Un anno con Darwin

di Piernicola D’Ortona e Maristella Notaristefano

autori, insieme a Paola Mazzarelli, di Janet Browne, Darwin. L’evoluzione di una vita, Milano, Hoepli, 2018 (da Charles Darwin. A Biography, Vol. 1, Voyaging; Vol. 2, The Power of Place, New York, Alfred A. Knopf, 1995-2002)

Quando s’imbarcò sul Beagle per il viaggio che lo avrebbe portato in giro per il mondo, Charles Darwin aveva ventidue anni. A Edimburgo, più che agli studi di medicina, s’era dedicato a coltivare curiosità naturalistiche. Altrettanto aveva fatto a Cambridge, dove il padre Robert l’aveva mandato perché diventasse pastore anglicano. Amava cavalcare e andare a caccia di pernici, lepri e fagiani oppure di insetti, da entomologo in erba ma agguerrito qual era. Insomma, alla partenza dall’Inghilterra, Darwin era un naturalista dilettante e immaginava che al ritorno sarebbe diventato un curato di campagna, con tanto tempo libero per i suoi disparati interessi naturalistici.

Questa traduzione è stata un lungo viaggio e, quando l’abbiamo intrapreso, di Darwin ne sapevamo suppergiù quanto chiunque altro. Ci imbarcavamo con quella punta di incoscienza e dilettantismo che aveva animato il giovane ed entusiasta Charles. Di tempo e modo per scoprire chi era ne abbiamo avuti: un po’ più di un anno, un migliaio di pagine. Un testo così lungo dapprincipio spaventa, soprattutto dopo aver passato un mese tra stesure e riletture del primo capitolo; poi diventa un veliero su cui navigare, imparando a conoscerne i recessi e a calibrare la resa tra i passi aneddotici e leggeri, le tante citazioni dalla corrispondenza, col suo lessico famigliare a volte oscuro, le panoramiche storiche, le parti di argomento più strettamente scientifico. Si lavora sulla struttura dell’italiano – e in questo a indicare la rotta è stata Paola –, aggiungendo connettivi e nessi logici o costruendo la sintassi in modo da esplicitare al lettore il procedere delle argomentazioni. Perché se il lettore non capisce, si annoia, e magari il libro lo butta dalla finestra. E nel caso specifico sarebbe un bel guaio per l’ignaro passante di turno. Si studia e si legge tanto, e qualche volta si soffre il mal di mare, perché bisogna destreggiarsi tra geologia e botanica, zoologia e paleontologia, storia della scienza e dell’evoluzionismo, e chi più ne ha più ne metta.

Al viaggio che attraversava tutte queste discipline si è accompagnato un viaggio nelle parole e nel pensiero, perché se di una scoperta possiamo fare tesoro è senz’altro l’aver visto dipanarsi sotto i nostri occhi – e sotto le dita che battevano sulla tastiera – la lenta e combattuta nascita di una teoria. Forse la vera cartina di tornasole di quanto fu travagliata la concezione della teoria darwiniana – oltre alle battute d’arresto e agli scrupoli della più varia natura – è la continua battaglia con le parole in cui si trovava impigliato Darwin. Gli scienziati in generale – e tanto più il padre dell’evoluzionismo, vista la novità delle sue idee – a quei tempi una lingua dovevano ancora in gran parte inventarsela; e la loro tensione verso la chiarezza, l’oggettività, fu un cammino tutt’altro che lineare. Per chi traduce, una lezione di metodo. Ma in certi casi soprattutto una sfida, poiché il corpo a corpo che Darwin e i suoi colleghi ingaggiavano con la lingua dovevamo affrontarlo di riflesso anche noi. Da lì la grande fatica di interpretare le parole più vaghe, le intuizioni accennate, i concetti ancora abbozzati ma destinati a sbocciare – o a volte a subire una sonora smentita (ebbene sì, anche Darwin qualche abbaglio l’ha preso). Ci sono, per esempio, le oscure lettere in cui Darwin si avventurava da neofita nei misteri della fisiologia vegetale e che facevano strabuzzare gli occhi persino a John Stevens Henslow, suo mentore scientifico. Se addirittura lui si diceva sconcertato dalla terminologia dell’ex allievo, figuratevi quanto è costato a noi comprendere certi meccanismi cellulari nelle piante insettivore (dalla nostra abbiamo potuto contare su oltre un secolo di studi darwiniani e su commenti – anche online – alle sue opere).

La bussola del viaggio ce l’hanno data proprio i protagonisti di queste vicende, meravigliosi autodidatti, sostenuti da una inestinguibile curiosità.