di Giuseppe Girimonti Greco, autore con Federica Di Lella di
Pierre Boileau e Thomas Narcejac, La donna che visse due volte, Milano, Adelphi, 2016 (da D’entre les morts, Paris, Denoël, 1954)
Pierre Louis Boileau e Pierre Ayraud, alias Thomas Narcejac, una coppia di autori analoga ai nostri celkeberrimi Fruttero & Lucentini, furono considerati in Francia, per oltre quarant’anni, i campioni indiscussi del romanzo à suspense, formula che B&N hanno profondamente rinnovato non solo attraverso le ibridazioni fra i generi, ma anche attraverso raffinati giochi intertestuali abilmente dissimulati.
Per La donna che visse due volte (titolo originale D’entre les morts) gli specialisti hanno riconosciuto, accanto ai riferimenti letterari espliciti (Virgilio, Kipling ecc.), una fitta trama di rimandi, che va da Nerval a Proust, da Sartre a Simenon a Rodenbach. Il primo problema che ci siamo posti, quindi, sin dall’incipit, è senz’altro quello della resa del “tono” giusto di alcune pagine particolarmente stratificate, soprattutto nei dialoghi («Lei mi confonde, con tutta questa mitologia», dirà a un certo punto Madeleine, quasi a voler eludere e frustrare le fantasticherie orfiche e omerico-virgiliane di Flavières); abbiamo cercato di non attenuare il tono lievemente pedante del protagonista, per puntare a restituire l’effetto al tempo stesso comico e patetico che risulta dal contrasto fra questo registro e altri momenti delle parti dialogate.
Questione particolarmente spinosa, in un testo che, se da un lato è “di genere”, dall’altro esibisce subito una cifra autoriale spiccata e una patina letteraria e/o iper-letteraria che va in qualche modo mantenuta, in alcuni casi optando per un parlato “stilizzato”. Occorreva anche cercare un buon equilibrio nel rendere per esempio interiezioni, esclamazioni e appellativi (i tanti mon vieux, mon cher, mon pauvre), fra la naturalezza dei dialoghi e quella particolare atmosfera linguistica – tipica anche della grande tradizione del cinema noir – che spesso ci è familiare grazie a memorabili versioni doppiate.
L’apertura, giocata subito sul tema della “sorveglianza”, è significativa. Il termine surveiller ritorna spesso nel testo, associato ad altri lemmi che rimandano a loro volta al tema del pedinamento, del controllo, della protezione e del voyeurismo (suivre, épier, protéger, veiller). All’inizio ci era sembrato opportuno renderlo con pedinare, ovvero con un verbo “tecnico”, legato alla funzione professionale del protagonista (che nel film di Hitchcock ha le fattezze di James Stewart). Più avanti, però, quando subentra una forma di voyeurismo squisitamente erotico, geloso e possessivo, lo stesso termine si trova usato in un’accezione leggermente diversa che ha imposto soluzioni abbastanza libere, all’interno del campo semantico della “sorveglianza”.
Altro problema è stata la restituzione dell’atmosfera dell’epoca (siamo nella prima fase della seconda guerra mondiale), che gli autori ricreano attraverso una fitta rete di riferimenti storici precisi (il coprifuoco, il razionamento, gli uffici del ravitaillement, i titoli dei giornali che aggiornano Flavières sui fatti bellici, i bons d’essence, la drôle de guerre ecc.), spesso legati a fatti, istituzioni e pratiche specificamente francesi.
Questo problema si pone anche, in senso diverso, per il personaggio di Madeleine, nobilitata, agli occhi di Flavières, mediante continue allusioni iconografiche e incursioni nel repertorio visivo della mitologia e della storia dell’arte antica e moderna, che le conferiscono un’aura di prestigio e di fascino, fondamentale per la successiva deriva feticistica dell’amore di Flavières. Se spesso si è trattato perlopiù di “visualizzare” (ma cercando al tempo stesso di non “illustrare” troppo) opere e luoghi (quadri più e meno famosi, siti archeologici e rupestri, chiese di campagna, campanili, sale di musei, teatri storici ecc.), in alcuni casi abbiamo dovuto affrontare problemi specifici (e non “di atmosfera”): per esempio lievi e/o apparenti incoerenze nella messa a fuoco di dettagli urbanistici, architettonici, pittorici. Inevitabili gli ingombranti ricordi di singole scene del film di Hitchcock, il fantasma severo e compunto di Carlotta Valdés, la fisionomia al tempo stesso sensuale e altera di Kim Novak, così straniante, nella sua mise alla Grace Kelly impostale da Hitchcock, e tante altre rimembranze da cinefili che tuttavia abbiamo cercato di esorcizzare in vari modi. Nella speranza di aver reso un buon servizio all’originale e ai lettori.