UNA NUOVA RUBRICA A DISPOSIZIONE DEI TRADUTTORI
In ogni libro tradotto, c’è una pagina mancante. È la pagina in cui il traduttore racconta come e perché dal testo originale, attraverso molteplici stesure, parole scritte e cancellate, appunti su taccuini e letture di contorno, ha scelto le parole che, a una a una, nero su bianco, compongono il libro che tenete in mano.
Se avete letto La pagina bianca di Karen Blixen (in Ultimi racconti, Adelphi, 1982, traduzione italiana di Adriana Motti), sapete che in letteratura esiste un convento, «tra le azzurre montagne del Portogallo», dove le monache carmelitane producono il lino più fine del paese, un lino così «liscio, delicato e liliale» che le monache forniscono le lenzuola nuziali perfino alla casa reale. Nel convento, ormai in rovina, esiste altresì una galleria, «col pavimento di marmo bianco e nero», dove le monache hanno il privilegio di esporre, in cornici dorate ciascuna con il nome di una principessa, i riquadri di lenzuola che raccontano la prima notte di una lunga successione di coppie regnanti. Al centro della galleria, in una cornice senza nome, vi è un riquadro di fronte al quale più a lungo si soffermano le visitatrici, spesso anziane damigelle d’onore in pellegrinaggio, e perfino la Madre Badessa si raccoglie in meditazione, ed è il riquadro dove il lino è perfettamente candido. «Dove il narratore è fedele, eternamente, inflessibilmente fedele alla sua storia, là, alla fine, parlerà il silenzio,» chiosa la vecchia narratrice del racconto.
Ora «tradurre» vuole inaugurare la sua galleria di «quinte di copertina», pagine aggiunte a libri tradotti di recente pubblicazione in cui il traduttore racconta il senso del suo lavoro. L’apologo non scoraggi i lettori: chi meglio di questa redazione sa che un traduttore non lavora nel ritiro ovattato di un talamo regale, bensì in stanze di cui si racconta altrove, con un’ottima connessione internet e la porta socchiusa sul mondo editoriale, il cui brusio è più simile al frastuono di un salone del libro che al rumore di passi solitari nella galleria di un convento, e sul mondo tutto. La nostra nuova rubrica offre la parola ai traduttori perché ci raccontino le loro scelte nello spazio di una pagina. E intende farlo all’insegna della più grande varietà possibile di lingue, voci e generi letterari, purché di un libro si tratti. Accogliamo proposte.
I primi traduttori a condividere con noi le loro scelte sono:
Fulvio Ferrari per Cees Nooteboom, Tumbas, Milano, Iperborea, 2015
Giacomo Longhi per Mahsā Moḥeb‘ali, Non ti preoccupare, Firenze, Ponte 33, 2015
Giuseppe Girimonti Greco per Pierre Boileau e Thomas Narcejac, La donna che visse due volte, Milano, Adelphi, 2016 (tradotto insieme con Federica Di Lella)