L’autonomia materiale e intellettuale della “vedova del martire”

ADA PROSPERO MARCHESINI GOBETTI ANGLISTA E AMERICANISTA

di Ersilia Alessandrone Perona

Ada Prospero con Benedetto Croce a Meana in Val di Susa

La pubblicazione della prima biografia di Ada Prospero Marchesini Gobetti (1902-1968), apparsa negli Stati Uniti per opera di Jomarie Alano, ha richiamato l’attenzione sull’attività di traduttrice dall’inglese di una donna nota soprattutto per il suo sodalizio con Piero Gobetti, icona dell’antifascismo, e per la sua azione di combattente antifascista e di educatrice (Alano 2016). Ricostruendone nella sua interezza l’esperienza, l’autrice colloca il lavoro grazie al quale Ada acquisì un suo profilo professionale a partire dagli anni trenta (per quanto defilato, come per la maggior parte delle traduttrici e traduttori nel periodo fra le due guerre) nel percorso di resistenza che secondo la studiosa americana connotò tutta la sua vita. Alano assume infatti il concetto angloamericano di Resistance, nel senso di Civil Disobedience, di disobbedienza civile, e lo applica ai diversi tipi di prevaricazione a cui Ada si oppose, sottolineando, a proposito delle traduzioni, il carattere politico delle sue scelte nel periodo fascista: Translating books from English into Italian, encumbered by censorship and the difficulty of getting books from England, represented an attempt to preserve the free exchange of ideas so severely restricted by the Fascists (Alano 2016, 201: tradurre libri dall’inglese all’italiano, ostacolata dalla censura e dalla difficoltà di farsi venire libri dall’Inghilterra, costituiva un tentativo di difendere quello scambio di idee così difficile e tanto severamente limitato dai fascisti). Coerentemente col suo assunto, la biografa entra nel merito dei saggi storici e politici tradotti da Ada Prospero su impulso di Benedetto Croce nella seconda metà degli anni trenta, mentre riserva minore attenzione alle traduzioni letterarie e a quelle di vario genere da lei pubblicate nel secondo dopoguerra, concentrandosi sull’intensa attività politica e culturale svolta dal 1945 alla morte.

L’interesse per il segno politico piuttosto che per gli aspetti storico-letterari e linguistici delle traduzioni di Ada si era manifestato fin dai primi studi dedicati alla sua figura e alla sua opera, raccolti in un numero monografico della rivista «Mezzosecolo» (1989). Varato a venti anni dalla morte, il volume segnò la svolta dalla memoria amicale alla considerazione storiografica del personaggio, superando l’immagine stereotipata della “vedova di Piero Gobetti”. Vi era pubblicata fra l’altro, a cura di Sergio Caprioglio, una fonte preziosa per la ricostruzione della sua attività di traduttrice quale è il carteggio con Benedetto Croce, suo mentore nonché ascoltato consigliere editoriale, che l’aveva introdotta fra i collaboratori della prestigiosa casa editrice Laterza (Caprioglio 1989a). Lo stesso Caprioglio fece seguire alle lettere la prima bibliografia completa delle opere di Ada, che fu traduttrice dal russo, dal francese e soprattutto dall’inglese, insegnante d’inglese, oltre che scrittrice, saggista, giornalista. Nella sua premessa il curatore commentava: «La cultura antifascista trovò allora rifugio e stimoli nelle traduzioni: accanto ai Pavese, Vittorini, Polledro, Ginzburg, è giusto aggiungere il nome di Ada Prospero» (Caprioglio 1989 b). Proprio a partire dai nuovi contributi Goffredo Fofi auspicò, nello stesso volume:

Sulla sua attività di traduttrice non esiste uno studio esauriente. Prima o poi bisognerà pur affrontarla, perché essa è stata imponente, non solo nella traduzione dei classici inglesi e dei contemporanei americani, ma anche [per] il lavoro di presentazione e cura dei testi: le prefazioni, per esempio, o la cura e il montaggio di certi libri, come il Johnson/Boswell» (Fofi 1989, 314).

Fofi suggeriva implicitamente che lo studio delle traduzioni, sia sotto l’aspetto storico-culturale sia sotto quello linguistico e stilistico, avrebbe contribuito alla migliore conoscenza dell’autrice. Il suo invito non fu raccolto, per allora. I successivi lavori e le edizioni di nuove fonti si concentrarono in primo luogo sulla restituzione del profilo di una donna che aveva perseguito tenacemente l’affermazione della propria autonomia sentimentale e intellettuale, a partire dal rapporto con Piero Gobetti (Gobetti 2017) e sul suo rilevante ruolo nella disseminazione di nuovi modelli educativi (Carbone, Polito, Tarozzi 1989; Leuzzi 2014).

L’importanza delle sue traduzioni nel contesto degli anni trenta fu riproposta dalla pubblicazione del carteggio con Giuseppe Laterza e fu illustrata nell’importante saggio introduttivo della curatrice Maria Elena Mancini (Mancini 2006). Fondamentali per far conoscere quell’attività di traduttrice, i carteggi con Croce e Laterza tuttavia ne illuminavano solo una parte, sia perché non si era mai interrotta la collaborazione con altri editori per opere soprattutto letterarie, sia perché non si entrava nel merito delle traduzioni stesse.

Un contributo specifico venne da una linguista, Maria Rosa Favocci, frutto della sua tesi di laurea presso l’Università di Cassino, che prese in considerazione alcune traduzioni di letteratura americana fatte da Ada all’inizio degli anni trenta, esaminandone gli aspetti stilistici e linguistici: un lavoro promettente, ma solo indiziario (Favocci 2006), che purtroppo l’autrice in seguito non ha potuto sviluppare. Ma è stato il necessario approccio comparativo fra un testo originale e le sue traduzioni che ha consentito a Manuela Coppola, come si vedrà, di metterne in luce orientamenti e strategie, facendo emergere nuove implicazioni, quale il proto-femminismo (Coppola 2013).

Sono dunque molte e diverse le sollecitazioni provenienti dall’attività di traduttrice di Prospero. Questa nota vorrebbe essere un invito agli esperti a farne oggetto di una ricerca specifica, che si profila intrigante sia per il significato personale che ebbe per Ada Prospero la padronanza della lingua inglese, sia per indagarne più a fondo le scelte. Porterò qualche esempio.

Rispetto al primo tema è utile partire dall’uso che Ada fece dei propri cognomi come traduttrice, uso non privo di implicazioni. Quello di famiglia, Prospero, contrassegnò prima del matrimonio con Gobetti (1923) le sue precoci produzioni intellettuali, cioè le traduzioni dal russo fatte con il fidanzato a partire dal 1919, e riapparve dopo la morte in esilio di Piero, a Parigi nel 1926, quale firma delle numerose traduzioni dal russo, dal francese e soprattutto dall’inglese fra il 1927 e il 1939. Solo nelle pubblicazioni successive alla Liberazione Ada si riappropriò della sua firma completa, aggiungendo al cognome del secondo marito Ettore Marchesini, sposato nel 1937, quello di Gobetti, che per gli antifascisti era il suo cognome. Il ritorno al cognome da nubile durante il regime fascista va ricondotto a motivi diversi dalla cautela, essendo la sua persona ben nota alla polizia, che sorvegliava lei, la sua casa e la sua corrispondenza. Ripensando a se stessa all’inizio della vedovanza, Ada constatò, in un documento scritto nel 1962 ma pubblicato postumo nel 1989:

Se volevo continuare a vivere bisognava che mi costruissi una vita mia: una vita autonoma, non più sostenuta e assorbita da un’altra tanto più vigorosa; bisognava insomma che imparassi a camminare con le mie gambe e a pensare con la mia testa; e per questo dovevo fare, per così dire, un inventario delle mie capacità e delle mie forze, che avevo dimenticate – o forse mai saputo avere. In questo difficilmente potevano aiutarmi gli amici di Piero che in me continuavano inevitabilmente a vedere una parte e un riflesso di lui. Meglio persone che non l’avessero conosciuto e mi considerassero per quello che ero (Gobetti 1989, 13-14).

La lingua inglese ebbe una parte fondamentale in quella riappropriazione di sé. Come la rivoluzione bolscevica aveva suscitato in lei l’interesse per la Russia, così quello per i paesi di lingua inglese era maturato, verso la fine della prima guerra mondiale, per il ruolo della Gran Bretagna e degli Stati Uniti nel conflitto (Alessandrone 2016). Ma se la sconvolgente novità dei soviet aveva colpito Piero Gobetti fino a indurlo a studiare la lingua e a tradurre dal russo, coinvolgendo nell’impresa la fidanzata fin dall’autunno del 1918, non altrettanto era avvenuto per l’inglese, malgrado l’attenzione rivolta dalla sua prima rivista ,«Energie Nove», a diversi aspetti degli Stati Uniti, dalla politica di Wilson alla poesia di Walt Whitman. Ada Prospero lo studiò per suo conto all’università, e fu il suo primo contatto con la lingua: risulta infatti priva di fondamento la notizia, data in un articolo commemorativo e ogni tanto ripresa, che da adolescente avesse fatto soggiorni di studio in Inghilterra (Radaelli 1968, 10). Iscritta dall’autunno 1920 alla facoltà di Lettere e filosofia, ebbe come insegnante l’anglista Federico Olivero, cui si riconosce il merito di aver fondato su basi filologiche la disciplina (nonché la responsabilità di aver rifiutato la tesi di laurea di Cesare Pavese su Whitman, nel 1930), e noto per gli studi su Pope.

Nei quaderni di appunti di Ada è riassunto scrupolosamente il corso sulla letteratura inglese contemporanea da lui tenuto nel 1921-1922 (Archivio Prospero, unità archivistica 26/1, 2), ma nella sua corrispondenza con Piero non c’è alcun accenno al docente. Già conquistata da Shakespeare (lettera a Piero del 31 maggio 1920, in Gobetti 2017), in vista dell’esame si dedicò alla traduzione di Hamlet: «La preparazione a questo esame, se la faccio bene, mi sarà molto utile e perché mi servirà d’esercizio nel tradurre l’inglese, e perché mi dà occasione di conoscere perfettamente due tragedie [King Lear e Hamlet] e di affinare il mio gusto, facendone una minuta analisi estetica» (lettera 2 settembre 1921, ivi). Il gusto per la traduzione durò oltre l’esame, visto che un anno dopo si proponeva di riprendere «la letteratura inglese. Vorrei fare un bel lavoro su Shaw. E lo farò (lettera 8 settembre 1922, ivi).

È possibile che, coltivando una lingua che Piero non dominava, Ada si riservasse uno spazio suo, sentendosi libera dal controllo che l’onnisciente fidanzato esercitava sulle sue propensioni e i suoi gusti. Quel controllo aveva già scoraggiato i suoi promettenti studi musicali e trapela anche dalla replica di Piero ai primi entusiasmi di Ada per Hamlet, da lui presentato «come un’opera riuscita a metà» sia nella lettera del 4 settembre 1920, sia in un articolo pubblicato poco dopo nella sua rubrica di critica teatrale sull’«Ordine Nuovo»:

Oggi ho fatto l’articolo sull’Amleto che uscirà dopo domani. Quando saremo vicini leggeremo lungamente l’Amleto insieme – perché mi propongo di fare alcune analisi estetiche per mostrare come si debba fare la critica delle grandi opere d’arte: e l’Amleto sarà uno degli esempi. – Potrebbe darsi che facessi una collana di studi shakespeariani (lettera 6 settembre 1920, ivi).

Fortunatamente il proposito non ebbe seguito, forse proprio perché Gobetti si rendeva conto di non avere gli strumenti linguistici di cui invece disponeva per il russo. Sta di fatto che la ragazza coltivò seriamente il suo studio: fra i materiali di lavoro conservati nel suo archivio, ordinato e inventariato da Alessia Pedio presso il Centro Studi Piero Gobetti di Torino, le tracce del suo apprendistato linguistico e letterario sono molto consistenti, documentando in numerosi quaderni, a partire, come si è visto, dal 1921, uno studio assiduo negli anni. Le competenze acquisite furono messe a frutto per la prima volta nella tesi di laurea in filosofia teoretica discussa nel 1925 con Annibale Pastore, Considerazioni teoretiche sul pragmatismo anglo-americano e italiano, fondata sulla lettura delle fonti in lingua originale (Gobetti 1925). Con questo approccio Ada Prospero dette un’impronta propria al lavoro, che risentiva invece dell’influenza del marito quanto alla scelta del tema e ad alcuni giudizi di merito. A partire da questo lavoro data il contatto diretto di Ada con la cultura americana e il suo approccio al dibattito italiano in materia, che ne esaltava o deprecava la novità e le differenze rispetto alla cultura europea. Diffidente e insieme attratta, Ada riprendeva gli stereotipi più diffusi sul «paese barbaro, la cui educazione va appena formandosi […] con tutti i caratteri della goffaggine smaniosa e della selvaggeria brutale dei popoli primitivi» (Alessandrone 2016).

Dopo la morte di Piero, l’inglese divenne lo strumento della sua autonomia materiale e intellettuale, prima di tutto come gagne-pain – nel 1927-1928 lo insegnò come supplente al Liceo classico di Bra; e intanto si preparava al concorso a cattedra, che la portò a Savigliano e dal 1935 al Liceo Balbo di Torino – ma anche come apertura a un’attività culturale nuova e soddisfacente. Pur tornando a misurarsi col russo – nel 1927 pubblicò due traduzioni, I cadetti di Cuprin, per il piccolo editore Giani di Torino, e alcuni racconti di Tolstòj per la neonata Slavia (Caprioglio 1989b, 231) – si mise alla prova con la letteratura in lingua inglese:

Mi piaceva tradurre – raccontò a Croce nel loro primo incontro a Meana, nell’estate 1927 – […] avevo tradotto un romanzo di Thomas Hardy, che però non aveva potuto essere pubblicato, per una disavventura editoriale. M’ascoltò attentamente, prendendo nota nella sua ferrea memoria; e credo che ebbe origine di qui la mia modesta carriera di traduttrice (Gobetti 1989, 13-14).

Il russo, troppo legato al passato, fu lasciato da parte. Solo la condivisione delle cure per «Il Baretti», la rivista letteraria fondata da Gobetti nel 1924, che con alcuni amici – Santino Caramella, Augusto Monti, Piero Zanetti in particolare – la giovane vedova cercava di tenere in vita insieme alle relative edizioni in cui apparvero le opere postume di Piero, continuava a legarla alle attività e agli intellettuali che erano stati parte del suo mondo. Quando, nel 1928, per non cedere alle pressioni fasciste per il controllo del periodico, Ada e gli altri ne decisero la chiusura, un altro legame parve spezzarsi; ma i rapporti culturali e politici non vennero meno, e le traduzioni di letteratura inglese e americana con le quali ella esordì nel 1930-1932 ne furono un segno eloquente, a partire dalla scelta dei testi e degli editori.

In un contesto già segnato dalla proliferazione di traduzioni di narrativa americana di largo mercato, lanciata da editori intraprendenti che miravano a industrializzare la produzione e a trasformare radicalmente il rapporto con i lettori (Dunnet 2015), Ada si interessò ai giovani autori inglesi e americani, poco noti in Italia o conosciuti tramite traduzioni francesi, come aveva constatato nel «Baretti» Arrigo Cajumi (Cajumi 1927). Dopo il non precisato romanzo di Thomas Hardy di cui aveva parlato con Croce, Ada tradusse The White Monkey (1924) di John Galsworthy per la casa milanese Corbaccio, impegnata nella traduzione delle opere complete dell’autore britannico (Prospero 1930): l’invito le era stato rivolto probabilmente dallo stesso curatore dell’edizione, Gian Dàuli, pioniere della diffusione in Italia della letteratura straniera contemporanea (Marchetti 2017) o dal proprietario della casa editrice Enrico Dall’Oglio, entrambi già in rapporto con Piero Gobetti. Con la traduzione seguente, Winesburg, Ohio di Sherwood Anderson, del 1931, cominciò la collaborazione con la casa editrice Slavia, fondata nel 1926 da Alfredo Polledro e dalla moglie Rachele Gutman, già sua insegnante al tempo dello studio del russo con Piero. Non solo era la prima traduzione italiana dei racconti dello scrittore americano, ma apriva la collana «Occidente» con la quale la Slavia estendeva il suo orizzonte fino ad allora connotato dal «Genio russo» (Prospero 1931): quella di Ada non solo era la prima traduzione italiana dei racconti dello scrittore americano, ma inaugurava la collana «Occidente» con la quale la Slavia intendeva estendere alle letterature europee occidentali e alle Americhe il suo orizzonte fino ad allora connotato dal «Genio russo» e dal «Genio Slavo» (Béghin 2009).

Un nuovo rapporto editoriale iniziò nel 1932 con la traduzione delle commedie di O’Neill, The Moon of the Caribbees, and Six Other Plays of the Sea (1919) e The Emperor Jones (1921), apparsa nella raffinata veste della «Biblioteca europea diretta da Franco Antonicelli» presso la casa editrice Frassinelli appena fondata (Prospero 1932a). La collaborazione proseguì anche dopo la separazione del direttore dall’editore nel 1936, sia con la Frassinelli, sia con la Francesco De Silva creata dallo stesso Antonicelli nel dopoguerra (D’Orsi 2000, cap. V). Invertiti i ruoli, era lei ora a collaborare alle imprese editoriali di amici che avevano fatto propria e rafforzavano l’apertura internazionale del «Baretti». Di lì a poco, come vedremo, avrebbe tradotto anche per Laterza, che con Slavia e Frassinelli sarebbe stato il suo editore sino alla fine della guerra. In seguito si sarebbero aggiunti Bompiani, Garzanti, Mondadori e altre case minori. Sarebbe interessante sondare quanto Ada abbia contribuito alle scelte editoriali di Slavia e di Frassinelli, ricerca non facile, oltre che per la povertà dei residui documentari delle due case editrici, anche a causa della comune residenza torinese, che comportava contatti e conversazioni personali non documentati. i lì a poco, come vedremo, cominciò l’importante lavoro per Laterza, che con Frassinelli sarebbe stato il suo editore sino alla fine della guerra, essendo cessata nel 1934 l’attività di Slavia; ma va considerata anche la contemporanea produzione di testi scolastici, pubblicati dalla salesiana Società Editrice Internazionale: un’edizione annotata di A Midsummer-Night’s Dream di Shakespeare (1934), l’antologia Beyond the Channel. Libro di letture inglesi (1935) realizzato con la collega Maria Luisa Cervini, direttrice di una collana della SEI e suo tramite in quell’ambiente; Little Men di Alcott (1937).

Se nel «Baretti» la letteratura anglo-americana contemporanea era stata un po’ meno presente e focalizzata rispetto alla tedesca e alla francese, nelle scelte di Ada essa ebbe caratteri ben definiti, rivolgendosi ad autori che interpretavano la crisi della loro società: l’inglese Galsworthy, che «dipinge, in tono di malinconico pessimismo, questo processo di disgregazione e i fenomeni concomitanti d’irrequietezza e di malessere», secondo un giudizio che si legge in un suo più tardo saggio sulla letteratura inglese (Prospero 1942a, 757); e soprattutto i giovani scrittori americani, che «hanno dichiarato guerra alla cristallizzazione […] in cui la civiltà vorrebbe costringere la vita multiforme e diversa» e al «bruto empirismo mascherato da un’insipida coloritura sentimentale» di gran parte della letteratura del loro paese: «Di fronte alle costruzioni artificiose ed ottimistiche, alla moralità degli uomini troppo sicuri di sé, essi oppongono la intimità delle coscienze, la verità del dubbio e della sconfitta», scriveva Ada Prospero nella prefazione a Solitudine, titolo della sua traduzione con il quale interpretava il senso dei racconti di Winesburg, Ohio.

Colpiscono, in questi giudizi, sia la lontananza dagli stereotipi sulla giovane barbarie del popolo americano diffusi nella tesi sul pragmatismo, sia l’affinità col giudizio che di Anderson dette Cesare Pavese in un saggio apparso qualche mese dopo sulla rivista «La Cultura», in cui egli illustrava «la lotta che Sherwood combatte dentro di sé per spezzare e dissolvere le frasi fatte, le abitudini, le pigrizie e idiozie borghesi, americane, industrialistiche, che pesavano (e pesano ancora) sull’arte, sulla narrativa, sulla vita interiore di quel popolo» (Pavese 1931, 48-49). Come Pavese – traduttore a sua volta di Anderson, di cui pubblicò l’anno seguente presso Frassinelli Riso nero (Pavese 1932) – Ada cercava non di giudicare dall’esterno ma di cogliere nella letteratura le inquietudini e le fratture di quella società: ciò appare anche nella sua introduzione al teatro di O’Neill, collocato nel «periodo più maturo della riflessione e del dubbio, della tormentosa ricerca. […] Nel suo simbolismo è adombrata la tragedia dell’americano che muove alla conquista di se stesso dopo aver conquistato il mondo fuori di sé» (Prospero 1932b).

Il suo interesse per la letteratura americana contemporanea è confermato dalle successive traduzioni del romanzo della scrittrice e antropologa afroamericana Zora Hurston, Their Eyes Were Watching God: a milestone in feminist African-American literature (Coppola 2013, 86: pietra miliare della letteratura femminista afroamericana; cfr. anche Fofi 2009), storia di una giovane donna di colore che afferma la propria autonomia sentimentale e sociale nel vivido contesto delle comunità nere del Sud dopo l’emancipazione (Hurston 1938). Nella sua prefazione Ada, che mostra di conoscere l’opera complessiva di Hurston, collocava l’autrice nel filone del realismo americano di Dreiser, Anderson, O’Neill, Sinclair Lewis, Dos Passos, ma ne riconosceva l’originalità nella presentazione della comunità nera, vista non «dal di fuori» ma con la consapevolezza di «una donna e di una negra», in grado diva descriverla «per origine, preparazione, tendenza e passione». Nell’analizzare le scelte linguistiche e stilistiche della traduttrice, Coppola (2013, 87) sostiene: Ada Prospero’s incredibly well-timed timely translation, allowed us to suggest how Prospero was a feminist translator ante litteram, utilizing at times what may be described as proto-feminist translating strategies (la traduzione di Ada Prospero, incredibilmente tempestiva e opportuna in quel momento, ci consente di affermare che Prospero sia stata una traduttrice femminista ante litteram, che a volte utilizza quelle che si possono definire delle strategie traduttive protofemministe – traduzione mia). Pur riconoscendo l’assenza di an explicit feminist commitment, cioè di un esplicito impegno femminista, la studiosa percepisce che alla radice di alcune soluzioni adottate da Ada c’era la sua profonda sintonia con la volontà della protagonista di realizzare se stessa e di emanciparsi dal maschio nero non meno che dai bianchi; sintonia dichiarata dalla stessa Ada, alla fine della sua prefazione, come «intima adesione spirituale». Avendo presente il percorso sentimentale e intellettuale di Ada, ritengo che si possa riconoscere nella traduzione di Hurston l’anello mancante fra la sua vicenda personale – ricordiamo che nel 1937, dopo lunga esitazione, si era riappropriata della sua dimensione sentimentale e sessuale sposando Ettore Marchesini – e la presa di coscienza dei diritti delle donne che avrebbe connotato la sua azione nella Resistenza e nel dopoguerra.

Risale alla fine del decennio anche la traduzione di The Postman Always Rings Twice di James M. Cain, che lei apprezzava per la sua «magnifica nudità verbale» (Prefazione a Prospero 1938), ma che fu bloccato in bozze dalla censura fascista (Caprioglio 1989b, 238-39). Una sintesi sull’opera degli scrittori d’oltre oceano fu da lei delineata nel 1942 nel saggio Letteratura americana, che percorreva le fasi della creazione artistica in parallelo con lo sviluppo della società, segnalando le voci dissonanti, a partire dal classico Walden di Henry Thoreau e concludendo con la complessità della trilogia Mourning becomes Electra di O’Neill (Prospero 1942b). Non sappiamo per quali ragioni quel saggio sia molto meno esteso, essendo quasi privo delle previste citazioni antologiche degli autori, di quello sopra ricordato sulla Gioverà aver presenti le severe misure adottate dalla censura fascista nel periodo bellico riguardo alla cultura d’oltre oceano, come dimostra la lunga vicenda dell’antologia Americana curata da Elio Vittorini (Dunnet 2015). Con Déttore Ada avrebbe ancora collaborato nel dopoguerra, pubblicando numerose voci di letteratura americana, inglese e italiana nei nove volumi del Dizionario letterario delle opere e dei personaggi di tutti i tempi e di tutte le letterature da lui diretto fra il 1947 e il 1950 per Bompiani.

Malgrado tale persistente attenzione, nella storia dell’americanistica italiana negli anni trenta non ci sono tracce di Ada Prospero, come appare dai molti studi dedicati all’argomento, compreso quello recente dell’inglese Jane Dunnet sul «mito americano», che pure si è proposta di mettere in discussione la tradizione consolidata intorno ai nomi di Pavese e Vittorini (Dunnet 2015). Dunnet contesta l’associazione automatica fra americanismo e antifascismo, documentando le simpatie dei fascisti per gli Stati Uniti e il mix di attrazione e repulsione comune agli intellettuali di entrambe le parti; ma non prende in considerazione editori, traduttori, editori che, più che al “mito”, guardavano a un mondo e a una cultura da comprendere a fondo e far conoscere nella loro novità e specificità. Ada Prospero «vivamente interessata alla giovane letteratura nordamericana (ma estranea all’“americanismo” del più giovane Pavese» (Caprioglio 1989 b), era stata tra questi. Il fatto che il suo lavoro di traduttrice si sia sviluppato a partire dalla metà degli anni trenta intorno ad altri interessi, come vedremo, può aver influito sulla rimozione del suo ruolo rispetto alla letteratura americana. Ma proprio la sua nuova scelta di campo può essere derivata, oltre che da motivi contingenti, dalla percezione della difficoltà di rendere in italiano la lingua impastata di slang e di idiotismi degli autori per lei più interessanti, difficoltà che espose nelle citate prefazioni a O’ Neill e a Hurston:

Innovatore anche in questo, O’Neill ha portato sulla scena il linguaggio delle plebi, il gergo, le particolarità dei vari dialetti. Era impossibile, traducendo, conservare esattamente le differenze […] Ho preferito perciò far risaltare il diverso modo di parlare dei personaggi con forme idiomatiche italiane, più o meno trascurate ed energiche, tali da creare un tono generale con particolarità individuali.

Tale scelta, tuttavia, nella traduzione di The Moon of the Caribbees appiattisce il forte colore dei vari idiomi nazionali mescolati all’inglese approssimativo dei marinai, fino a farlo perdere. Analoga e diversa difficoltà presentò la traduzione di Hurston:

Se il gergo negro viene acquistando un valore letterario e diventa così una vera e propria lingua, bisognerà cercar di tradurlo non con un gergo informe, ma rendendone il tono e l’atmosfera. […] Perciò non ho seguito un criterio uniforme: ho conservato quanto più potevo del testo originale, evitando semplicemente di cadere nel grottesco e nel ridicolo. Del resto la fedeltà alle parole non ha senso quando non si fondi su un’intima adesione spirituale.

concludeva, dichiarando la sua affezione per quell’opera. La sua vigile libertà era in realtà il frutto di un lungo apprendistato, fatto sin dal 1919 nel tradurre con Piero Gobetti opere della letteratura russa contemporanea, come ha indicato Laurent Béghin, rilevando le deliberate «infedeltà» dei due giovanissimi traduttori (Béghin 2007). Ma il problema della «vera e propria lingua» della gente di colore era d’altro genere, come ben capì Pavese, che riconobbe «una nuova intramatura dell’inglese, tutta fatta d’idiotismi americani, di uno stile che non è più dialetto, ma linguaggio, ripensato, ricreato, poesia» e trasse ispirazione e forza dalle sue traduzioni per rinnovare profondamente anche l’italiano della sua narrativa (Pavese 1931, 42; Dunnet 1915, 435). Ada può esserne stata consapevole, riducendo di conseguenza il suo impegno in quella direzione.

Intanto si era aperta per lei nel 1934 una nuova stagione di traduzioni e di studi, che l’avrebbero portata a specializzarsi sulla letteratura inglese del XVIII secolo. Con l’invito di Benedetto Croce a tradurre Civitas Dei di Lionel George Curtis per la casa editrice Laterza, da lui guidata nell’impresa di rinnovare la cultura italiana (Garin 1991), ebbe inizio l’impegno di Ada nella saggistica inglese e la sua collaborazione con la casa barese, punto di riferimento per quanti ne apprezzavano la posizione non allineata al regime, oltre all’alto profilo scientifico-culturale: sette importanti traduzioni fino allo scoppio della guerra, che sommate all’insegnamento, assorbirono le sue energie lasciandole minore spazio per le opere letterarie, che pure non vennero meno, da momento che, oltre al libro di Hurston, al censurato Cain e a una scelta della corrispondenza di Alexis de Tocqueville con Nassau William Senior, anc’essa non pubblicata (Caprioglio 1989b, 234, 239), tradusse In Hazard di Richard Hughes (Prospero 1939). Il nuovo rapporto editoriale consolidava la sua professionalità, assicurandole anche una soddisfacente remunerazione, come appare dalla sua corrispondenza con Croce e con Giovanni Laterza (Caprioglio 1989a; Mancini 2006). Ma soprattutto costituiva un coinvolgimento, a lei molto congeniale, nel progetto politico-culturale di Croce.

L’opera del Curtis, infatti, perorava la creazione di una «repubblica mondiale», considerata come meta suprema, fondata su una politica che «tenda nella vita pubblica ad esercitare negli uomini il senso del dovere reciproco», e affiancava nelle edizioni laterziane libri di A. Fränkel, P. Léon dedicati all’etica della politica (Prospero 1935; cfr. Mancini 2002). Dopo il Curtis, Ada si dedicò al primo volume di A History of Europe dello storico H.A.L. Fisher, subito seguito dalla traduzione degli altri due, via via che uscivano in Inghilterra: Croce, che con la Storia d’Europa nel secolo XIX aveva di recente analizzato la crisi italiana inserendola in quella del mondo moderno, aveva salutato con interesse la pubblicazione di quest’opera che dal medioevo arrivava alla contemporaneità, considerandola «ottima per il nostro pubblico», e adoperandosi con Laterza perché la versione fosse affidata alla Prospero (lettera a Ada, 20 marzo 1935, in Caprioglio 1989a). E Ada aveva assunto l’impegno «con vera gioia», portandolo a termine nel marzo 1937. Proprio la pubblicazione del Fisher legò Ada al filosofo e all’editore in una difficile partita con la censura fascista, che nel 1939 decise il sequestro della seconda edizione dell’opera, di cui si era presto esaurita la prima (Coli 2002; Mancini 2006):

È stato segnalato da una Commissione detta della purga dei libri, per la soppressione. Perché, non si sa. Pare che si tratti dei giudizi, dati nell’ultimo capitolo, su Hitler. E, per pochi righi, si sopprime una storia di tre grossi volumi, che comincia dalla Grecia antica, e si fa un grosso danno, di 80 o 100 mila lire, al buon Laterza (Croce a Prospero, 8 febbraio 1939, in Caprioglio 1989a).

Seguirono altri 22 sequestri, con grave danno per l’editore, che reagì con dignità e fermezza (Laterza 2002, 14). Una misura analoga, come s’è detto, riguardò la pubblicazione del Cain presso Frassinelli, nella traduzione sopra ricordata della Prospero. Ada, che nonostante l’invito di Croce alla cautela volle sempre firmare i suoi lavori, continuò nelle sue collaborazioni senza che particolari misure la ostacolassero, come accadde invece alla sua amica Barbara Allason, la quale d’altronde si era più direttamente esposta sul piano politico (Petrillo 2017, 213-215).

Mentre l’ambito delle sue traduzioni si allargava secondo le linee della saggistica storica e filosofica delle collane Laterza (Caprioglio 1989b, voci 14-16, 18,19), Ada approfondiva e indirizzava le sue competenze anche verso la critica storico-letteraria inglese: al lavoro su Samuel Johnson, Esperienza e vita morale. Conversazioni con Boswell (Johnson 1939), seguirono negli anni di guerra i Saggi di Francis Bacon, il cui manoscritto, «risultato di mesi di lavoro, di ricerche, di fatica», fu nascosto durante un rastrellamento a Meana di Susa nell’agosto del 1944, poi recuperato e pubblicato nel 1948; sorte che non toccò al manoscritto del Senior-Tocqueville, nascosto nella stessa occasione, come risulta dal Diario partigiano (Gobetti 1956). Quelle drammatiche circostanze lasciarono un’impronta nella prefazione ai Saggi, nella quale Ada, dopo aver illustrato i «precetti di morale empirica» di Bacone, si soffermò sulla sua «forte passione etica», «la limpida affermazione di tolleranza e di cosmopolitismo»: «Bisogna […] considerar la propria anima non come “un’isola avulsa dalle altre terre, bensì come un continente ad esse strettamente legato”. Nulla deve far dimenticare all’uomo questa sua comune umanità» (Prospero 1948): considerazioni che riconducevano dal XVI secolo al terribile presente.

A Meana fu anche scritta nel 1940-42 la monografia Il poeta del razionalismo settecentesco. Alessandro Pope, pubblicata da Laterza nel 1943. Per questi studi Ada si era lungamente preparata, come mostrano quattro quaderni di fitti appunti sulla letteratura inglese del XVIII secolo e su Pope in particolare, datati 1938-1942 (Archivio Prospero, U.A. 28/1,2; 29/1,2), dai quali appare anche la cura di rendere lo stile dell’epoca, messa in pratica nella traduzione di un grande classico della letteratura inglese, The Life of Samuel Johnson di Boswell (Boswell 1954). Rigorosa fu invece la sua aderenza ai testi per le opere di saggistica: Croce considerò «veramente eccellente, fatta con somma diligenza e ottima anche come forma italiana» la sua traduzione del Curtis (lettera del 13 aprile 1935, in Caprioglio 1989 a).

Con questi lavori storico-letterari si entra nella piena maturità della produzione intellettuale di Ada, che si sarebbe sviluppata nel dopoguerra intrecciando la narrativa, la saggistica, il giornalismo alle traduzioni, le quali spaziavano dalla letteratura alla filosofia alla pedagogia, assecondando i suoi interessi prevalenti e il suo impegno politico-culturale. L’analisi delle sue scelte richiede un lavoro apposito, che si deve applicare anche ai rapporti editoriali: le sue collaborazioni si estesero a Bompiani, Garzanti, Mondadori, a case editrici di sinistra ma anche cattoliche, come la SAS e la SAIE della Pia Società San Paolo (Pizzigoni 2011), dove pubblicò narrativa per ragazzi, come non pochi laici suoi amici che nel difficile decennio successivo alla Liberazione traducevano per ragioni «alimentari», come scriveva a più riprese Giorgio Agosti agli amici (Jervis-Agosti 2009, passim). Forse per Ada, che oltre a versioni di testi dell’inglese Enid Blyton e dell’australiana Ruth Park, vi pubblicò alcuni suoi racconti (La musica più bella, sotto l’eteronimo Coletta Monforte, 1947; Cinque bambini e tre mondi, 1952) ci furono anche delle ragioni di strategia culturale che meriterebbero di essere sondate.

Per farlo, sono necessarie “energie nuove” e competenze adeguate.

Fonti e bibliografia

Alano 2016: Jomarie Alano, A Life of Resistance. Ada Prospero Marchesini Gobetti (1902-1968), University of Rochester Press, Rochester (vedine la recensione di Ersilia Alessandrone Perona, Ada Gobetti la «resistente», in «Il Sole 24 Ore», domenica 20 agosto 2017)

Alessandrone 2016: Ersilia Alessandrone Perona, Le provocazioni della ricerca. Gli Stati Uniti nelle riviste di Piero Gobetti, in «Passato e Presente», n. 97, gennaio-aprile, pp. 103-120

Archivio Prospero: Archivio Ada Prospero Gobetti Marchesini, presso Centro Studi Piero Gobetti, Torino

Béghin 2007: Laurent Béghin, Da Gobetti a Ginzburg. Diffusione e ricezione della cultura russa nella Torino del primo dopoguerra, Istituto storico belga di Roma, Brussel-Bruxelles-Roma

– 2009: Béghin, Laurent, Introduzione a L. Béghin e F. Rocci, Slavia. Catalogo storico, Centro Studi Piemontesi, Torino, pp. 9-53, 33-34, 41

Cajumi 1927: Arrigo Cajumi, Romanzi inglesi, in «Il Baretti», IV, n. 2, febbraio

Caprioglio 1989a: Carissima Ada, Gentilissimo Senatore. Carteggio Ada Gobetti – Benedetto Croce (1928-1952), a cura di Sergio Caprioglio, in Mezzosecolo», n. 7, Annali 1887-1989 del Centro Studi Piero Gobetti, Istituto storico della Resistenza in Piemonte, Archivio Nazionale Cinematografico della Resistenza, FrancoAngeli, Milano, pp. 46-227

– 1989b: Sergio Caprioglio, Bibliografia di Ada Prospero Marchesini Gobetti, in Mezzosecolo 1989, pp. 228-239. La bibliografia è stata ripubblicata in Centro Studi Piero Gobetti, L’anno di Ada. Per il trentesimo anniversario della scomparsa di Ada Prospero Marchesini Gobetti (1968-1998), supplemento di «Mezzosecolo. Materiali di ricerca storica», n. 11, Annali 1997, pp. 67-71: si veda, in questo stesso numero di «tradurre», l’elenco delle Opere di Ada Prospero Gobetti Marchesini nella rubrica «Strumenti»

Carbone, Polito 1989: Piera Carbone e Pietro Polito, Il «mestiere di genitore» per Ada, in «Mezzosecolo» n. 7, 1989 cit., pp. 336-361

Coli 2002: Coli, Daniela, Il filosofo, i libri, gli editori. Croce, Laterza e la cultura europea, Editoriale Scientifica, Napoli

Coppola 2013: Manuela Coppola, “Ah wants tuh utilize Mahself all over”: Feminist strategies in the Italian Translation of Zora Neale Hurston’s Their Eyes were watching God, in Bridging the Gap between Theory and Practice in Translation and Gender Studies, edited by Elonora Federici and Vanessa Leonardi, Cambridge Scholars Publishing, Newcastle upon Tyne, pp. 86-97

D’Orsi 2000: D’Orsi, Angelo, La cultura a Torino tra le due guerre, Torino, Einaudi

Dunnett 2015: Jane Dunnett, The mito americano and Italian literary culture under fascism, with a foreword by Massimo Bacigalupo, Roma, Aracne

Favocci 2006: Maria Rosa Favocci, Ada Gobetti traduttrice di letteratura anglo-americana, in Piero e Ada Gobetti: due protagonisti della storia e della cultura del Novecento, Atti del Convegno internazionale di studi, Cassino, 21-23 novemtbre 2001, a cura di Angelo Fabrizi, Roma, Domograf, pp. 941-49

Fofi 1989: Goffredo Fofi, Tra memorialistica e narrativa, in «Mezzosecolo», n. 7 cit., pp. 314-322

Garin 1991: Eugenio Garin, La casa editrice Laterza e mezzo secolo di cultura italiana, in Editori italiani tra Ottocento e Novecento, Roma-Bari, Laterza, pp. 109-127

Gobetti 2017: Piero e Ada Gobetti, Nella tua breve esistenza. Lettere 1918-1926, a cura di Ersilia Alessandrone Perona, Torino, Einaudi, nuova edizione rivista e accresciuta (prima edizione 1991)

Jervis-Agosti 2008: Willy Jervis, Lucilla Jervis Rochat, Giorgio Agosti, Un filo tenace. Lettere e memorie 1944-1969, Torino, Bollati Boringhieri (prima edizione 1998)

Laterza 2002: Vito Laterza, L’editoria italiana durante il fascismo, in Vito Laterza, Quale editore. Note di lavoro, prefazione di Tullio De Mauro, Roma-Bari, Laterza

Leuzzi 2014: Maria Cristina Leuzzi, Ada Gobetti e l’educazione al vivere democratico. Gli anni Cinquanta di Ada Prospero Marchesini, Roma Editoriale, Anicia; vedi anche, a cura della stessa studiosa, Ada Marchesini Gobetti, Educare per emancipare (scritti pedagogici 1953-1968), con una nota introduttiva di Goffredo Fofi, Manduria, Lacaita, 1982

Mancini 2006: Maria Elena Mancini, Promuovere movimenti di idee. Ada Gobetti, Croce e Laterza, Bari, Cacucci

Marchetti 2017: Mario Marchetti, Un provinciale cosmopolita. Gian Dàuli traduttore, editore, editor fra le due guerre, in tradurre. pratiche teorie strumenti. Un’antologia della rivista, 2011-2014, a cura di Gianfranco Petrillo, Zanichelli, Bologna, pp. 323-357 (già in «tradurre. pratiche teorie strumenti» – https://rivistatradurre.it), n. 7, autunno 2014)

Mezzosecolo 1989: «Mezzosecolo. Materiali di ricerca storica» n. 7, Annali 1987-1989, Centro Studi Piero Gobetti, Istituto storico della Resistenza in Piemonte, Archivio Nazionale Cinematografico della Resistenza, Milano, FrancoAngeli

Pavese 1931: Cesare Pavese, Sherwood Anderson, in «La Cultura», aprile 1931; poi in Cesare Pavese, La letteratura americana e altri saggi, Einaudi, Torino 1953, pp. 33-49

– 1932: Sherwood Anderson, Riso nero. Versione dall’americano di Cesare Pavese, Torino, Frassinelli (traduzione da Dark Laughter, New York 1925)

Petrillo 2017: Gianfranco Petrillo, Zia Barbara e Anita. Due grandi traduttrici dal tedesco: Barbara Allason e Anita Rho, in tradurre. pratiche teorie strumenti. Un’antologia della rivista, a cura di Gianfranco Petrillo, Bologna, Zanichelli, pp. 199-226 (già in «tradurre. pratiche teorie strumenti», nn. 1 (primavera 2012) e 2 (autunno 2012) – – https://rivistatradurre.it)

Pizzigoni 2011: Francesca Davida Pizzigoni, Dalla SAS alla SAIE: gli archivi storici di una casa editrice cattolica, in Gli archivi storici delle case editrici, a cura di Dimitri Brunetti, Centro Studi Piemontesi, Torino, pp. 87-132

Prospero 1925: Ada Gobetti, Considerazioni teoretiche sul pragmatismo anglo-americano e italiano, in Archivio del Centro studi Piero Gobetti, fondo Ada Prospero Gobetti Marchesini. La prima parte, riguardante il pragmatismo anglo-americano, è inedita. La seconda, Il pragmatismo italiano, è stata pubblicata a cura di Cesare Pianciola in «Mezzosecolo» n. 15, Annali 2003-2006, pp. 9-60

– 1930: John Galsworthy, La scimmia bianca, Primo volume della ‘Commedia umana’. Traduzione dall’inglese di Ada Prospero, Milano, Corbaccio (nella collana «Opere complete di John Galsworthy» a cura di Gian Dàuli) (da The white monkey, London 1924)

– 1931: Sherwood Anderson, Solitudine (Winesburg, Ohio). Prima traduzione italiana e prefazione di Ada Prospero, Torino, Slavia (da Winesburg, Ohio, New York 1919)

– 1932a: Eugene O’Neill, La luna dei Caraibi e altri drammi marini. L’imperatore Jones. Traduzione e introduzione di Ada Prospero, Torino, Frassinelli tipografo editore (da The Moon of the Caribbees, and Six Other Plays of the Sea,1919, e The Emperor Jones, 1921)

– 1932b: Ada Prospero, Introduzione a Prospero 1932a

– 1935: Lionel Curtis, Civitas Dei. Storia degli ideali dell’umanità. Traduzione italiana di Ada Prospero, Laterza, Bari. Con una Avvertenza firmata A. P. (da Civitas Dei, MacMillan, London 1934)

– 1938: Zora N. Hurston, I loro occhi guardavano Dio. Versione italiana e prefazione di Ada Prospero, Torino, Frassinelli tipografo editore (da Their Eyes were watching God, Philadelphia 1937)

– 1939: Samuel Johnson, Esperienza e vita morale. Conversazioni con Boswell. Traduzione e introduzione di A. Prospero, Bari, Laterza

– 1942a: Ada Prospero, Letteratura inglese, in Conoscenza. Le Lettere, a cura di Ugo Déttore, Milano, Bianchi-Giovini, pp. 667-761

– 1942b: Ada Prospero, Letteratura americana, in Conoscenza. Le Lettere, a cura di Ugo Déttore, Milano, Bianchi-Giovini, pp. 763-774

– 1948: Prospero, Ada, Prefazione a F. Bacone, Saggi. Traduzione e prefazione di A. Prospero, Francesco De Silva, Torino, pp. XVIII-XIX

– 1954: James Boswell, Vita di Samuel Johnson. Traduzione e prefazione di Ada Prospero, Milano, Garzanti, 3 voll. (da The Life of Samuel Johnson, 1791)

– 1989: Ada Gobetti, Ascoltar parlare Croce, in «Mezzosecolo» n.7, 1989, pp. 9-45

Radaelli 1968: Alda Radaelli, Un giorno a Reaglie, in «Il Giornale dei Genitori», n. 5-6-7, maggio-giugno-luglio, pp. 9-13

Tarozzi 1989: Ettore Tarozzi, Il «Giornale dei Genitori» nella pedagogia popolare degli anni ’60, in Mezzosecolo 1989, pp. 323-335