di Carlo Prosperi, autore di
Edmund De Waal, La strada bianca. Storia di una passione, Torino, Bollati Boringhieri, 2016 (da The White Road, London/New York, Chatto & Windus/Farrar, Straus & Giroux, 2015)
«Noooooooo!» Sono nella sala lettura della Sormani, la biblioteca comunale di Milano. Fantozzianamente vorrei lanciarmi contro la finestra per sfogare l’urlo di dolore e invece devo trattenerlo, rispettare il silenzio. Tra le mani ho il terzo volume delle opere complete, edizione Sansoni 1957, di Defoe. Sto cercando la traduzione di un brano tratto da A tour thro’ the whole island of Great Britain e ho appena scoperto che i curatori lo hanno espunto dall’edizione italiana.
Anche questo è successo mentre traducevo per Bollati Boringhieri La strada bianca di Edmund de Waal. La scrittura del ceramista inglese è infarcita di citazioni tratte dalle fonti più eterogenee: la poesia degli amati Auden, Celan, Dickinson, Rilke, il grande romanzo europeo e americano, la filosofia, l’architettura e non solo. Rispetto a Un’eredità di avorio e ambra, che pure mi aveva costretto a installarmi per parecchi giorni in diverse biblioteche, questo libro presentava una mole di citazioni di gran lunga superiore. E dunque, oltre al “normale” lavoro di traduzione sullo stile, sul giro di frase, oltre alla documentazione sulla terminologia tecnica relativa alla porcellana, eccomi partire – in senso letterale – per andare a raccogliere queste schegge di letteratura e di sapere. Vuoi mettere, il colore, il sapore di un testo del Settecento, dell’Ottocento, tradotto nell’italiano di quel tempo? Per non parlare dell’azzardo di tradurre ex novo frammenti così diversi estrapolati per giunta dal loro contesto originario… (ho comunque dovuto farlo, nel caso di testi mai usciti in italiano o resi con traduzioni obsolete e inadeguate).
Un rapido calcolo mi dice che nel corso del lavoro sulla Strada bianca ho consultato oltre duecento volumi, per arrivare ai quali è servita ovviamente un’attività di ricerca che ha acquistato a volte i contorni dell’indagine. Poiché accanto alle citazioni esplicite mi è sembrato opportuno (direi necessario, per ottenere una traduzione fedele e rispettosa) risalire anche alle fonti cui l’autore aveva a sua volta attinto nella sua fase di ricerca e documentazione.
Questa traduzione può insomma quantificarsi in chilometri. Gli oltre mille che mi sono sciroppato per raggiungere varie biblioteche d’Italia (e sarebbero stati di più se i vincoli di tempo non mi avessero costretto a rinunciare ad alcune tappe come il Museo internazionale della ceramica di Faenza), oppure i chilometri percorsi dai libri-Maometto per arrivare alla montagna della mia scrivania (dietro la quale a un certo punto ero davvero sepolto): per esempio il numero di agosto 1970 della rivista «American Heritage» acquistato dagli Stati Uniti e contenente il resoconto completo dell’avventura nei territori cherokee di Thomas Griffiths, emissario del grande ceramista inglese Wedgwood. O l’edizione inglese del T’ao Lu, fondamentale compendio della porcellana cinese. O ancora la biografia dell’alchimista Johann Friedrich Böttger. Naturalmente in tedesco (oh, io il tedesco non lo conosco, ma chissà, pensavo, potrebbe essermi utile in qualche modo… Ricevuto il pacchetto, scopro che è scritta oltretutto in caratteri gotici – eppure la mia copia porta evidenziato in azzurro qualche nome, qualche data, conforto insensato e forse un po’ morboso).
E poi i testi scaricati (grazie, Internet!), dalla Mineralogia Cornubiensis agli scritti del mistico Swedenborg, dal T’ao Shuo (l’altra “bibbia” della porcellana cinese) alle Lettere edificanti dei gesuiti cinesi.
Era tutto sommato inevitabile che in tutto questo spulciare, compulsare, scartabellare ci fosse qualche momento di sconforto, o di delusione, come quello che ho descritto in apertura o quello in cui ho scoperto che l’edizione italiana della monumentale Scienza e civiltà in Cina di Needham non comprende (mi sarebbe stata utilissima!) la trattazione sulla porcellana. Ma, lo confesso, mettermi sulla strada per questo nuovo libro di de Waal è stato anche molto, molto divertente.