SCIPIO SLATAPER E LA LETTERATURA TEDESCA
di Lorenzo Tommasini
Gli anni della giovinezza
Scipio Slataper (Trieste, 14 luglio 1888 – Monte Calvario, 3 dicembre 1915) nasce a Trieste quando la città fa ancora parte dell’impero asburgico. A quell’epoca la situazione linguistica di questa zona presentava una sua complessità: nel centro città prevalevano gli italiani (che spesso usavano il dialetto), mentre nelle periferie erano maggioritari gli slavi, e in particolare gli sloveni. A ciò si aggiunga che l’amministrazione parlava tedesco e di discrete dimensioni appariva anche la componente germanofona. La situazione aveva portato, dalla seconda metà dell’Ottocento, ad animati scontri culturali tra le varie componenti e a un’accesa polemica nei confronti dell’amministrazione asburgica da parte del partito liberalnazionale che controllava il comune dal 1861 e che esprimeva gli interessi del ceto medio di cultura italiana.
Slataper, nonostante la sua famiglia sia di cultura italiana, ha dunque occasione di entrare fin da giovane in contatto con la lingua e la letteratura tedesca a causa della condizione della sua città natale. I suoi genitori, di tendenze politiche liberalnazionali, decidono di iscriverlo al ginnasio comunale come fanno molti esponenti della borghesia triestina dell’epoca. Si tratta di una scuola di lingua italiana ma che nei suoi programmi prevede anche l’insegnamento del tedesco. Per questi due motivi acquisisce una prima basilare conoscenza della lingua tedesca.
Già da questi anni abbiamo la prima attestazione di letture in tedesco, tra cui spiccano le traduzioni di Ibsen, autore molto noto e discusso a Trieste (Quazzolo 2020) che segnerà a fondo Slataper e la cui ricezione presso le giovani generazioni dell’epoca viene favorita a Trieste dall’esperienza del «Palvese», una combattiva rivista dalla vita molto breve che si proponeva lo svecchiamento della cultura locale guardando anche agli autori d’oltralpe (Zorzenon 1990, 111-12) e alla quale lo stesso Slataper contribuisce con alcuni articoli.
Nel 1907 Slataper scrive agli amici Guido Devescovi e Marcello Loewy una lettera saggistica su Quando noi, morti, ci destiamo in cui dimostra di aver letto Ibsen e di tenerlo in grande considerazione. Il dramma rappresenta per lui un richiamo a quella parte di umanità «che vive e non sogna, materiale», che «sarà finalmente liberata dall’incubo e dalla servitù del pensiero e potrà vivere balda, spensierata, allegra» (Slataper 1964, 56). Si tratta di affermare un vitalismo e un teatro che vada oltre il modello dannunziano che pure aveva affascinato Slataper in precedenza. Ibsen e gli altri autori dell’Europa centro-settentrionale che legge in questo periodo hanno la funzione di contrastare i coevi modelli italiani e francesi, al confronto considerati vuoti, e di porre su una base più solida le sue riflessioni e i suoi tentativi letterari:
I veri autori […] che Slataper fin dall’inizio pratica confidenzialmente, sono i suoi contemporanei italiani, Carducci, Pascoli, D’Annunzio, Leopardi; e i postromantici tedeschi e nordici, Hebbel, Ibsen, Nietzsche, Wilde, Hartmann, Weininger. Ben presto, si troveranno ad occupare una funzione preminente soltanto i secondi (Mutterle 1973, 11-12).
Durante l’estate del 1908 Slataper si reca a Steinhaus am Semmering come precettore e insegnante di italiano presso una famiglia austriaca che si trovava lì in vacanza. È una nuova occasione per impratichirsi del tedesco e per scoprire i monti e i paesaggi dell’Austria che esaltano la sua giovane sensibilità. Nel corso di questo soggiorno ha il tempo per dedicarsi anche alla composizione di alcune delle sue prime prove letterarie, che consistono in racconti e novelle. Di questi giungerà alla pubblicazione in rivista, con varie modifiche, solo Il professor Ausserleben e la sua anima (Slataper 2014, 161-78). Anche prendendo in considerazione solo questo testo è possibile cogliere le suggestioni degli autori romantici tedeschi, in particolare Hoffmann, che animano la sua ricerca letteraria in questo periodo, e che si concretizzano in una commistione tra elementi reali e fantastici.
«La Voce» e i primi anni fiorentini
Slataper arriva a Firenze nell’autunno del 1908 per frequentarvi l’Istituto di studi superiori. Poco dopo il suo arrivo comincia le pubblicazioni «La Voce» di Prezzolini che subito attira la sua attenzione. All’inizio del 1909 risalgono i primi contatti con il direttore della rivista a cui Slataper propone «l’esposizione delle speciali condizioni nostre in fatto di arte e scienza» (Prezzolini, Slataper 2011, 3). Trova immediatamente una buona accoglienza presso gli ambienti vociani e tra il febbraio e l’aprile di quell’anno esordisce sulla rivista fiorentina con l’importante serie delle Lettere triestine nella quale analizza la situazione culturale della sua città e sostiene che Trieste deve la sua fortuna economica solo ai collegamenti con l’entroterra austriaco e quindi non deve aspirare all’unione con l’Italia ma a una forma di irredentismo “culturale”, provocando vivaci reazioni e contestazioni da parte degli esponenti della borghesia triestina. Nel corso dei mesi seguenti Slataper instaura un rapporto sempre più profondo con i vari collaboratori della «Voce» e in particolare con il direttore, come testimonia il Carteggio tra i due (Prezzolini, Slataper 2011).
Slataper è il primo di una serie di intellettuali triestini che collaborano con la rivista di Prezzolini: è lui, una volta entrato, a far da tramite per coloro che arrivano successivamente. Scriveranno infatti sulla «Voce» Marcello Loewy, Angelo Vivante, Giani Stuparich, Ruggero Timeus, Italo Tavolato, Giuseppe Vidossich, Alberto Spaini e altri ancora, molti dei quali su suo esplicito invito o comunque grazie alla sua mediazione. L’attenzione di questo manipolo di autori si concentra soprattutto sulla situazione delle terre italofone ancora dentro i confini dell’impero austroungarico e sull’analisi della cultura dell’Europa centrale e settentrionale. Il primo interesse trova la sua maggior espressione nel doppio numero che «La Voce» dedica all’irredentismo nel dicembre 1910, nel quale Slataper firma due importanti contributi sulla situazione della Venezia Giulia e i suoi rapporti con l’Austria. Del secondo interesse invece troviamo ampia testimonianza in una serie di articoli dedicati agli autori dell’area germanica, in particolare quelli romantici e moderni. Certo i collaboratori giuliani non sono gli unici a trattare questi argomenti, ma il loro contributo, visto anche il legame diretto che avevano con quell’area linguistica, risulta di importanza fondamentale per indirizzare le scelte della rivista.
Nel 1910 Slataper ha occasione di conoscere Arturo Farinelli che si trova a Firenze per una serie di conferenze e lo descrive come «un simpatico uomo pieno di vita» (Slataper 1950, 261). Il professore dell’università di Torino ha modo di collaborare a più riprese con la «Voce» e così il rapporto tra i due si approfondisce e ne nasce una affettuosa amicizia. Tra il 1910 e il 1912 si occupano entrambi del romanticismo e di Hebbel con articoli, saggi e traduzioni che si inviano in reciproca lettura e per i quali si consultano a vicenda.
Novalis, Nietzsche, Weininger, Goethe
Negli anni fiorentini forte è dunque il fascino che su Slataper esercitano gli autori del romanticismo tedesco, letti avidamente e interpretati sulla scorta delle riflessioni di Ricarda Huch. L’entusiasmo è testimoniato in varie lettere e appunti collocabili cronologicamente in questo periodo, come quella del 31 agosto 1911 a Elody Oblath in cui dichiara: «Io credo che le radici di tutto, o quasi, il pensiero moderno siano nel romanticismo tedesco e in Goethe: due fonti per alcuni lati contrapposte ma per moltissimi unite» (Slataper 1958, 204).
L’autore che lo colpisce di più tra i romantici è senza dubbio Novalis, che proprio Prezzolini aveva introdotto in Italia curando nel 1905 una personalissima antologia. Di Novalis legge varie opere, tra cui lo Heinrich von Ofterdingen. Da questo movimento riprende in particolare l’idea della necessità di una nuova mitologia e l’interesse per il genere fiabesco, in cui ritiene possano cogliersi le tracce di una «coscienza universale». È sulla scorta di tali suggestioni che, tra il 1908 e il 1911, compone alcune favole che pubblica su riviste per bambini o manda per lettera alle amiche triestine. Sono testi molto interessanti che testimoniano un lato della personalità slataperiana ancora non indagato a sufficienza, ma indispensabile per capire la sua evoluzione intellettuale.
Queste prime letture si accompagnano a quelle di altre opere tra le quali spiccano quelle di Nietzsche e Weininger. Si tratta di testi che venivano letti e molto dibattuti nell’ambiente vociano. La lettura di Geschlecht und Charakter (Sesso e carattere) da parte di Slataper, condotta in tedesco, va collocata a cavallo tra la fine del 1909 e l’inizio del 1910 in vista del numero monografico che «La Voce» decide di dedicare alla questione sessuale, ma la sua influenza – testimoniata da riscontri sia nelle lettere che nei diari – si prolunga nel tempo fino a giungere al saggio su Ibsen, dove una delle poche note presenti nel testo rimanda a Über die letzten Dinge (Delle cose ultime). Slataper riflette a lungo sulla concezione della donna e del genio proposte da Weininger. Le idee del filosofo, dichiara, gli sono servite «per spiegare le donne-ibsen» (Slataper 1950, 315). Dalle opere di Nietzsche, invece, prende diversi spunti di riflessione sulla morale degli uomini del suo tempo e anche una serie di immagini che impiega nelle sue opere e in particolare in alcuni brani del Mio Carso (Camerino 2005, 78-79). Tuttavia si distanzia dalle riflessioni sulla religione e sulla figura dell’Übermensch che, dopo una breve infatuazione, rifiuta convintamente. Entrambi i pensatori alla fine gli sembrano peccare «di esclusivismo filosofico», troppo teorici e astratti, lontani dall’uomo vero. In una lettera del 1913 li condanna entrambi: «Lo sforzo del tutto può produrre il niente […] ma non il poco o l’abbastanza. Io credo però che in questi casi ci sia sempre stato uno sforzo falso, di superbia, come in Nietzsche, in Weininger» (Slataper 1958, 279-80).
In questi giudizi si può apprezzare la rapida evoluzione del pensiero e dei riferimenti culturali scelti da Slataper, che infine giungerà a prediligere Ibsen, non a caso interpretato anche come superamento delle posizioni sterili degli autori tedeschi amati in precedenza. Durante il periodo fiorentino aumenta invece la considerazione per Goethe, cui Slataper dedica un articolo vociano e diverse riflessioni. L’autore del Faust diviene un modello esistenziale, colui che indica la strada da percorrere per cercare di ricomporre le pulsioni e i tormenti interiori: «Bisogna unire e arte e umanità e famiglia e religione e politica e passione e volontà e umiltà e superbia. Tu sai che il mio terribile ideale fu sempre Goethe. Davanti ai miei atteggiamenti varie volte ho pensato: si sarebbe comportato così Goethe?» (Slataper 1958, 419).
Le traduzioni e i saggi su Hebbel
L’autore tedesco che maggiormente influenza Slataper nel corso della sua vita è però, senza dubbio, Friedrich Hebbel. Infatti tra il 1909 e il 1911 Slataper se ne occupa a lungo sia nelle vesti di saggista che in quelle di traduttore. È probabilmente l’amico Marcello Loewy che inizialmente gli suggerisce di leggere le sue opere. L’entusiasmo è subito travolgente, tanto da fargli annotare nei suoi diari: «Hebbel – posso dar la parola d’onore – è mio fratello» (Slataper 1953, 86). Nell’animo tormentato del drammaturgo tedesco Slataper ritrova molto della propria sensibilità e della propria visione del mondo. In particolare mutua da Hebbel l’idea del pantragismo, una visione del mondo che ritiene possibile l’affermazione vitale solo nel contrasto con le forze esterne che limitano e opprimono l’individuo. Allo sviluppo di questa idea non è estraneo il difficile periodo che stava vivendo Slataper che il 2 maggio 1910 viene colpito dal suicidio di Anna Pulitzer, ragazza con la quale aveva intrecciato una intensa relazione sentimentale.
La pervasività di Hebbel si può apprezzare in ogni parte della produzione di Slataper. È possibile infatti individuare tracce di tali letture negli appunti di diario, nelle lettere, nei saggi e nelle prove letterarie di questi anni. «Hebbel […] per Slataper rappresenta non soltanto occasionale e, tutto sommato, casuale materia di studio ed esercizio erudito, non è neppure solo un autore significativo […], ma termine primario di confronto con se stesso» (Filippi 2014, 344). Per questo motivo ipotizza a più riprese di curare un volume antologico in cui avrebbe voluto pubblicare parte delle più importanti opere di Hebbel coinvolgendo nell’opera di traduzione diversi amici e conoscenti, tra cui Ferdinando Pasini che avrebbe dovuto tradurre (come poi effettivamente farà) la Maria Magdalene.
L’idea del volume infine verrà abbandonata ma Slataper sarà comunque coinvolto in diverse traduzioni hebbeliane. La prima è quella della Judith (Giuditta) di Hebbel (Hebbel 1910a), pubblicata alla fine del 1910 nei «Quaderni della Voce». Si tratta di un testo composto a quattro mani da Slataper e da Marcello Loewy che sarebbe dovuto rientrare in un più ampio progetto nato all’interno della «Voce» e volto a favorire un rinnovamento del teatro italiano. L’idea è quella di lanciare una «campagna […] sul teatro» che abbia nel lavoro di Slataper su Hebbel il suo «punto centrale» (Prezzolini, Slataper 2011, 151). La traduzione viene incominciata da Loewy nel 1909 e poi sottoposta a più riprese a una revisione da parte di Slataper che di fatto è una vera e propria riscrittura. Il dramma che ne risulta appare «una rischiosa via di mezzo tra il ripensamento del testo che li avrebbe condotti a una versione originale con una sua nobiltà d’arte e la traduzione interlineare di fedeltà pedissequa» (Borgese 1913, 304).
Il secondo momento è rappresentato dalla traduzione di una selezione dei Tagebücher (Diari) uscita con la data del 1912 nella collana «Cultura dell’anima» dell’editore Carabba diretta da Giovanni Papini (Hebbel 1912), ma preparata da una prima, essenziale, scelta pubblicata il 17 marzo 1910 sulla «Voce» (Hebbel 1910b). Secondo l’opinione di Slataper i diari sono il vero capolavoro del drammaturgo tedesco perché solo qui si trovano espressi tutti i lati della sua complessa e composita personalità. A guidare la selezione dei passi da tradurre sono due criteri: da una parte l’intento di incuriosire e interessare il lettore in modo da far conoscere Hebbel in Italia, dall’altra il gusto e la sensibilità personale di Slataper che lo portano a prediligere le tematiche riguardanti il dolore, la condizione dell’uomo nel mondo e le riflessioni sull’arte. In realtà il testo è già pronto nel 1910 ed è possibile immaginare che questa traduzione proceda di pari passo con quella della Giuditta. Però, per una serie di problemi economici e organizzativi, la correzione delle bozze si trascina per tutto l’anno successivo con aggiustamenti e revisioni sulla traduzione da parte di Slataper. Il volume giunge infine alla pubblicazione solo alla conclusione dell’anno, anche se riporta la data dell’anno successivo. Il lavoro sui diari di Hebbel è uno dei grandi lavori a cui Slataper attende in questo periodo e non stupisce che ne sia segnato in profondità. Non si tratta solo di un’influenza generica: i diari vengono ad essere un modello con cui confronta costantemente la propria Weltanschauung, una fonte di idee per i progetti letterari, e la loro traduzione un’importante palestra dove esercitare il proprio stile e il proprio gusto. Difficile dunque esagerare l’importanza di questo lavoro per il percorso intellettuale ed esistenziale di Slataper.
Una terza traduzione ipotizzata, che però non raggiungerà la stampa, è quella del Moloch di cui ci resta solo un manoscritto con l’inizio del dramma (Hebbel 2019). L’impresa, condotta in gran parte nel corso del 1911, era stata iniziata da Lucilla Luzzatto, una delle amiche triestine di Slataper. La traduzione della Luzzatto però non convince Slataper, preoccupato dall’eccessiva aderenza al testo e dallo stile ampolloso. Decide dunque di associarsi in prima persona al lavoro e di rivedere completamente la traduzione. La rottura tra i due traduttori, dovuta a motivi personali, e lo scemare dell’interesse di Slataper verso Hebbel nel corso del 1912 porteranno al fallimento del progetto che però ci resta a testimoniare gli interessi slataperiani verso le riflessioni religiose svolte dal drammaturgo tedesco.
Infine Slataper ha un ruolo importante anche come critico di Hebbel. I maggiori frutti della sua riflessione vanno individuati in due articoli pubblicati nell’autunno del 1910 sulla «Voce» (Friedrich Hebbel, uscito il 13 ottobre, e “Giuditta” di F. Hebbel, pubblicato il 24 novembre) e nell’introduzione al Diario, frutto di una lettura empatica e di una intensa appropriazione sempre tesa a cogliere l’uomo concreto e la sua azione nella storia.
Il viaggio in Austria e in Germania
Nell’autunno del 1911, dopo il famoso soggiorno carsico ad Ocisla in cui compone buona parte del Mio Carso, Slataper intraprende un lungo viaggio che lo porta ad attraversare l’Austria e la Germania. Si tratta di un’esperienza molto importante per la sua maturazione culturale e intellettuale, interpretata come un vero e proprio viaggio di formazione che avrebbe dovuto portarlo a conoscere l’Europa e i suoi problemi.
Parte da Trieste il 27 settembre e tocca Vienna, Praga, Dresda e Berlino. Avrebbe dovuto poi proseguire verso Amburgo e Londra, dove si trovava l’amica Luisa Carniel, sua futura sposa, ma è costretto a tornare precipitosamente in Italia alla fine del novembre, richiamato da Prezzolini che, colto da una delle sue cicliche crisi, gli affida la gestione della «Voce» fino all’aprile dell’anno successivo quando il ruolo di direttore verrà assegnato a Papini.
All’arrivo a Vienna lo colpiscono l’aspetto della metropoli e l’ordine che vi riscontra:
Vienna grande città. Anch’io sento un po’ l’imbarazzo del provinciale: nel modo di attraversare una via frequentata, di schivare un’automobile. Mi compiaccio specialmente dell’ordine, del “tutto previsto” che regna. […] Gente simpatica i viennesi, magnoni, allegri, superficiali, abbastanza italiani […] ma con un di più e di meno che non riesco ancora a capire (Slataper 1953, 174).
La sua conoscenza del tedesco, finora esercitata solo sui libri, inizialmente si rivela insufficiente per intrattenere lunghe discussioni. Così si sfoga in una lettera all’amica Elody: «Il mio tedesco è mortificante! Speravo assai di più. Al diavolo la torre di Babele!» (Slataper 1958, 211). Ha comunque occasione di vedere molte cose e conoscere diverse persone. In particolare a Praga, grazie alla mediazione di Emma Pedrakova, entra in contatto con alcuni esponenti degli ambienti sokolisti con i quali discute di politica e di irredentismo rimanendo «meravigliato» dalla forza del loro movimento, orientato a rivendicare l’indipendenza nazionale ceca.
La Germania gli fa un’impressione in parte diversa, come emerge da un passo degli appunti:
Della Germania non m’ha meravigliato assai la durezza delle guardie e soldati. Le uniformi militari colorate con volontà dura di colore, danno quasi una festevolezza. Pulito. Già i conduttori dei treni, lustri. I doganieri mi misero il bollo di sosta senza che io fossi in treno. La todescheria la trovai piuttosto in certe lunghe stanghette di ferro che nei parchi dividono l’erba dal viale: todescheria perché quasi cerca di nascondersi (Slataper 1953, 190).
A Dresda ha l’occasione di recarsi a teatro a vedere una rappresentazione della Giuditta di Hebbel, che tuttavia non lo convince. A Berlino, ultima tappa, si trattiene più a lungo, quasi un mese, e sembra più soddisfatto del proprio lavoro e delle proprie amicizie. Qui riesce a riflettere con più calma sulla propria esperienza e sul senso di quello che sta facendo. Il viaggio gli serve per confrontarsi con un’alterità linguistica e culturale e, di contrasto, a riconoscersi:
Non posso dire d’esser entusiasta del mio viaggio: ma qualche cosa imparo. Imparo a capir meglio la mia parte negativa, sopratutto, la mia debolezza, il mio amorpropismo, la mia ignoranza. Questo con calma, senza il gusto di cenere-in-bocca del disinganno. Bisogna viaggiare per conoscersi. Bisogna allontanarsi dallo specchio indulgente degli amici che ti amano e credono in te, – e trovarsi fra gente ignota (Slataper 1950, 94).
Il saggio su Ibsen
Dopo aver ipotizzato per diverso tempo di dedicare la propria tesi di laurea a Hebbel, all’inizio del 1912 Slataper cambia idea e sceglie di occuparsi di Ibsen. Scrive gran parte del lavoro tra l’estate e l’autunno e poi lo discute alla fine di quell’anno. Dopo la laurea, rielabora il proprio testo trasformandolo nel saggio che verrà pubblicato postumo, nel 1916, grazie all’interessamento di Arturo Farinelli. Ibsen era stato oggetto tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento di ampi dibattiti e discussioni, tuttavia quello di Slataper è il primo saggio organico pubblicato in Italia che gli viene dedicato. Per scriverlo, dal momento che non conosceva il norvegese, si rifà alle traduzioni e alla bibliografia in tedesco.
Ibsen costituisce uno degli stimoli intellettuali più importanti per Slataper in questo periodo e lo influenza in maniera decisiva. Le precedenti considerazioni sugli autori tedeschi romantici e postromantici trovano in questo saggio il loro naturale sbocco. Le letture di Nietzsche, Weininger e Hebbel, ancora legate a un certo estetismo e all’esaltazione dell’io, hanno qui il loro superamento nella convinzione che l’unica azione efficace non è quella eroica, ma quella nella collettività. L’opera del singolo individuo gli sembra infine sterile. Così Slataper sente il bisogno di riequilibrare la propria personalità su una più solida base sociale:
Ibsen ha il merito […] di aver patito profondamente il dissidio fra l’individuo e l’umanità, fra l’esteta e l’apostolo. E in Ibsen Scipio Slataper ha sentito dibattersi il proprio tormento; in lui egli ha rafforzato il suo concetto dell’uomo morale, che è il solo che pur non vincendo quel dissidio, superi la prima posizione, l’unione assurda del poeta e del santo a cui si ricorre (anche Nietzsche) per sfuggire all’estetismo (Stuparich 1950, pp. 222-223).
Il saggio rappresenta un modo per fare i conti con se stesso e con il proprio rapporto con la letteratura. Non è forse del tutto sbagliato dire che si potrebbe descrivere la storia intellettuale di Slataper ripercorrendo i suoi giudizi su Ibsen. Nel corso del tempo infatti, nei vari articoli e scritti critici, individua il capolavoro ibseniano in drammi diversi, trovandovi di volta in volta gli elementi più affini alla propria sensibilità e alle riflessioni del momento. Dopo l’infatuazione giovanile per Wenn wir Toten erwachen (Quando noi morti ci destiamo; in norvegese Naar vi døde vågner, 1899), coglie il centro del percorso artistico e personale di Ibsen prima nel Brand (1866) e poi, nella tesi, nei Gespenster (Fantasmi; in novergese Gengangere, 1881). Infine nella rielaborazione in vista della pubblicazione punta maggiormente sulla figura umana di Ibsen e sull’espressione dei conflitti individuali e sociali, mostrando come i suoi interessi si spostino significativamente. Infatti Ibsen, visto come uno dei punti più avanzati della cultura moderna, con le sue opere favorisce ora in Slataper una nuova concezione del legame tra l’arte e la società, preparando la successiva apertura alla storia e il suo diretto intervento in essa con la campagna interventista.
L’esperienza amburghese e gli ultimi anni
Nel 1913, grazie alla mediazione di Arturo Farinelli, ottiene un posto di lettore di italiano al Kolonialinstitut di Amburgo, un’università “tecnica” di nuova concezione, fondata nel 1908. La proposta viene accettata con entusiasmo da Slataper:
Oggi improvvisamente arriva un telegramma da Amburgo dove si chiede se il ‘lettore’ sarebbe disposto a essere colà il 1° maggio! Bisognava risponder subito, e io accettai. Avevo paura che l’occasione mi scappasse. Certo che mi secca; ma aut aut. Nella vita bisogna essere coraggiosi e magari audaci (Slataper 1958, 282).
Slataper si ambienta subito nella nuova città, colpito dalla commistione tra cultura e economia mercantile che vi trova e che vede espressa nel progetto che ha portato alla fondazione del Kolonialinstitut. L’idea di una istituzione formativa finalizzata alla pratica concreta, che possa favorire il commercio e la vita della città è il progetto che ha in mente per rilanciare la cultura di Trieste e che qui vede già realizzato:
Non mi sento straniero, anzi a casa mi sento fra questa gente industriosa e viaggiatrice. Il sogno che ho sognato e sogno per Trieste lo trovo qui reale, almeno di primo colpo. Entrando nel Vorlesungsgebäude, magnifico edifizio di popolo moderno che ha capito che per fare i commerci bisogna studiare, fui contento come una pasqua d’esser qui e di dover insegnare italiano. E la gente mi piace, più inglese che tedesca, nel volto, nei gusti, nelle tendenze. Bravi amburghesi, mi riconciliano con la Germania (Slataper 1958, 284).
Qui «ha modo di toccar con mano quali fossero le aspirazioni della Germania e il grado del suo sviluppo industriale, di fronte al quale l’industrializzazione dell’Impero asburgico, anche nelle forme più evolute dell’area boema, è ben poca cosa» (Slataper 2019, 65). Amburgo, per come viene descritta nei primi giorni dopo l’arrivo, è una sorta di città modello, il cui esempio dovrebbe essere esportato. Non è un caso che proprio qui, l’anno successivo, Slataper scriverà un importante articolo Per l’università commerciale “Revoltella”, in cui propone di imprimere un’evoluzione alla struttura accademica triestina volta a garantire la necessaria «indissolubile alleanza fra alta coltura e interesse economico» (Slataper 1954, 126). Secondo la sua opinione, bisognerebbe occuparsi meno di letteratura o filologia e maggiormente dello studio della storia e delle lingue. Questa idea si riflette anche nella sua attività di insegnamento. Durante i corsi, oltre alle lezioni di lingua, propone infatti degli argomenti che col trascorrere del tempo mostrano l’evoluzione dei suoi interessi da quelli più letterari a quelli storico-politici (Piazza 1996, 117).
Ad Amburgo dunque si compie un’ulteriore maturazione degli interessi slataperiani che, a contatto con l’ambiente della Germania e della città anseatica, diventano quelli dell’ultimo periodo di Slataper che troveranno la più compiuta espressione negli articoli interventisti sul «Resto del Carlino» tra il 1914 e il 1915 (Slataper 1954 e Slataper 1977).
Tuttavia l’entusiasmo che questa esperienza aveva suscitato in Slataper si spegne presto a causa di contrasti con il suo superiore, Bernhard Schädel, direttore del seminario di romanistica del Kolonialinstitut. Le divergenze caratteriali infatti portano Slataper a rassegnare le dimissioni dal suo incarico già nel giugno del 1914. Era stato accusato di negligenza nello svolgere una serie di lavori di schedatura dei libri e delle riviste della biblioteca che doveva condurre in parallelo ai corsi. Per Slataper si trattava di operazioni noiose, complicate da una terribile burocrazia nella quale vedeva riflessa la «psicologia tedesca» (Slataper 1958, 299), tesa a concentrarsi solo sui dettagli a scapito del senso vero delle cose. È per questo motivo che, di contrasto, esalta la sua identità italiana e si presenta come colui che riesce a mescolare in sé idealità e concretezza: «Io lentissimamente mi faccio sempre più politico e realista. Vedo la moralità fonda della politica. E mi sento sempre più inesorabilmente italiano» (Slataper 1950, 170).
Tornato in Italia smette di occuparsi di letteratura e si impegna convintamente nella campagna interventista con una serie di scritti in cui si occupa delle condizioni militari e politiche dell’Austria e della Germania che dimostrano una buona conoscenza della situazione e una profonda capacità di analisi. Nel 1915, quando l’Italia decide di intervenire, si arruola volontario. Dopo alcuni mesi di guerra cade durante un’azione per cui si era offerto volontario il 3 dicembre dello stesso anno combattendo contro l’esercito austriaco.
Bibliografia
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Prezzolini, Slataper 2011: Giuseppe Prezzolini e Scipio Slataper, Carteggio 1909-1915, a cura di Anna Storti, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura
Quazzolo 2020: Paolo Quazzolo, Trieste e il caso Ibsen. Polemiche e dibattiti tra Otto e Novecento, Venezia, Marsilio
Slataper 1950: Scipio Slataper, Epistolario, a cura di Giani Stuparich, Milano, Mondadori
– 1953: Scipio Slataper, Appunti e note di diario, a cura di Giani Stuparich, Milano, Mondadori
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– 1958: Scipio Slataper, Alle tre amiche. Lettere, a cura di Giani Stuparich, Milano, Mondadori
– 1964: Scipio Slataper, A Guido e Marcello che chiedono il significato di «Quando noi, morti, ci destiamo» di Enrico Ibsen, in «La città. Rivista bimestrale di lettere e arti», n. 2, aprile
-1977: Scipio Slataper, Scritti politici 1914-15, a cura di Giorgio Baroni, con un saggio introduttivo di Roberto Damiani, Trieste, Italo Svevo
– 2014: Scipio Slataper, Fiabe e parabole e altri scritti per i bimbi, a cura di Lorenzo Tommasini, Trieste-Gorizia, Istituto giuliano di storia, cultura e documentazione
Slataper 2019: Aurelio Slataper, Appunti per una storia di famiglia, Trieste, Centro studi Scipio Slataper
Stuparich 1950: Giani Stuparich, Scipio Slataper [1922], Mondadori, Milano 1950
Zorzenon 1990: Luca Zorzenon, Generazioni e culture a confronto nel «Palvese» (1907), in Novecento. Litérature de frontière et mediations culturelles, vol. I, Grenoble, CUFI Université Stendhal