Giuseppe Antonio Borgese

di Daria Biagi

La vita

1882 Nasce a Polizzi Generosa, in provincia di Palermo, da Antonio Borgese, avvocato, e Rosa Di Martino.

1900 Dopo aver frequentato il liceo a Palermo, si trasferisce a Firenze per iscriversi ai corsi dell’Istituto di Studi Superiori, dove insegnano, tra gli altri, Pio Rajna, Pasquale Villari e Guido Mazzoni.

1901 Collabora all’«Archivio per lo studio delle tradizioni popolari» di Pitré e successivamente al «Regno» di Corradini e al «Leonardo» di Papini.

1903 Benedetto Croce recensisce favorevolmente su «La Critica» i suoi primi saggi, apparsi sul «Leonardo»

1904 Fonda la rivista «Hermes» insieme alla futura moglie, la poetessa Maria Freschi. Da lei avrà due figli, Leonardo e Giovanna.

1905 Grazie all’interessamento di Croce, pubblica la sua tesi di laurea Storia della critica romantica in Italia.

1906 È caporedattore del quotidiano «Il Mattino» di Napoli.

1907-1908 Si stabilisce a Berlino come corrispondente del «Mattino» e lì conosce Benno Geiger, Stefan Zweig, Otto von Taube, Arno Holz, Walther Rathenau, Gerhart Hauptmann, Frank Wedekind, Hugo von Hofmannsthal.

1908 Accetta la proposta fattagli da Prezzolini di partecipare alla «Voce», per la quale scriverà però solo pochi articoli.

1909 Si stabilisce a Torino, dove lavora per la «Stampa» e collabora con la cattedra di letteratura tedesca di Arturo Farinelli. Escono il volume La nuova Germania (Bocca, Torino; ristampato poi da Treves nel 1917 con il titolo La nuova Germania. Germania prima della guerra) che raccoglie le corrispondenze pubblicate sui quotidiani, e il saggio Gabriele D’Annunzio.

1910 Vince il concorso come docente ordinario di letteratura tedesca alla Regia Università di Roma, cattedra che si era resa vacante in seguito alla scomparsa di Giacomo Boner. Tiene corsi sul Faust di Goethe, sullo Sturm und Drang e sul teatro tedesco. Alle sue lezioni sono presenti, da studenti o da semplici uditori, futuri traduttori e germanisti come Alberto Spaini, Rosina Pisaneschi, Bonaventura Tecchi, Rodolfo Bottacchiari e Liliana Scalero. Pubblica il primo volume di La vita e il libro, dedicato ad Arturo Farinelli (il secondo e il terzo usciranno rispettivamente nel 1911 e nel 1913), e, per Ricciardi, una raccolta delle liriche composte fra il 1902 e il 1908, mai messa in commercio per volere dell’autore stesso.

1911 Inizia a dirigere la collana «Antichi e moderni» di Carabba. Si incrinano i rapporti con Croce, a causa della sua recensione negativa a La filosofia di G.B. Vico.

1912 Inizia a scrivere per «Il Corriere della sera», collaborazione che manterrà, seppure a intervalli, fino alla morte.

1913 Affianca i colleghi romani Cesare De Lollis e Nicola Festa nella direzione della storica rivista fondata da Ruggero Bonghi «La Cultura», ora pubblicata da Laterza col titolo «La Nuova Cultura» e di netto orientamento crociano.

1914 Dopo la rottura con De Lollis, resta solo alla direzione della «Nuova cultura», che ribattezza «Il Conciliatore» portandola sotto le insegne del suo editore, il torinese Bocca. Su invito di D’Annunzio, traduce in siciliano La figlia di Iorio: A figghia di Joru va in scena a Roma nello stesso anno.

1915 Pubblica il saggio Studi di letterature moderne. È favorevole all’intervento dell’Italia nella prima guerra mondiale. Nel corso del conflitto svolge missioni diplomatiche all’estero per conto del sottosegretario alla propaganda Romeo Gallenga Stuart.

1916 Scrive La guerra delle idee. Suo fratello Giovanni muore al fronte.

1917 Pubblica L’Italia e la nuova alleanza. Subentra a Sigismondo Friedmann sulla cattedra di letteratura tedesca nell’allora Accademia scientifica-letteraria di Milano. Sua assistente è Lavinia Mazzucchetti.

1918 Trasferimento a Milano con la famiglia.

1920 Dalle pagine del «Corriere» interviene sulla “questione adriatica”, difendendo il diritto della Jugoslavia al mantenimento della Dalmazia. Bollato come “rinunciatario”, diviene bersaglio dei fautori della “vittoria mutilata”, e viene estromesso dalla redazione di politica estera del «Corriere».

1921 Si ritira progressivamente dalla vita politica. Esce per Treves il romanzo Rubè, accolto dalla critica con reazioni contrastanti.

1922 Pubblica la raccolta Poesie.

1923 Pubblica un secondo romanzo, I vivi e i morti, e la raccolta di saggi Tempo di edificare.

1924 Pubblica la raccolta di novelle La città sconosciuta e il dramma L’arciduca. Per l’editore milanese Modiano esce, con il titolo L’uomo senz’ombra, la sua traduzione del Peter Schlemihls Wundersame Geschichte di Adelbert von Chamisso (1814), con illustrazioni del figlio Leonardo.

1925 Non aderisce al Manifesto degli intellettuali antifascisti di Croce, ma è tra i firmatari dell’appello in difesa di Gaetano Salvemini, arrestato l’8 giugno per attività sovversiva. Pubblica La tragedia di Mayerling, narrazione storica in chiave romanzesca della fine degli ultimi Asburgo.

1926 Su interessamento di Piero Martinetti viene istituita per Borgese la prima cattedra italiana di estetica, presso la facoltà di lettere dell’Università di Milano. Riceve da Mondadori l’incarico di dirigere la «Collezione straniera» (che diventerà poi la «Biblioteca romantica»).

1927 Pubblica Ottocento europeo e la raccolta di novelle Le belle.

1929 Pubblica la raccolta Il sole non è tramontato. I suoi articoli di critica letteraria sul «Corriere» portano all’attenzione del grande pubblico autori come Moravia, Piovene, Soldati.

1930 In maggio viene lanciata la «Biblioteca romantica» Mondadori, da lui diretta, nella quale compare la sua traduzione del Werther di Goethe.

1931 Pubblica Il senso della letteratura italiana e il romanzo Tempesta nel nulla. All’Università di Milano si intensificano le intimidazioni da parte dei militanti del Gruppo universitario fascista (GUF), che disturbano le sue lezioni e cercano di impedire agli studenti di assistervi. Borgese accetta l’offerta della University of California di recarsi negli Stati Uniti per tenere un ciclo di lezioni come Visiting Professor. In autunno, intanto, viene imposto il giuramento ai docenti universitari, non richiesto però esplicitamente ai professori che risultano, come Borgese, “in missione” all’estero.

1932 Dal primo novembre è in servizio come docente di letteratura italiana e comparata presso l’Università di New York, e in seguito presso lo Smith College di Northampton (Massachusetts). Il 18 agosto 1933 invia a Mussolini un memoriale di dieci cartelle, nel quale afferma di non voler prestare giuramento. Il fatto viene passato sotto silenzio e Borgese è confermato nell’incarico fino al 20 novembre 1934.

1934 Il 18 ottobre scrive al rettore dell’Università di Milano che non presterà il giuramento. Allo scadere dell’incarico americano Borgese viene tuttavia dichiarato «dimissionario» per non aver ripreso servizio, perdendo il posto e il diritto alla pensione. Decide di non tornare in Italia, trasformando il soggiorno americano in un esilio volontario. Fino a questa data continua a collaborare al «Corriere della sera» con articoli sull’America, poi raccolti in Atlante americano (1946: l’edizione del 1936 viene bloccata dalle autorità fasciste) e in La città assoluta e altri scritti (1962). Pubblica Poetica dell’unità, che raccoglie pagine critiche risalenti a diversi periodi.

1935 Le due lettere in cui Borgese rifiuta di giurare vengono pubblicate a Parigi nei «Quaderni di Giustizia e libertà».

1936 Si sposta all’Università di Chicago, dove rimane fino al 1948.

1937 Pubblica in inglese il saggio Goliath, The March of Fascism (Viking Press, New York), che uscirà da Mondadori nella versione italiana di Doletta Caprin Oxilia (Golia. La marcia del fascismo) nel 1947.

1938 Ottiene la cittadinanza americana. Frequenta Thomas Mann.

1939 In novembre sposa in seconde nozze la figlia di Thomas Mann, Elisabeth. Insieme a Gaetano Salvemini e altri antifascisti italiani fonda la Mazzini Society, destinata a sostenere gli ideali della democrazia e a fornire un aiuto materiale agli esuli in fuga dall’Italia. Conosce Hermann Broch.

1940-45 Promuove insieme a Richard McKeon il progetto di un comitato che si incarichi di stabilire i principi di una costituzione mondiale (Committee to Frame a World Constitution), per difendere valori considerati universali al di là di ogni differenza sociale, religiosa, economica o politica. Tra i membri del Committee compaiono scienziati e pensatori come Mortimer J. Adler, Stringfellow Barr, Albert Guérard, Harold A. Innis, Erich Kahler, Wilberg G. Katz, Charles H. Mc Ilwain. Da questo progetto nascono le raccolte di saggi: The City of Man (con altri autori, tra cui Thomas Mann), New York 1940; Common Cause, New York 1943; Preliminary Draft of a World Constitution,Chicago 1948; e Foundations of a World Repubblic, Chicago 1953, pubblicato postumo.

1948-49 Dopo diciotto anni rientra in Italia e il 13 settembre 1949 torna sulla cattedra di estetica all’Università di Milano, dove tiene una prolusione su Goethe e l’unità del mondo. Nello stesso anno appare da Mondadori la traduzione italiana, anonima, del Preliminary Draft of a World Constitution (Disegno preliminare di Costituzione mondiale).

1950 Esce la raccolta di novelle La Siracusana.

1952 Continua a svolgere attività di critico dalle colonne del «Corriere della sera» e a perseguire il progetto costituzionale del Committee, che gli vale la proposta di nomina al Premio Nobel per la Pace da parte dell’Università di Chicago. Vince il Premio Marzotto per la critica. Muore a Fiesole il 4 dicembre. Escono, postumi, i saggi Problemi di estetica e storia della critica (Milano, CEUM, 1952) e Da Dante a Thomas Mann (Mondadori 1958).

Borgese e la letteratura tedesca

Scrittore e saggista, accademico, traduttore, giornalista e uomo politico, Giuseppe Antonio Borgese è stato tra gli intellettuali italiani più influenti della prima metà del Novecento, e la sua attività, soprattutto negli anni giovanili, è profondamente legata alla cultura e alla letteratura di lingua tedesca.

La formazione

Borgese inizia a studiare il tedesco sui libri, durante gli anni di liceo trascorsi a Palermo. Al termine di essi, anche per sfuggire al padre che lo verrebbe avvocato, considera la possibilità di proseguire gli studi letterari in Germania (Sciascia 1985, 23-24), affascinato da una cultura verso cui nutre «un’ammirazione preconcetta e un po’ convenzionale, non senza colorito romantico» (Borgese 1917, ix). Il mito di una Germania fatta di musica e di poesia, di «umili case di legno» e «caste nevicate fra gli abeti» si rivela però una fantasticheria da provinciale quando, subito dopo la laurea all’Istituto di Studi Superiori di Firenze, Borgese si trova a trascorre due anni a Berlino in qualità di giornalista per il «Il Mattino» di Napoli. La grande metropoli gli svela il volto reale della Germania moderna, già pienamente “americanizzata” nella cultura e negli stili di vita:

All’una dopo mezzanotte tutto è morto a Parigi; a Berlino potete saltare dieci notti senza nemmeno accorgervene. […] Berlino ogni anno che passa è un’altra cosa, e dovete strizzarvi l’occhio per riconoscerla: ingigantisce come una città americana. […] È questo il punto d’onore per ogni berlinese che senta e pensi veramente «berlinisch» (sic). Sorvolando con uno sguardo d’indulgente disprezzo su Parigi, la metropoli in decadenza, su Londra fumosa e nebbiosa, su Vienna, la grossa città provinciale, egli si ferma con orgogliosa emulazione su Chicago e Nuova York. Il berlinese è già l’uomo più americano che possa nascere in Europa, e la sua città gli somiglia come l’orma somiglia al piede che la stampò. […] chi vuol vedere l’America, ed una più grande America, deve venire a Berlino (Borgese 1917, 160-1).

Germania romantica e “nuova Germania”: il soggiorno a Berlino

I reportage che Borgese scrive da Berlino tra il 1907 e il 1908, poi raccolti in volume con il titolo La nuova Germania (Borgese 1909), contribuiscono a trasformare radicalmente l’idea che gli italiani hanno del mondo tedesco all’inizio del secolo, inaugurando un genere che verrà ripreso negli anni successivi da giornalisti-scrittori quali Corrado Alvaro, Paolo Monelli e Rosso di San Secondo (Rubino 1995; Bevilacqua 1996; Rubino 2002). Sia lo stereotipo militarista della Germania come «universal caserma prussiana» – così l’aveva definita Vittorio Alfieri –, sia quello romantico reso celebre da Madame de Staël, vengono rimpiazzati dall’idea di una Germania industriale, materialista e libertaria. Da Berlino Borgese scrive di letteratura (su Wedekind e Hauptmann), di musica (su Joachim, Wagner, Strauss) e di politica (sul cancelliere von Bülow, sul congresso dei socialisti a Stoccarda e sul processo a Harden), ma anche di costume: dedica molta attenzione alla vita metropolitana (Il feretro automobile, Berlino criminale) e alla condizione della donna tedesca, che lavora molte ore al giorno e si paga la birra da sola (La vergine Annetta) o che ricopre «la ribellione sessuale […] di pretesti eruditi» (Signorine di buona famiglia).

Il biennio berlinese è anche l’occasione per entrare in contatto con gli artisti del luogo: attraverso la mediazione di Papini, Borgese stringe amicizia con il poeta e traduttore Benno Geiger, che a sua volta gli fa conoscere Stefan Zweig e Otto von Taube (Geiger 1953; Olivieri 2002). Nei club berlinesi che frequentano, Borgese discute di letteratura con Hugo von Hofmannsthal e Frank Wedekind, e di politica con Walther Rathenau, futuro ministro degli esteri della Repubblica di Weimar, che fornirà ispirazione a Musil per il personaggio dell’imprenditore Arnheim nell’Uomo senza qualità. Grazie a Geiger, inoltre, Borgese approfondisce la sua conoscenza dei classici tedeschi (in particolare del Faust, che i due leggono insieme «dalla prima parola del Prologo all’ultima del Coro Mistico») e della lingua, divenendo in poco tempo capace di padroneggiarla perfettamente (Geiger 1953, 193).

L’attività accademica: studi e corsi su Goethe

Rientrato in Italia nell’autunno del 1909, Borgese si stabilisce a Torino, dove, mentre continua il lavoro giornalistico per la «Stampa», collabora con la cattedra di letteratura tedesca di Arturo Farinelli, studioso di Goethe e del romanticismo. È anche grazie alla mediazione di Farinelli che l’anno seguente vince il concorso da professore ordinario di letteratura tedesca presso la Regia Università di Roma, subentrando a Giacomo Boner, precocemente scomparso nel terremoto di Messina. Risalgono a questo periodo i saggi goethiani La disfatta di Mefistofele (uscito inizialmente su «Il Rinnovamento» di Milano nel novembre del 1909) e la prolusione dal titolo La personalità di Goethe (con cui il 14 aprile 1910 inaugura il suo primo corso), poi riuniti nel volume Mefistofele (Borgese 1911b). In essi Borgese si sofferma con particolare attenzione sui problemi compositivi delle opere goethiane, in primo luogo del Faust. Distaccandosi nettamente dalla tradizione interpretativa italiana, che tendeva a considerare il Faust un coacervo disarticolato di scene più e meno riuscite, insiste nel darne una lettura unitaria, dedicando particolare attenzione al Faust II. La riflessione sull’opera di Goethe accompagnerà costantemente l’attività letteraria e politica di Borgese: Goethe è visto come «la coscienza più limpida e trasparente dell’epoca moderna, il suo confessore più credibile» (Borgese 1933, 29), e il suo intento di ricomporre in un’unità le facoltà umane, passando anche attraverso la tentazione wertheriana del suicidio e quella faustiana del “patto col diavolo”, come la più alta delle aspirazioni umane.

Di questi argomenti Borgese tratta anche nei suoi corsi universitari, che attraggono studenti da varie parti d’Italia (Borgese 1909-1912). Intorno alla sua cattedra di letteratura tedesca, una delle prime a essere istituite nel nostro paese, si formano futuri intellettuali e germanisti come Alberto Spaini e Rosina Pisaneschi (poi traduttori del Wilhelm Meister, di Büchner e di Thomas Mann), Bonaventura Tecchi, Rodolfo Bottacchiari, Liliana Scalero. Borgese si dedica con entusiasmo all’insegnamento, come si legge nelle lettere scritte a Geiger in questo periodo: «Quest’anno Goethe (il Goethe giovane, fino al Werther) non è, nelle mie lezioni, il punto di partenza, ma il punto di arrivo. Per ora parlo di Sturm und Drang e dei precedenti dello St[urm] u[nd] D[rang]: figurati che ho parlato perfin dello Sterbender Cato di Gottsched. Lavoro e studio moltissimo; e, tutto sommato, sono felice» (Borgese 1910).

Sulla cattedra romana Borgese rimane fino al 1917, quando in seguito a reiterati contrasti con i colleghi universitari, da lui accusati di «crocianesimo intransigente di estrema destra» (Staderini 2000, 476; Ghidetti 1970), decide di trasferirsi a Milano. Qui insegna ancora letteratura tedesca fino al 1926 (anno in cui passa alla cattedra di estetica), e ha tra i suoi collaboratori Lavinia Mazzucchetti e tra i suoi allievi Guido Piovene, Eugenio Colorni e Guido Morpurgo-Tagliabue.

Nel corso della sua carriera accademica Borgese pubblica articoli e saggi di letteratura tedesca che spaziano fra diverse epoche storiche (Saito 1985): scrive su Schopenhauer e su Hebbel (La vita e il libro, 1913-15), su Heine, Hauptmann, Sudermann, Holz (Studi di letterature moderne, 1915), su Schiller, Kleist, Chamisso e naturalmente su Goethe (Ottocento europeo, 1927), occupandosi tanto di scrittori antichi (l’anonimo autore dei Nibelunghi, Lutero) quanto di contemporanei (articoli su Wagner, Nietzsche e Freud escono tra il 1927 e il 1934 sul «Corriere della Sera», ora in Borgese 1962).

Il lavoro editoriale: «Antichi e moderni» e la «Biblioteca romantica»

Un’analoga ampiezza di interessi caratterizza la prima delle operazioni editoriali di cui Borgese si fa promotore: la collana letteraria «Antichi e moderni», che dirige a partire dal 1911 per l’editore Rocco Carabba di Lanciano. Pur accogliendo opere delle più disparate provenienze linguistiche e culturali, la collana privilegia la letteratura tedesca, accogliendoLa saga dei Volsunghi e dei Nibelunghi, la Minna von Barnhelm di Lessing, l’Ofterdingen di Novalis, il Faust di Lenau, i racconti di Hoffmann, di Kleist e di Tieck, fino a opere di scrittori contemporanei come Hugo von Hofmannsthal e Richard Dehmel. Le traduzioni, che in molti casi sono una novità assoluta per l’Italia, vengono in genere affidate a colleghi o a giovani allievi, tra cui Vincenzo Errante, Ervino Pocar, Rosina Pisaneschi.

Il lavoro editoriale si intensifica per Borgese con il trasferimento a Milano. Nel 1926 Mondadori lo incarica di avviare una nuova collana di classici stranieri: nasce così la «Biblioteca romantica», che dirigerà dal 1930 al 1938 (Calvino 1981; Vitiello 1990). La «Romantica», concepita come una «enciclopedia fantastica dell’uomo moderno» (Borgese 1930, 5), nasce in concomitanza con analoghe imprese editoriali che cercano di rispondere ai desideri di un nuovo pubblico di lettori, interessato ad aggiornarsi e a conoscere la cultura dei paesi stranieri. Fedele all’ideale goethiano di Weltliteratur, anche la «Romantica» non si limita a tradurre opere provenienti dalla Germania (Goethe, Heine, Stifter, Mörike), ma include classici francesi, russi, inglesi, spagnoli, greci e danesi, al fine di «conquistare alla letteratura italiana i più bei libri del mondo moderno» (Borgese 1930, 6).

Il nome “romantica” rimanda al genere letterario in essa più rappresentato, ovvero il romanzo, genere transnazionale per definizione e prediletto da Borgese come forma narrativa ideale della modernità. L’ininterrotta frequentazione dei classici ottocenteschi, unita alla costante riflessione su un’opera come il Faust – problematica soprattutto dal punto di vista della struttura compositiva – è alla base della rivalutazione del romanzo come genere “costruttivo” che Borgese, in controtendenza rispetto alle linee dominanti del campo letterario italiano, propugna fin dai primissimi anni venti, e che prende corpo con la stesura di Rubé, del 1921, e del saggio Tempo di edificare, del 1923 (Giudicetti 2005).

Borgese traduttore: Peter Schlemhil e Werther

L’importazione dei classici stranieri passa necessariamente per un canale a cui Borgese riserva una speciale cura: quello della traduzione. Già all’inizio degli anni dieci interviene nel dibattito sorto intorno alla versione italiana della Giuditta di Hebbel, pubblicata nel 1911 dalla Casa editrrice italia di Firenze, opera di Scipio Slataper e Marcello Löwy. Borgese la recensisce commentando minuziosamente le scelte dei due traduttori (Borgese 1911a). La «Biblioteca romantica» è l’occasione per mettere in atto le sue idee su quale sia il modo adeguato di tradurre, idee che vengono espresse nella postfazione al primo volume della collana, La Certosa di Parma di Stendhal (Borgese 1930b). Il progetto della collana è quello di «farne una raccolta di capolavori romantici e stranieri in veste italiana e classica», presentando «cinquanta cose belle tradotte bene»: e «tradurre bene» significa, come spiega nella postfazione, lavorare direttamente sulla lingua originale, non apportare al testo tagli o modifiche arbitrarie, e soprattutto scrivere in «piana lingua italiana corrente, senza sfoggi arcaici e vernacolari». Borgese esige inoltre che i traduttori siano non soltanto competenti, ma anche interessati all’opera su cui lavorano, e si incarica personalmente di leggere e revisionare le traduzioni dalle lingue che conosce («nessuna pagina si stampa se il direttore non l’ha letta e occorrendo riletta»).

Le sue competenze in fatto di traduzione, del resto, non sono soltanto teoriche. Nel 1924 ha tradotto per l’editore Modiano di Milano il romanzo breve Peter Schlemihls Wundersame Geschichte di Adalbert von Chamisso, pubblicato con illustrazioni realizzate appositamente dal figlio Leonardo. Il titolo della sua versione, L’uomo senz’ombra, mette in primo piano l’episodio in cui il protagonista vende la propria ombra a un misterioso e demoniaco personaggio, e riconduce così anche questo lavoro nel tracciato della riflessione sul tema faustiano del “patto col diavolo” a cui da anni si interessa.

Tra il 1926 e il 1927 realizza inoltre una nuova traduzione dei Dolori del giovane Werther, che confluisce poi tra i titoli della «Biblioteca romantica» (Piola Caselli 2015). Le due opere sono indicative di come lavoro editoriale, scrittura e traduzione cooperino in Borgese a un unico fine, quello di mettere a disposizione dei lettori italiani nuovi linguaggi e nuove forme narrative capaci di raccontare e analizzare criticamente la modernità. Nella Nota che accompagna la sua edizione, Borgese sottolinea che il Werther

fa popolare la lingua tedesca fra i Tedeschi come non era mai stata se non per la Bibbia di Lutero; porta d’improvviso agli onori dell’Europa e del mondo una letteratura che s’era sempre dibattuta in strettoie nazionali, o provinciali; innalza definitivamente alla dignità dei generi illustri, epopea, tragedia, lirica, il romanzo moderno, l’epica in prosa, terzo stato letterario che da tempo stringeva d’assedio i privilegi accademici e ora li espugna di scatto.

Molte congiunture giovarono alla fortuna del Werther, ma tutte scaturenti dalla sua intima qualità; il cui segno principale è in una non mai prima raggiunta morbidezza dei passaggi da un tono sobrio, e fin arido, di conversazione e cronaca a enfasi e slanci ossianici, biblici, più che pindarici; dunque in una rivoluzione linguistica e metrica, interamente attuata, perché l’umiltà della prosa è intrinseca al realismo della materia (Borgese 1930, 273-274).

Questa straordinaria varietà linguistica, che rende il romanzo aderente alle diverse situazioni narrative, è dunque l’aspetto che Borgese si impone di riprodurre con maggior cura nella sua versione italiana (Biagi 2018):

La scrissi negli anni ’26 e ’27; e la rielaborai ripetute volte negli anni successivi. Volevo, quanto era in me, tenermi sempre fedele alla lettera; non abbellire mai dove il poeta volle scabra prosa; ma seguire anche, quanto le mie forze valevano, i ritmi alti; e tener conto di quella ricca e strana tessitura linguistica che il Leopardi notò (Borgese 1930, 175-176).

Il periodo americano e gli ultimi anni

L’attività di studioso e divulgatore della letteratura tedesca si riduce per Borgese con il trasferimento negli Stati Uniti, dovuto alle intimidazioni sempre più pesanti da lui subite a Milano da parte dei fascisti locali (Mezzetti 1978). All’inizio degli anni trenta, la modernità “americana” intuita vent’anni prima a Berlino gli è dunque di fronte nelle sue manifestazioni più avanzate, ed è proprio l’immersione nel continente americano che caratterizza la seconda fase della sua vita, durante la quale scriverà direttamente in inglese gran parte dei suoi saggi.

La conoscenza della lingua e della cultura tedesca gli permette comunque di entrare in contatto con scrittori e intellettuali esiliati dalla Germania e rifugiatisi negli Stati Uniti, tra cui in particolare Thomas Mann. Frequentando la casa dei Mann Borgese conosce Elisabeth, la figlia più piccola dello scrittore, che sposa in seconde nozze nel 1939 (Holzer 2004). Qui ha inoltre occasione di incontrare Hermann Broch, del quale condivide l’ideologia liberal-democratica e con il quale lavora al progetto di una costituzione universale (Saletta 2012).

Negli ultimi anni di vita Borgese tornerà a scrivere sulla letteratura tedesca, parzialmente riletta attraverso l’esperienza americana: a Kafka (In America con Kafka, 1950) e a Mann (L’ultimo Mann, articolo del 1951 su L’eletto) sono dedicati alcuni dei suoi ultimi scritti. È però ancora Goethe il punto di riferimento. Nella sua opera Borgese cerca la possibilità di un’arte capace di unificare l’umanità: intorno alla sua figura ruota la prolusione Goethe e l’Unità del mondo, che tiene all’Università di Milano il 13 settembre 1949, quando, dopo un esilio volontario di quasi vent’anni, rientra in Italia. Borgese riconosce a Goethe la capacità più alta per un poeta, quella di saper creare “miti” che vivono al di fuori delle opere letterarie anche nell’immaginazione di chi non le ha mai lette. I miti moderni a cui Goethe ha saputo dare vita sono essenzialmente tre: quello di Werther, quello di Faust, e quello di se stesso, ovvero il mito di un poeta che, portando il genio romantico oltre Werther e Faust, ricompone la poesia nell’unità organica delle facoltà umane (Borgese 1933; Borgese 1950)

Bibliografia

Bevilacqua 1996: Giuseppe Bevilacqua, La questione tedesca nella riflessione di G.A. Borgese, in «Rivista di letterature moderne e comparate», a. IL (1996), luglio-sett. (III), pp. 349-56

Biagi 2018: Daria Biagi, Una lingua per il romanzo moderno. Giuseppe Antonio Borgese editore e traduttore, in ‘La densità meravigliosa del sapere’. Cultura tedesca in Italia tra Settecento e Novecento, a cura di Maurizio Pirro, Università degli Studi di Milano, 2018 (in corso di stampa)

Borgese 1909: Giuseppe Antonio Borgese, La nuova Germania, Torino, Bocca, 1909

– 1909-1912: Giuseppe Antonio Borgese, Dispense delle lezioni di letteratura tedesca per gli a.a. 1909-1910, 1910-1911 e 1911-1912, Archivio Storico Sapienza Università di Roma (inedite)

– 1910: Giuseppe Antonio Borgese, Lettera a Benno Geiger del 30.12.1910, in Benno Geiger e la cultura italiana, a cura di Francesco Zambon e Elsa Geiger Ariè, Firenze, Olschki, 2007, p. 28

– 1911a: Hebbel e la “Giuditta”, in «La Cultura», XXX, 9, 1.5.1911 (poi in Giuseppe Antonio Borgese, La vita e il libro. Terza serie, Torino, F.lli Bocca, 1913, pp. 291-304

– 1911b: Giuseppe Antonio Borgese, Mefistofele. Con un discorso sulla personalità di Goethe, Firenze, Casa editrice italiana, 1911

– 1917: Giuseppe Antonio Borgese, La nuova Germania: la Germania prima della guerra, Milano, Treves, 1917

– 1930a: Biblioteca Romantica diretta da G.A. Borgese, Milano, Mondadori, 1930

– 1930b: Giuseppe Antonio Borgese, Postfazione a Stendhal, La Certosa di Parma, «Biblioteca romantica» 1, Milano, Mondadori, 1930, pp. 671-692

– 1930c: Giuseppe Antonio Borgese, Nota a Volfango Goethe, I dolori del giovane Werther, tr. it. di G.A. Borgese, «Biblioteca Romantica» 2, Milano, Mondadori, 1930, pp. 271-276

– 1933: Giuseppe Antonio Borgese, L’eredità di Goethe, in «La Lettura» (Supplemento mensile del «Corriere della Sera»), 1.1.1933, pp. 29-35

– 1950: Il mito di Goethe, «Nuova Antologia», giugno 1950, fasc. 449, pp. 113-127

– 1962: Giuseppe Antonio Borgese, La città assoluta e altri scritti, a cura di Mario Robertazzi, Milano, Mondadori, 1962

Calvino 1981: Italo Calvino, La “Romantica”, in «Nuova Antologia», aprile-giugno 1981, fasc. 2138, pp. 195-202

Geiger 1953: Benno Geiger, Memoria di G.A. Borgese, in «Nuova Antologia», giugno 1953, pp. 191-209

Ghidetti 1970: Emilio Ghidetti, Borgese, Giuseppe Antonio, in Dizionario biografico degli italiani, vol. XII, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1970, pp. 574-579

Giudicetti 2005: Gian Paolo Giudicetti, La narrativa di Giuseppe Antonio Borgese: una risposta alla crisi letteraria e di valori del primo ‘900, Firenze, Cesati, 2005

Holzer 2004: Kerstin Holzer, Elisabeth Mann Borgese: ein Lebensportrait, Frankfurt am Main, Fischer, 2004

Mezzetti 1978: Fernando Mezzetti, Borgese e il fascismo, Palermo, Sellerio, 1978

Olivieri 2002: Mariarosaria Olivieri, Per una cultura europea: le lettere di Giuseppe Antonio Borgese a Otto von Taube (1907-1952), Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2002

Piola Caselli 2015: Chiara Piola Caselli, G.A. Borgese traduttore del Werther, in «Kwartalnik Neofilologiczny», a. LXII (2015), n 2, pp. 171-180

Saito 1985: Nello Saito, Borgese germanista, in G.A. Borgese. La figura e l’opera, Atti del convegno nazionale (Palermo – Polizzi Generosa, 18-21 aprile 1983), a cura di Giorgio Santangelo, Palermo, STASS, 1985, pp. 451-459

Saletta 2012: Ester Saletta, The City of Man. Il contributo politico-ideologico di Giuseppe Antonio Borgese e di Gatano Salvenimi all’utopia democratica di Hermann Broch, Roma, Aracne, 2012

Rubino 1995: Mario L. Rubino, L’idea di germanesimo in G.A. Borgese, in Latinità e germanesimo. Incontri e scontri culturali fra Ottocento e Novecento. Atti del Colloquio italo-tedesco di Palermo, 20-21 maggio 1994, Palermo, Flaccovio, 1995, pp. 77-87

– 2002: Mario L. Rubino, I mille demoni della modernità. L’immagine della Germania e la ricezione della narrativa tedesca contemporanea in Italia fra le due guerre, Palermo, Flaccovio, 2002

Sciascia 1985: Leonardo Sciascia, Per un ritratto dello scrittore da giovane, Sellerio, Palermo 1985

Staderini 2000: Alessandra Staderini, La Facoltà nei primi decenni del Novecento (1900-1920), in Lidia Capo – Maria Rosa De Simone, Storia della Facoltà di Lettere e filosofia de “La Sapienza”, Roma, Viella, 2000, pp. 451-507

Vitiello 1990: Pippo Vitiello, Lettura del traduttore, lettura della traduzione: “La Certosa di Parma” e il progetto della Biblioteca romantica Mondadori, in «Esperienze letterarie», 1990, XV, pp. 43-78