul fatto se sia possibile un approccio scientifico alla traduzione. «tradurre» mi ha invitato a esporre le mie idee in un articolo, nella speranza che il dibattito si allargasse su basi documentate. Dato che l’argomento potrebbe dare adito a volumi su volumi, preciso fin d’ora che, dovendo stare in un articolo, toccherò solo fugacemente gli argomenti. Per approfondire singoli aspetti, eventualmente è possibile leggere altri miei articoli reperibili in internet.]
1. Metodo scientifico
Per “metodo scientifico” s’intende una serie di accorgimenti per far sì che un dibattito possa procedere con chiarezza senza che, a causa di malintesi su ciò che si è detto, due persone possano:
1) dire la stessa cosa pensando di dire due cose diverse;
2) dire due cose diverse pensando di dire la stessa cosa;
entrambi fenomeni che si verificano piuttosto spesso quando si parla. A tale scopo, fondamentale è la questione della terminologia. Quotidianamente usiamo parole polisemiche, invece nel discorso scientifico è obbligatorio il ricorso a termini monosemici. All’interno di ciascuna disciplina, non si è liberi di usare le parole polisemiche della nostra vita privata: occorre stabilire una terminologia settoriale stabile e condivisa (alla quale è preposto l’Iso), poi eventualmente recepita – e tradotta – dagli enti normativi dei singoli paesi (in Italia l’Uni) e poi attenersi a quella. Altrimenti succede quanto descrive Torop (2010, 5):
La scienza della traduzione, essendo interdisciplinare e relativamente giovane, si trova in una fase di sinonimia disciplinare, dal momento che i diversi lavori sono simili o si differenziano unicamente per quanto riguarda il metalinguaggio impiegato, al punto che in taluni casi si tratta di compilazione e di plagio.
Questo fenomeno del “procedere ognuno per conto proprio” nella disciplina che studia la traduzione ha segnato in modo significativo le relazioni culturali tra Europa dell’est e Occidente. Mentre nell’est europeo si sono fatti significativi passi avanti soprattutto dal 1959 a oggi, traduttori e traduttologi italiani ed europei occidentali li hanno perlopiù ignorati, come ho cercato di mostrare in un articolo (Osimo 2011). Dal 2007 ho approntato l’edizione italiana di alcuni capisaldi di quel filone (Popovič, Lûdskanov e Torop) che così sono usciti in italiano dopo venti, trenta, cinquant’anni dopo dalla loro comparsa in altre lingue. Questo forse dà la misura del gap culturale, causato probabilmente anche dalla confusione basilare da parte di alcuni traduttori e traduttologi tra approccio scientifico allo studio della traduzione e approccio scientifico alla traduzione come pratica (estraneo, quest’ultimo, a tutte le ricerche citate).
2. Scienze umane e scienze esatte
Una divisione di carattere prettamente culturale e non politico in senso stretto è causata dalla scelta di collocare gli studi sulla traduzione nell’area letteraria o nell’area scientifica. O meglio, dalla presunzione – occidentale – che esista un’area “letteraria” al di fuori di quella “scientifica”. In altri paesi il rigore scientifico è d’obbligo a prescindere da quale sia l’oggetto del discorso. Nei paesi slavi esiste per esempio la disciplina della teoria della comunicazione verbale, che studia il testo a prescindere che sia letterario o no. Da noi si fanno ubique distinzioni tra testi “letterari” e “non letterari”, ma sono discussioni di scarso peso scientifico poiché nessuno si prende la briga di definire «letterario» e «letteratura». Qualcuno ha proposto di identificare «letteratura» con la parola inglese fiction, e quindi di considerare letterario tutto ciò che è finzionale. Però non sempre funziona. Se questo è un uomo è comunemente considerato “letteratura”, ma non è fiction. Allora cos’è «letteratura»? È quella che i popoli slavi chiamano «letteratura artistica»? In espressioni come «letteratura medica», «letteratura» significa più o meno «bibliografia» («libri e scritti pubblicati su un determinato argomento»). Che conclusioni dobbiamo trarne? La confusione estrema ha forti ripercussioni sullo studio della traduzione, visto che vi è chi pretenderebbe di distinguere la disciplina che studia quella “letteraria” da quella che studia la traduzione “tecnica”. Il bulgaro Lûdskanov (1967, 61) scrive:
i primi passi dei fautori della concezione linguistica della traduzione hanno incontrato una forte resistenza da parte degli esponenti della concezione teorico-letteraria (soprattutto dei traduttori stessi). Questi contestavano la natura linguistica del processo traduttivo che, secondo loro, avrebbe carattere puramente letterario (o quasi).
Ma da questa citazione si capisce che, al di là della traduzione dal bulgaro in italiano, per capire cosa dice Lûdskanov è necessaria una traduzione cronotopica, culturale: quella che Lûdskanov chiama «concezione linguistica» è proprio quella che da noi si potrebbe chiamare «antilinguistica»: ossia svincolata dalla linguistica lessicale per spaziare nella problematica più ampia dell’interculturalità. Invece per Lûdskanov «linguistica» vuole dire «scientifica», ossia semiotica, e si contrappone alla concezione che (anche in Italia) vuole la traduttologia come branca delle letterature comparate, intesa come disciplina non “scientifica” ma “letteraria”. Affermare che per la traduzione letteraria occorre un approccio letterario sarebbe come dire che per la traduzione di un testo di zoologia occorre un approccio zoologico:
Si pensi al punto di vista molto diffuso e in sé giusto secondo cui il traduttore di testi scientifici (per esempio di un trattato di chimica organica o di zoologia) deve avere conoscenze nei rispettivi àmbiti scientifici. Queste conoscenze però sono necessarie unicamente alla realizzazione dell’analisi extralinguistica. Questo incontestabile fatto ci permette forse di affermare che la traduzione di testi scientifici di questo tipo è di natura chimica o zoologica e richiede un approccio chimico o zoologico? (Lûdskanov 1967: 62-63).
Più in generale, si può dire che alcuni studiosi “occidentali” della traduzione usano abbastanza a cuor leggero parole di cui non è chiaro il significato, come gli aggettivi «equivalente», «libero», «fedele» e simili. A tale proposito i russi Revzin e Rozencvejg già nel 1964 rilevavano:
Nella teoria della traduzione da tempo si osservano concetti come traduzione “letterale”, “adeguata”, “libera” e così via. Questi concetti non sono costruiti in base a un unico criterio: da una parte, significano fenomeni linguistici (corrispondenza o non corrispondenza di questo o quell’elemento della lingua emittente con l’elemento della lingua ricevente), dall’altra fenomeni artistico-estetici: la corrispondenza o la non corrispondenza di un’immagine, di peculiarità di genere o individuali e così via. Nell’edificazione di una teoria scientifica che si ponga come obbiettivo la descrizione costruttiva del processo, questi concetti vanno sostituiti con altri più precisi (Revzin e Rozencvejg 1964, 121).
Lasciare che gli studiosi parlino senza definire con precisione cosa intendono significa lasciare che il dibattito non abbia possibilità di evoluzione, perché le posizioni contrapposte possono divenire concordi o quelle affini discordi a seconda di come si decide di interpretare questa o quella parola. Qualcosa che possiamo senz’altro imparare dalla scuola “europeo-orientale” è usare termini settoriali e non parole generiche per evitare che il dibattito si accartocci su sé stesso, come avviene spesso in Italia.
3. Terminologia (e superamento del concetto di «equivalenza»)
Parlando di traduzione, si sentono spesso le parole equivalent, free, adequate, acceptable, faithful, close, far, literal (equivalente, libero, adeguato, accettabile, fedele, vicino, lontano, letterale) in tutte le varianti linguistiche. Si tratta di un ostacolo importante all’efficacia del dibattito, poiché queste sono parole generiche impiegate dai ricercatori che vi attribuiscono significati molto diversi tra loro. Non sono termini, ossia entità definibili scientificamente con i quali si mostra che l’intera comunità intende la stessa cosa in modo ripetibile.
Per quanto riguarda parole come equivalent, free, adequate, acceptable, faithful, close, far, in una prospettiva terminologica il punto di crisi sta nella costruzione di significati per opposizione (il criterio dei “contrari” è davvero poco scientifico, tenendo conto dell’anisomorfismo dei codici naturali). Adaptation può avere senso solo se lo si contrappone a translation (anche se risulta impossibile tracciare il confine preciso tra i due), faithful solo se si contrappone a free, ma ogni volta si tratta di un continuum che non ha limiti precisi, e in nessun caso si riesce a costruire un discorso che non sia fondato su una dose notevole di implicito culturale, e quindi destinato a generare discussioni e malintesi a non finire. Si tratta di parole, non di termini.
La traduzione è «comunicazione trasformativa» o «trasformazione del messaggio» (Revzin e Rozencvejg 1964, 64). In questo atto di trasformazione occorre quindi puntare l’attenzione su ciò che si modifica e ciò che rimane invariato: variante e invariante della traduzione. Dato che no translation is either complete or final (Firth 1956, 79), ciò significa che a uno stesso prototesto possono corrispondere diversi metatesti, e in ciascuno di questi si modifica il contenuto invariante. La traduzione è un processo a stimolo chiuso (il prototesto) e a risposta aperta (i metatesti possibili).
4. Definizione scientifica di traduzione
Per definizione, il metatesto non è mai equivalente al prototesto, poiché in comune con questo ha solo la componente invariante. La scienza della traduzione studia la trasformazione del testo (testo in senso semiotico, quindi qualsiasi insieme coeso e coerente di segni) che si verifica nel suo trasferimento da una cultura a un’altra (cultura in senso semiotico, quindi qualsiasi insieme d’individui accomunati da un patrimonio di credenze condiviso e dato per scontato, e quindi anche qualsiasi individuo). Nel processo traduttivo avviene che una parte del testo si trasferisca intatta (invariante), una parte si trasferisca modificata (variante), una parte non si trasferisca (residuo) e una parte venga creata (informazione aggiunta).
Per attuare un approccio scientifico alla traduzione, bisogna dimenticarsi la letteratura e “sporcarsi le mani” con la comunicazione (Osimo 2011, 15). Conseguenza di quanto appena detto è che non c’è nessuna differenza (scientifica) tra traduzione, adattamento, versione e chi più ne ha più ne metta. O meglio, qualsiasi traduzione è adattamento, qualsiasi traduzione è versione. In nome della trasparenza, meglio specificare nel metatesto (inteso come apparato paratestuale) adattamento a chi/che cosa e versione di chi e con quale dominante in mente.
5. Dominante, lettore modello, ideologia, poetica
Tuttavia la poetica formulata dai traduttori spesso non si fonda sulla caratterizzazione terminologica del processo traduttivo, ma si limita a conclusioni tratte dall’esperienza traduttiva. Alla teoria della traduzione formata dai traduttori stessi manca di norma la precisione terminologica (Popovič 2006, 2).
Ma quale terminologia si può usare per parlare di quella che in altri modelli è definita “equivalenza”?
Ogni traduzione è non equivalente al proprio originale in modo diverso, in funzione del lettore modello (ossia in funzione di un’ideologia esterna, esplicita, a cui si fa riferimento in modo volontario e razionale). Ma, pragmaticamente, tale operazione viene svolta da un traduttore, che ha una propria ideologia traduttiva e comunicativa e che ritiene che un determinato prototesto vada proiettato verso una cultura ricevente in some respect or capacity (Peirce 2, 272-3), ossia con una certa dominante. L’ideologia del traduttore (che è necessariamente presente e quindi deve necessariamente essere presente in qualsiasi modello scientifico della traduzione) – insieme all’ideologia del committente – dètta la dominante prescelta e il lettore modello prescelto.
I cambiamenti stilistici esprimono, al tempo stesso, determinate tendenze grazie alle quali il traduttore si afferma come soggetto creativo. L’insieme di queste tendenze costituisce un sistema: la poetica del traduttore. I singoli cambiamenti ai rispettivi livelli della struttura stilistica del testo testimoniano l’in¬ter¬re¬lazione e la dipendenza della lingua e del tema. Il cambiamento tematico in tra¬du¬zione tocca anche la microstilistica del testo, e viceversa i cambiamenti microsti¬listici meno evidenti influiscono sulla semantica del metatesto. I cambiamenti cam¬biano anche l’appartenenza di genere testuale (Popovič 2006:90).
L’ideologia del traduttore coincide con la poetica del traduttore.
6. Continuo/discreto (quando è tropo è tropo)
Negli anni Trenta Vygotskij ha scoperto che il linguaggio della mente (quello che usiamo per pensare) non è verbale. È un linguaggio che delle parole che usiamo all’esterno per la comunicazione interpersonale conserva solo alcune tracce qua e là quando riflette sulle parole stesse. Per il resto è molto più veloce, non è lineare ma semmai quello che noi definiremmo “ipertestuale”, non è verbale ma multimediale (coinvolge tutti i cinque e più sensi), è in grado di fare in pochi secondi calcoli che, esternamente, non saremmo capaci di fare o ci porterebbero via molto più tempo (si pensi per esempio ai complessi calcoli trigonometrici necessari per capire quando è il momento adatto per attraversare la strada). Il linguaggio interno inoltre è continuo.
il linguaggio per sé non può affatto trovare la sua espressione nella struttura del linguaggio esterno, completamente diverso per la sua natura; la forma di linguaggio, che è del tutto particolare per la sua struttura […] deve avere necessariamente una sua forma d’espressione speciale, poiché il suo aspetto fasico cessa di coincidere con l’aspetto fasico del linguaggio esterno (Vygotskij 1990, 354).
Jurij Lotman (1990, 178) ci ha spiegato che quando un linguaggio continuo (per esempio quello dei nostri pensieri) entra in contatto con un linguaggio discreto (per esempio quello delle nostre parole), si crea una situazione di (parziale) intraducibilità: io penso delle cose e cerco di esprimerle in parole, ma ci riesco solo in parte.
nell’àmbito della coscienza sia individuale sia collettiva sono nascosti due tipi di generatori di testo: uno fondato sul meccanismo della discretezza, l’altro continuo. Nonostante ciascuno di questi meccanismi sia immanente per propria struttura, tra loro avviene un costante scambio di testi e messaggi. Questo scambio si svolge sotto forma di traduzione semantica. Tuttavia qualsiasi traduzione precisa presuppone che tra le unità dei due sistemi intercorrano relazioni biunivoche, che sia possibile la raffigurazione di un sistema nell’altro. Ciò permette di esprimere adeguatamente il testo di una lingua con i mezzi dell’altra. Ma nel caso in cui vengono raffrontati testi discreti e non discreti, ciò è per principio impossibile. A un’unità discreta e dal significato preciso di un testo, nell’altro corrisponde una macchia di senso dai confini vaghi e passaggi graduali nella regione di un altro senso. Se là si ha una segmentazione sui generis, non è paragonabile al tipo di confini discreti del primo testo. In queste condizioni si crea una situazione d’intraducibilità; tuttavia proprio qui i tentativi di traduzione si realizzano con particolare convinzione e danno i risultati più preziosi. In questo caso si ha non una traduzione esatta, ma una corrispondenza approssimativa e condizionata da quel certo contesto cultural-psicologico e semiotico comune ai due sistemi. Una coppia di elementi significativi reciprocamente non confrontabili, tra i quali s’instaura in un certo contesto una relazione di adeguatezza, forma un tropo semantico [i corsivi sono miei].
La teoria del linguaggio interno di Vygotskij per un russo, ceco, slovacco, polacco, serbo, croato, macedone, bulgaro, estone, lèttone, lituano, ucraino, ungherese eccetera è scontata, come per noi è scontato Croce o Pasolini: ma noi (parlo in generale) non lo conosciamo molto. Eppure le sue scoperte sono perlopiù corroborate dalla psicologia contemporanea. Se non si tiene conto del passaggio mentale non verbale non si può avere una concezione scientifica del processo traduttivo perché implica che qualsiasi traduzione interlinguistica sia in realtà una traduzione intersemiotica (Osimo 2013).
7. Descrittivo/valutativo
Il discorso scientifico si distingue dal discorso qualsiasi anche perché è descrittivo e non valutativo. Il biologo non dice che il rapanello è buono o cattivo, ma ne descrive la struttura. Il medico non dice che il raffreddore è buono/cattivo ma ne descrive aspetti patologici e fisiologici. E quando si dice “colesterolo buono/cattivo” si esce dal discorso scientifico per entrare nel divulgativo. Perché in medichese si chiamano solo HDL (high-density lipoprotein) e LDL (low-density lipoprotein).
Nella traduzione, l’approccio descrittivo consiste nel considerare la produzione traduttiva un fenomeno “naturale”, nel senso che, come i traduttori possono testimoniare, non è indispensabile avere conoscenze metalinguistiche per tradurre. La capacità traduttiva è un po’ come la capacità di scrivere, o di ascoltare, o di parlare: la impariamo per imitazione (attraverso i neuroni specchio) anche senza basi teoriche.
Dato che, come s’è visto in 5., ogni traduttore ha una sua ideologia e quindi una sua poetica che si traduce in una dominante diversa e in un lettore modello diverso per ogni singola traduzione, più che parlare di traduzioni belle o brutte, nel discorso scientifico ha senso parlare di traduzioni che svolgono funzioni diverse. Per arrivare a questo ambizioso traguardo (descrivere le traduzioni senza necessariamente valutarle), insieme a un gruppo di colleghi dell’Isit dove lavoro (http://fondazionemilano.eu) abbiamo costituito anni fa un gruppo che si chiama Valutrad che ha anche elaborato una tabella per catalogare i cambiamenti traduttivi. Scopo di questa tabella è ignorare le categorie della linguistica e della grammatica e soffermarsi invece sui cambiamenti esclusivamente in funzione dell’impatto che hanno sulla cultura ricevente, sulla ricezione del metatesto. Per chi volesse approfondire la mia trattazione della valutazione delle traduzioni insieme al gruppo Valutrad, rimando all’articolo in formato ebook: Traduzione, qualità e metodi di valutazione (ISBN 9788890859786).
Per questo ritengo che in una rivista scientifica le eventuali recensioni di testi tradotti debbano essere descrittive e non prescrittivo/normative (anche se poi naturalmente ciascuno di noi, fuori dal discorso scientifico, potrà formarsi un giudizio ideologico/poetico su quei testi).
Tabella Valutrad
SIGLE |
SPIEGAZIONE |
TIPO DI CAMBIAMENTO |
ESEMPI |
---|---|---|---|
C | Cadenza, punteggiatura, rima, metrica, capoversi | è stato alterato uno di questi elementi, modificando il ritmo del testo | |
CAC | CACofonia | allitterazioni, assonanze involontarie | |
le ostiche ostriche | |||
D | Deittici, rimandi interpersonali, punto di vista | migliore/peggiore riproduzione del punto di vista del narratore o del personaggio, ideologia personale | questo→quello ora→allora qui→là |
DEN-A | Aggiunte | una singola parola è aggiunta | il gatto→il gatto bianco |
DEN-CS | Calchi Semantici e Sintattici | calco di parola che determina senso diverso e incomprensibile | il tuo comportamento è morbido |
DEN-M | cambiamento radicale di senso Mistranslation | l’errore è tale da compromettere il senso generale della frase | the triumph of spirit over circumstance→il trionfo della spiritualità sul caso |
DEN- MOD | MODulazione: specificazione- generalizzazione, parole-termini, ambiguazione-disambiguazione | una parola è resa più specifica o più generica. un termine è diventato parola comune o viceversa. ridondanza semantica. modifica del livello di ambiguità di un’espressione in entrambi i sensi | non mi dà fastidio, lo sopporto |
DEN- OM | OMissioni | una singola parola è omessa | il gatto bianco→il gatto |
DEN-W | errori lessicali riguardanti una sola parola Word | una singola parola è fraintesa in modo netto (altro campo semantico) | il gatto→il cane |
DT | destinatario – Dominante del Testo – leggibilità | migliore/peggiore coglimento del lettore modello e della dominante del testo | |
E | Enciclopedia – precisione fattuale – conoscenza del mondo | la dotazione enciclopedica della traduttrice è insufficiente a colmare l’implicito culturale | blue helmets→elmetti celesti |
ENF | ENFasi, ordine delle parole | dislocazioni, frase scisse, ordine anomalo delle parole che determina diversa accentuazione della frase | |
G-S | errori Grammaticali e Sintattici | errori di grammatica o sintassi nella cultura ricevente | sebbene è; inerente il; in stazione |
I | rimandi Intertestuali, realia | migliore/peggiore coglimento dei rimandi esterni ad altri testi o altre culture | |
INTRA | uso di SINonimi, ripetizioni, rimandi intratestuali | sinonimizzazione e desinonimizzazione. coglimento di rimandi interni da un capo all’altro del testo. ridondanza lessicale | domandare una domanda |
L | Logica | la logica della traduttrice è insufficiente a colmare l’implicito culturale | sapeva che non sarebbe sopravvissuta alla propria morte |
O | Ortografia | errori d’ortografia nella cultura ricevente | un po’; qual è; ti dò |
P | Presentazione – forma grafica – layout – impaginazione | migliore/peggiore riproduzione degli aspetti grafici rispetto alle norme suggerite dal committente | |
R | Registro, tipo di testo | uso di parole di registro uguale a/diverso da quello desiderato. migliore/peggiore | |
S | Stile complessivo dell’autore | migliore/peggiore rendimento dello stile | |
U | Uso: locuzioni, collocazioni, calchi non semanticamente sbagliati, resa inefficace | una singola parola, sebbene non semanticamente sbagliata, è collocata in modo involontariamente marcato | l’ho mandato in quella città (anziché “a quel paese”); è supposto saperlo |
Riferimenti bibliografici
ISO: ISO International Organization for Standardization, Genève 1947-2013 (disponibile all’indirizzo www.iso.org, consultata nel marzo 2013)
Lotman 1996: Jurij Michajlovič Lotman, Vnutri Myslâŝih mirov. Čelovek-tekst-semiosfera-istoriâ, Moskvà
Lûdskanov 2008: Aleksandăr Lûdskanov, Un approccio semiotico alla traduzione. Dalla prospettiva informatica alla scienza traduttiva, a cura di Bruno Osimo, Milano, Hoepli (1967)
Osimo 2011: Bruno Osimo, Manuale del traduttore. Guida pratica con glossario, Hoepli, Milano
Osimo 2013a: Bruno Osimo, Roman Jakobson’s Translation Handbook, ISBN 9788890859700, Amazon, Milano (ebook)
Osimo 2013b: Bruno Osimo, Valutrad: un modello per la qualità della traduzione, ISBN 9788898467006, Amazon, Milano (ebook).
Popovič 2006: Anton Popovič, La scienza della traduzione. Aspetti metodologici. La comunicazione traduttiva, a cura di Bruno Osimo, Hoepli, Milano
Torop 2010: Peeter Torop, La traduzione totale. Tipi di processo traduttivo nella cultura, edizione italiana a cura di Bruno Osimo (da Total’nyj perevod, Tartu University Press, Tartu 1995)
UNI: Ente nazionale unificazione, Milano 1921-2013 (disponibile all’indirizzo www.uni.com), consultato nel mese di marzo 2013
Vygotskij 1990: Lev Semënovič Vygotskij, Myšlеniе i rеč´, in Sоbraniе sоčinеnij v šеsti tоmah, vol. II, 1982. (trad. it. di Luciano Mecacci, autore anche di introduzione e commento: Pensiero e linguaggio, Bari, Laterza, 1990)