di Sara Amorosini
A proposito di: La traduzione letteraria anglofona. Il proprio e l’altrui – English e englishes. Gli autori postcoloniali di lingua inglese, Franca Cavagnoli, Hoepli, Milano 2017, 108 pp., € 19,90
Cambia la veste grafica, cambia l’editore e cambia il titolo, ma il lettore non si inganni: La traduzione letteraria anglofona conserva e racchiude in sé quel piccolo grande tesoro che fu Il proprio e l’estraneo nella traduzione letteraria di lingua inglese. Usciva infatti nel 2010 per Polimetrica di Monza il nocciolo duro di questo libro, un unicum nel suo genere, in cui Franca Cavagnoli infondeva l’essenza della sua esperienza decennale nella traduzione di autori di lingua inglese. A differenza infatti del suo altro manuale sulla traduzione (La voce del testo. L’arte e il mestiere di tradurre, Feltrinelli, 2012) in cui ci si concentra sul processo mentale e editoriale di una traduzione, qui Franca Cavagnoli prende per mano il lettore – e aspirante traduttore – e lo porta con sé in un viaggio alla scoperta dell’altrui e di quegli autori capaci di plasmare l’inglese nelle varianti che ne compongono l’affascinante pluralità, gli englishes per l’appunto (un argomento solo tangenziale in La voce del testo). E lo fa con un taglio mirabilmente descrittivo. Nell’introduzione l’autrice dichiara infatti:
In questo libro ho voluto riunire alcune riflessioni sulla traduzione nate dalla mia esperienza nel campo della pratica e dell’insegnamento della traduzione letteraria anglofona. Uso le parole riflessioni ed esperienza in omaggio ad Antoine Berman, poiché il rapporto fra l’esperienza e la riflessione non è lo stesso che c’è fra la teoria e la pratica. La traduzione è, in quanto esperienza, riflessione (p. I).
Nel panorama italiano sono davvero pochi i traduttori che hanno avuto la destrezza di confrontarsi con tante voci, dai classici agli autori postcoloniali, e ancora meno quelli che scelgono di aprire generosamente le porte del proprio sapere e condividerlo con avidi occhi esterni.
Il testo si presenta fin da subito come uno strumento per studenti universitari (si elencano dettagliatamente i corsi di laurea più indicati), anche se sarebbe in buona misura adatto a chiunque volesse approfondire la conoscenza di questo tipo di autori e riflettere non solo sul loro uso della lingua inglese ma soprattutto su come arrivare a trasportare e trasmettere questo bagaglio al lettore italiano (non a caso l’autrice si rivolge spesso «a chi rivede», chiamato esplicitamente in causa nel capitolo Riscritture appropriate e approprianti: traduzione e revisione del testo letterario, pagg. 91-99). Per giungere a questo scopo quindi La traduzione letteraria anglofona, come già il suo predecessore, è diviso in tre sezioni: Il proprio e l’altrui, English e englishes e Gli autori postcoloniali anglofoni.
Il proprio e l’altrui è in un certo senso la parte più didattica, dove l’obiettivo formativo risalta maggiormente: non solo per la ricchezza dei teorici citati (da Schleiermacher a Venuti, Eco e al sempre presente Berman) ma anche per i numerosi spunti di approfondimento, il tutto corredato da esempi di vario genere e provenienza. Si parte quindi dall’ABC: cosa significa tradurre? In che relazione con l’Altro ci si pone? A cosa si rinuncia lungo il percorso? Senza tralasciare il monito a non razionalizzare l’altrui, non addomesticarlo, soprattutto dal punto di vista del ritmo della prosa, spesso penalizzato e normalizzato quando «L’idea che si ha di come dovrebbe essere scritto un certo testo in prosa, l’astrazione di quel testo dunque, prevale sulla concretezza del testo in prosa che si ha davanti» (p. 12), a scapito della creatività dell’autore e dell’intenzione estetica del testo. Franca Cavagnoli porta quindi l’attenzione del lettore/studente su tutti quegli aspetti erroneamente considerati secondari: la costruzione sintattica, l’uso della punteggiatura e il significato della reiterazione. Il discorso rimane ancora sul generale, focalizzato sul tema più che sulle varianti linguistiche, e all’occorrenza possiamo trovare nella stessa pagina un brano di Malouf e uno di Hemingway.
Si arriva così alla seconda parte, English e englishes. Qui il concetto di traduzione acquisisce una nuova, diversa connotazione: traduzione come condizione esistenziale – scelta oppure obbligata – di spostamento e transizione da un luogo, e una cultura, a un altro e a un’altra cultura. Ed è in questa dimensione che si collocano gli autori postcoloniali; qui è lo scrittore «il primo interprete e il primo traduttore del proprio testo» (p. 32): «Quando si accinge a scrivere un romanzo o un racconto, lo scrittore postcoloniale deve scegliere come trasporre in lingua inglese la propria cultura» (p. 34). Ci troviamo così di fronte a Rushdie, il celeberrimo translated man, a Naipaul, ad Achebe… Ma come avvicinarci allora a un testo che è già stato tradotto in origine? La risposta che ci propone Franca Cavagnoli, nella sua semplicità, è fulminante: «Nelle scelte compiute, e nel modo in cui quelle scelte sono state fatte, spesso lo scrittore postcoloniale dà un’indicazione precisa a chi traduce su come tradurre a sua volta» (p. 39). Si introduce così un ulteriore ingrediente alla ricetta traduttiva: il fine etico. Assecondare perciò la volontà dell’autore di mettere al centro l’alterità, la frammentazione e il recupero di un’identità propria, anche e soprattutto attraverso la manipolazione della lingua inglese. Non si tratta più solo di variante linguistica, infatti, ma di una lingua ibrida «che porta impressi a fuoco i tormenti e le tribolazioni della Storia» (p. 43): l’English della madrepatria lascia il posto agli englishes delle ex colonie. Utilissimi, e non solo per gli aspiranti traduttori, i suggerimenti su come rendere questa lingua ibrida attigendo alle strategie di variazione linguistica dell’italiano, a livello morfosintattico e di registro (pp. 46-49). La sezione si conclude con un’incursione nel concetto e nella pratica delle lingue di contatto, dedicando un intero capitolo all’analisi di pidgin e creoli a base inglese: questi vengono prima descritti nelle loro caratteristiche morfosintattiche, fonetiche ma anche storicoculturali, per poi passare alla loro possibile traduzione, avendo sempre cura di non ridicolizzarne o cancellarne le specificità ma di «accogliere lo Straniero in quanto tale e non assimilarlo con traduzioni etnocentriche» (p. 64).
La terza parte, Gli autori postcoloniali anglofoni, assume un taglio completamente diverso rispetto alle due precedenti: è costituita da cinque brevi saggi, usciti in varie pubblicazioni accademiche dell’autrice (le fonti sono specificate in calce a ogni intervento), che entrano nel merito di alcuni nodi traduttivi ben precisi. Questa sezione è anche l’unica ad aver subìto modifiche sostanziali rispetto alla prima versione del 2010. Sono stati infatti eliminati due contributi in inglese su Malouf e Naipaul (ai quali in origine erano stati dedicati due saggi a testa) e ne sono stati inseriti due nuovi, favorendo così una maggiore varietà linguistica e geografica. Troviamo perciò approfonditi l’uso del pidgin in Anthills of the Savannah (noto in Italia come Viandanti della storia) di Achebe, i termini culturospecifici e le sonorità di Malouf, la prosa stratificata di Naipaul, la traduzione e la revisione come terreno fertile per l’arricchimento e l’innovazione culturale oltre che linguistica, e infine la variegata sovrapposizione linguistica in Midnight’s children (I figli della mezzanotte) di Rushdie.
In definitiva, un libro davvero molto ricco, che si dimostra certamente un valido strumento per studenti universitari (o di scuole di traduzione) ma anche per gli interessati all’argomento. Franca Cavagnoli non lesina sulla teoria e fornisce puntuali spunti di approfondimento, oltre a numerosi esempi presi dai testi più vari (senza limitarsi quindi agli autori più noti). C’è da dire che chi già conosceva e apprezzava la versione del 2010 si aspettava forse che la nuova edizione fosse un’occasione per un maggiore ampliamento anche delle prime due parti, rimaste sostanzialmente invariate, ma resta il fatto che per i nuovi fruitori La traduzione letteraria anglofona si presenta come un testo completo e soddisfacente sotto ogni profilo.