A volte ritornano (ma in gran silenzio)

STORIA DI UNA NUOVA TRADUZIONE DI CAMUS

di Damiano Latella

lo straniero41HeOz9wo0L._SX353_BO1,204,203,200_Dal 1947 al 2015. Tanto è durata la prima traduzione di un classico della letteratura francese del Novecento. Fino all’anno scorso (come ha fatto Fabio Stassi sul n. 6 della nostra rivista), si poteva citare un’unica persona per la traduzione di L’étranger di Albert Camus. Alberto Zevi, infatti, fu il primo a cimentarsi con Lo straniero, pubblicato da Bompiani nel 1947, cinque anni dopo l’edizione originale Gallimard. Nessun’altra versione è apparsa nei decenni seguenti fino al febbraio scorso, quando la stessa Bompiani ha dato alle stampe quella di Sergio Claudio Perroni, nome che compare in copertina).

Sarebbe più che legittimo attendersi una certa risonanza di fronte a una novità editoriale del genere. Pare che non sia andata così. L’unica eccezione è costituita dal Premio von Rezzori per la miglior traduzione, che ha incluso il nuovo Straniero tra i finalisti. Per il resto, sul web se ne trovano pochissime tracce. Proviamo a rimediare.

Due traduttori che non si somigliano

Alberto Zevi, nato a Verona nel 1920 da famiglia ebraica ma milanese di adozione, rappresenta una figura atipica di traduttore. A causa delle leggi razziali, nel 1938 si rifugia a Ginevra, dove segue le lezioni dello storico Guglielmo Ferrero all’Institut universitaire de hautes études internationales. Allo stesso tempo, diventa uno dei giovani collaboratori della Nei (Nuove Edizioni Ivrea) di Adriano Olivetti. Così lo ricorda Erika Rosenthal, allora segretaria della Nei e futura moglie dell’economista Giorgio Fuà: «Alberto Zevi, 23 anni, statura media, capelli crespi, sguardo acuto e canzonatorio, dalla fitta parlantina infiorettata di paradossi e battute» (Rosenthal Fuà 2004, 125). Altri giovani collaboratori di Olivetti sono Roberto Bazlen, Luciano Foà, Erich Linder, tutti destinati a una lunga carriera editoriale. Il dato insolito rispetto ai giorni nostri è che Zevi traduce Lo straniero, opera che inaugura la nuova collana «Pegaso Letterario» di Bompiani, a soli 27 anni, un’età analoga a quella di Camus al termine della stesura del romanzo. Ma a questo precoce esordio letterario segue una carriera affatto diversa. Pur continuando a frequentare il mondo editoriale, Zevi non traduce più, preferendo la strada dell’imprenditoria nel campo del mobile, in cui si distingue per una forte propensione all’innovazione. Però lo ritroviamo nel 1962 a sostenere la neonata Adelphi, di cui presiede a lungo il consiglio di amministrazione fino alla sua morte, avvenuta nel 1993. Come ha ricordato Roberto Calasso, da poco nuovo proprietario di Adelphi, «[…] Adelphi non ha mai subito interferenze. Merito innanzitutto di Luciano Foà, fin quando c’è stato, e del suo amico Alberto Zevi, che ha sostenuto la casa editrice fin dagli inizi» (http://www.repubblica.it/cultura/2015/10/06/news/roberto_calasso_ma_quali_soci_occulti_l_adelphi_l_ho_ricomprata_io_-124452073/?ref=search). Esiste tuttora una borsa di studio a lui intitolata proprio nel settore dell’innovazione (Collura 1993; Jacchia 2005).

Sergio Claudio Perroni, nato a Milano nel 1956 ma da tempo stabilitosi a Taormina, ha svolto e svolge più di un ruolo nell’editoria oltre a quello di traduttore: agente letterario, editor, scrittore, uomo di teatro, stroncatore di poeti sul sito www.poetastri.com, direttore della collana «FAQ Books» di Bompiani. Il suo ultimo libro come autore, curiosamente uscito quasi in contemporanea al nuovo Straniero, si intitola Renuntio vobis (Perroni 2015). Non per questo cercheremo improbabili analogie tra Meursault e Benedetto XVI. Quello che ci interessa è che, al contrario di Zevi, al momento di affrontare Camus Perroni traduttore vanta un lungo e solido curriculum di titoli alle spalle, sia dall’inglese sia dal francese. Come ha ricordato Norman Gobetti, è fra i pochi traduttori di David Foster Wallace (La scopa del sistema) con una carriera precedente già ben avviata, «una ventina di romanzi, di autori come Highsmith, Ellroy, Vonnegut, Houellebecq e Moody». Non esitiamo, quindi, a definirlo un traduttore molto esperto.

Perroni, infine, non è nuovo alle ritraduzioni d’annata. Nel 2013, la sua versione di Furore di Steinbeck (Steinbeck 2013) ha rimediato, più di settant’anni dopo, ai guasti del misterioso predecessore Carlo Coardi. La fascetta apposta dall’editore dice molto: «Furore come non lo avete mai letto». Si tratta, infatti, della prima traduzione integrale, senza i tagli imposti dalla censura (e dall’autocensura) dell’epoca. Come ha dichiarato lo stesso Perroni, «nella vecchia traduzione di Coardi non c’è traccia dell’originale di Steinbeck» (Fiori 2013). Per nostra fortuna, Zevi si comportò meglio di Coardi. Nel caso di Steinbeck, era giusto e doveroso dare risalto alla notizia anche sui quotidiani. Non è avvenuto lo stesso con Camus, nonostante un’introduzione probabilmente pensata per questo scopo.

Sliding doors: un’introduzione (troppo) da best-seller

Se dal 2004 in poi le varie edizioni di Lo straniero tradotto da Zevisi sono avvalse di una nota dello scrittore e critico Silvio Perrella, per la versione di Perronisi è cambiato registro, puntando su uno degli scrittori più popolari e discussi del momento, Roberto Saviano. Nelle dieci pagine in cui presenta la vita dell’autore e l’intreccio, Saviano insiste sul rapporto personale che ha intrattenuto con la scrittura di Camus. Siamo lieti di leggere un’affermazione che ci riguarda più da vicino: «Chi leggerà Lo straniero per la prima volta si renderà conto di come la lingua sia una conquista, e lo capirà anche leggendolo in traduzione» (Perroni 2015, 9). Purtroppo, poco dopo, nel descrivere la dinamica dell’omicidio, Saviano incorre in una formulazione infelice, parlando di una «colluttazione» (Perroni 2015, 13) che lascia pensare a un corpo a corpo che in realtà non avviene.

Ma un’altra circostanza avrebbe potuto imprimere una svolta alle sorti commerciali della nuova versione. Subito dopo la registrazione del talent show di Canale 5 Amici, condotto da Maria De Filippi, Saviano dichiara di avere pensato a vari libri come tema del suo intervento, tra i quali Lo straniero (Fumarola 2015). La scelta è invece caduta su Le notti bianche (nell’edizione Oscar Mondadori, a cura di Giovanna Spendel). A giudicare dalla riapparizione nelle vetrine del romanzo breve di Dostoevskij, il clamore televisivo ha dato i frutti sperati. Sarebbe accaduto lo stesso con Lo straniero? Si tratta di un libro adatto anche a giovani telespettatori che leggono poco? Non sappiamo rispondere, così come non sappiamo dire se convenga dispiacersi per il mancato boom oppure rallegrarsi per la scampata mercificazione. Tuttavia, sarebbe interessante chiedere a Saviano quale traduzione avrebbe scelto e in base a quali criteri. Quella di Perroni, da lui introdotta, o quella di Zevi, che per forza di cose ha letto da adolescente? Non è automatico che si debba preferire la versione a noi più vicina. La traduzione di Zevi, infatti, è già stata portata in scena con successo negli anni Duemila.

Vitalità di un classico: Zevi lotta insieme a noi

Negli anni Duemila infatti due noti attori, Marco Baliani e Fabrizio Gifuni, hanno dato voce a Meursault ricorrendo in entrambi i casi all’unica traduzione disponibile. Baliani, nella locandina che annuncia la ripresa nel 2003 (c’era stato un precedente radiofonico e uno teatrale a Milano nel 2002) del suo spettacolo prodotto dal Teatro Metastasio Stabile della Toscana, ha indicato anche il nome traduttore.

Il reading/spettacolo di Fabrizio Gifuni dal titolo Lo straniero, un’intervista impossibile, prodotto nel 2013 dal Circolo dei Lettori per il festival Torino Spiritualità, procede in altro modo. Dice lo stesso Gifuni che «il testo è quasi integrale, gli undici capitoli sono diventati nove quadri» (Chiappori 2014). L’elaborazione drammaturgica di Luca Ragagnin, come si può facilmente constatare, apporta diversi tagli e lievissime modifiche, ma l’impianto resta in buona sostanza la traduzione di Zevi. Purtroppo non si cita il nome del traduttore nei titoli.

Dopo l’ascolto del reading di Gifuni, disponibile sul sito di Radio3 Rai, l’impressione è che la traduzione di Zevi sia invecchiata piuttosto bene e funzioni anche letta ad alta voce, a meno che non basti la bravura di Gifuni a ringiovanirla.

Ma non di solo teatro vive la fortuna dello Straniero. Tra i giovani narratori italiani, Camus è evocato continuamente nell’ultimo, fortunato libro di Marco Missiroli, Atti osceni in luogo privato (Missiroli 2015). Purtroppo per noi, Missiroli tiene a sottolineare che Libero, il protagonista italo-francese del suo romanzo, legge l’edizione originale Gallimard. Non disponiamo, quindi, di citazioni dirette. Infine, è uscito da pochissimo in Italia Il caso Meursault dell’algerino Kamel Daoud (Daoud 2015), vincitore del Prix Goncourt du Premier roman 2015. Si tratta di un immaginario séguito del romanzo di Camus, ma dal punto di vista del fratello della vittima, l’arabo senza nome ucciso sulla spiaggia da Meursault.

Nei prossimi anni, non dubitiamo che altri attori e narratori vorranno ispirarsi allo stesso testo. In questo senso, le differenze della nuova versione potrebbero generare riflessioni inedite. Come vedremo, non sono tutte differenze di poco conto.

Qualcosa è cambiato: alcune fondamentali differenze

Già nel 1938, prima ancora di completare la stesura dell’opera, Camus annotava nei Taccuini l’incipit del suo Etranger. La prima frase, in particolare, racchiude la scintilla da cui parte l’azione. Un incipit molto noto e molto celebrato, quasi proverbiale per i francesi.

Aujourd’hui, maman est morte. Ou peut-être hier, je ne sais pas. J’ai reçu un télégramme de l’asile : « Mère décédée. Enterrement demain. Sentiments distingués. » Cela ne veut rien dire. C’était peut-être hier (Camus 1942, 9).

I lettori italiani lo conoscono con le parole di Zevi: «Oggi la mamma è morta. O forse ieri, non so. Ho ricevuto un telegramma dall’ospizio: “Madre deceduta. Funerali domani. Distinti saluti”. Questo non dice nulla: è stato forse ieri» (Zevi 1947, 7).

Perroni si prende una responsabilità non da poco: cambiarlo: «Oggi è morta mamma. O forse ieri, non so. Ho ricevuto un telegramma dall’ospizio: “Madre deceduta. Funerali domani. Distinti saluti”. Non significa niente. Forse è stato ieri» (Perroni 2015, 19).</blockquote>

La prima differenza consiste nell’ordine delle parole. L’italiano, a differenza del francese, consente di posporre il soggetto. Per citare un altro celebre incipit, quello di Gli indifferenti di Moravia, «Entrò Carla» non può che essere reso in francese con Carla entra (così recita l’unica traduzione francese di Paul-Henri Michel, 1931). La seconda differenza riguarda l’uso dell’articolo determinativo davanti a mamma. A questo proposito, abbiamo consultato la «Garzantina» curata da Luca Serianni (Serianni 1997, 127). Troviamo scritto: «Senza possessivo, l’uso formale richiede sempre l’articolo con i singeniomini [cioè i nomi di parentela]. Ma per mamma, babbo e papà è più comune l’omissione». Seguono esempi senza articolo tratti da Giusti, Fogazzaro e Jahier, autori tutti antecedenti a Camus. Si tratta, quindi, di una scelta che rientra a pieno titolo nella discrezionalità del traduttore. Non c’è molto da aggiungere sul resto, a parte il ripristino della punteggiatura originale alterata da Zevi, qui come in altri passaggi successivi, ma una cosa è certa: per abituare l’orecchio a un nuovo incipit occorrono tempo e pazienza.

Poche righe dopo, il direttore dell’ospizio riceve Meursault e gli parla della situazione della madre.

Il a consulté un dossier et m’a dit : «Mme Meursault est entrée ici il y a trois ans. Vous étiez son seul soutien. » […] «Vous n’avez pas à vous justifier, mon cher enfant. J’ai lu le dossier de votre mère. Vous ne pouviez subvenir à ses besoins. Il lui fallait une garde. Vos salaires sont modestes. Et tout compte fait, elle était plus heureuse ici. » (Camus 1942, 10).

Ecco le sue parole secondo Zevi.

Ha consultato un incartamento e mi ha detto: «La signora Meursault è entrata qui tre anni fa. Voi eravate il suo unico sostegno» […]. «Non avete da giustificarvi, caro figliolo. Ho letto la pratica di vostra madre. Voi non eravate in grado di provvedere ai suoi bisogni. Aveva bisogno di un’infermiera. Il vostro stipendio è modesto. E, in fondo, lei era più felice qui» (Zevi 1947, 8).

Nella maggioranza dei casi Zevi usa il lei come forma di cortesia, ma non in questo dialogo. Un lettore del 2015 si aspetterebbe ancora il voi come corrispettivo del vous francese in un contesto novecentesco? Spontaneamente diremmo di no, anche se i linguisti Valeria Della Valle e Giuseppe Patota ci mettono in guardia: «[…] il voi come allocutivo di cortesia è, anche oggi, tutt’altro che morto, e anzi sembra godere di rinnovata fortuna» (Della Valle e Patota 2011, 113). Perroni, in ogni caso, preferisce usare il lei. La situazione comunicativa presenta qualche scomodità dal punto di vista grammaticale, dato che i due uomini parlano di una donna assente. Basta qualche minimo accorgimento e il dialogo fila liscio.

Ha consultato un fascicolo e mi ha detto: «La signora Meursault è entrata qui tre anni fa. Lei era il suo unico sostegno» […]. «Non deve giustificarsi, ragazzo mio. Ho letto il fascicolo di sua madre. Lei non era in grado di provvedere alle sue necessità. Sua madre aveva bisogno di un’infermiera. Lei ha uno stipendio modesto. Tutto sommato, era più felice qui» (Perroni 2015, 21).

Passiamo ora al momento culminante dell’azione: l’assassinio dell’arabo sulla spiaggia. Dopo il primo colpo, Meursault ne spara altri quattro e uccide l’arabo. Concentriamoci sull’ultima frase, con cui si chiude la prima parte del libro.

J’ai compris que j’avais détruit l’équilibre du jour, le silence exceptionnel d’une plage où j’avais été heureux. Alors, j’ai tiré encore quatre fois sur un corps inerte où les balles s’enfonçaient sans qu’il y parût. Et c’était comme quatre coups brefs que je frappais sur la porte du malheur (Camus 1942, 95).

Ho capito che avevo distrutto l’equilibrio del giorno, lo straordinario silenzio di una spiaggia dove ero stato felice. Allora ho sparato quattro volte su un corpo inerte dove i proiettili si insaccavano senza lasciare traccia. E furono come quattro colpi secchi che battevo sulla porta della sventura (Zevi 1947, 76).

Ho capito che avevo distrutto l’equilibrio del giorno, il silenzio eccezionale di una spiaggia dov’ero stato felice. Allora ho sparato altre quattro volte su un corpo inerte nel quale le pallottole si conficcavano senza lasciare traccia. Ed è stato come se bussassi quattro volte alla porta dell’infelicità (Perroni 2015, 85).

Per prima cosa, notiamo che Perroni rimedia al passato remoto «furono»inserito in modo incongruo da Zevi. Per una precisa scelta stilistica, Camus costruisce la narrazione evitando, tranne rare eccezioni, il passé simple. Pertanto va evitato il corrispondente passato remoto italiano.

I quattro colpi di pistola sono paragonati ai quattro colpi battuti su una porta. Anche se coup non si ripete nelle righe precedenti, si coglie lo stesso il parallelismo. Disgraziatamente, in italiano il verbo «bussare»è intransitivo e non può reggere colpi come oggetto. Zevi riesce a conservare l’oggetto usando un verbo transitivo, battere, ma, come se non bastasse, i colpi sono brefs. Camus ci dà un’indicazione di cui Zevi tiene conto, rendendo l’aggettivo con «secchi». Perroni rinuncia a questo dettaglio, ma a una porta si può bussare in molti modi, timidamente oppure con decisione. Senza un avverbio che si avvicini al significato di brefs, perdiamo questa sfumatura e possiamo solo immaginare come si bussa alla porta del malheur.

Veniamo a quest’ultima parola, in posizione talmente enfatica da condensare il destino a cui va incontro il protagonista nella seconda parte: la reclusione, il processo, la condanna e tutte le loro conseguenze. Che differenza passa tra l’infelicità (Perroni) e la sventura( Zevi)? Il dizionario Treccani le definisce in questo modo.

Sventura: Mala ventura, sorte avversa, apportatrice di infelicità, disagi o disgrazie.

Infelicità: Stato, sentimento e sofferenza di chi è infelice.

Si può concludere che la sventura veicola un significato più ampio rispetto all’infelicità, che, al contrario, sembra più ristretta alla sfera personale. Ma abbiamo appena letto che su quella spiaggia Meursault era stato felice (heureux) e lo ritroviamo tale (almeno secondo lui) addirittura nell’ultima pagina, alle soglie dell’esecuzione. Siamo quindi portati a stabilire un legame, tra heureux e malheur. Alla luce di tutto ciò, si sono davvero spalancate le porte dell’infelicità per Meursault? Al contrario, ha senso parlare di una mala ventura, di una sorte avversa che lo colpisce? Albert Camus aveva pensato a possibili sottotitoli per il suo Etranger, tra i quali Un homme heureux. L’esistenza di due versioni ci costringe a riflettere. Istintivamente propendiamo per la soluzione Zevi, ma – per fortuna – c’è ampio spazio di discussione, e non solo filologica (come sempre avviene quando si parla di traduzioni).

Qualcosa non è cambiato: la questione del titolo

Da molto tempo si discute sulla traduzione migliore di étranger. Come sostantivo, compare una sola volta in tutto il romanzo, durante il processo, ma non si riferisce a Meursault e dal contesto risulta chiaro che non si tratta di uno straniero, ma di un estraneo. Non è un caso che a Tommaso Giagni, giovane autore di L’estraneo (Giagni 2012), sia stato chiesto in un’intervista del suo rapporto con Camus, per il resto del tutto assente dalla sua opera a parte questa potenziale eco nel titolo (Zucco 2012). Gianni Amelio, che di Camus ha portato sul grande schermo Il primo uomo, ha dichiarato: «Credo che la traduzione del libro di Camus L’Etranger sarebbe dovuta essere L’estraneo, invece che Lo straniero, anche se poi quest’ultimo suona meglio» (Bertetto e Coladonato 2012). L’occasione è andata perduta, ma con quale coraggio cambiare un titolo così radicato? Citiamo il caso più illustre, Der Zauberberg di Thomas Mann, divenuto La montagna magica (e non più «incantata») nella traduzione di Renata Colorni per i «Meridiani» Mondadori, a dimostrazione del fatto che quando si vuole, si possono perfino cambiare titoli con una lunga tradizione alle spalle. Ma forse Amelio ha centrato il punto: semplicemente, Lo straniero suona meglio.

Conclusioni

Sarebbe troppo lungo in questa sede procedere a un raffronto pagina per pagina. Qui abbiamo solo accennato un’analisi che potrebbe andare più in profondità. Basti pensare ai tempi verbali o al ruolo della punteggiatura e dei connettori testuali, per vedere se restano valide le parole di Sartre quando sostiene che «una frase dell’Etranger è un’isola. E noi ruzzoliamo di frase in frase, di nulla in nulla» (Sartre 1960, 220). Già dagli esempi proposti, sono emerse differenze meritevoli di discussione.

Stupisce la disattenzione complessiva (non vale solo per i quotidiani cartacei, ma soprattutto per le testate web e i blog) con cui è stata recepita la ritraduzione, attesa da tempo, di un’opera tuttora letta dalle nuove generazioni. Apparentemente, non manca nulla a Camus (e a Perroni) per imporsi o tornare a imporsi sulla scena letteraria. Ci limitiamo a segnalare che la seconda edizione del nuovo Straniero è uscita in aprile, dopo soli due mesi dall’esordio, segno che l’opera continua a essere letta e venduta. Una fonte molto attendibile da questo punto di vista come Mario Andreose ci ricorda che Lo straniero, tradotto in tutto il mondo, «in Francia vende duecentomila copie e da noi diecimila» (Andreose 2015, 116). È possibile che in un mondo iperconnesso si continui a leggere Camus anche senza pubblicità martellante su Internet e in televisione? In ogni caso, per sapere se la nuova versione entrerà o meno nel canone, bisognerà comunque attendere una quindicina d’anni. Quando i diritti d’autore saranno liberi (Camus morì nel 1960), forse assisteremo a un’invasione in libreria come è accaduto per Il piccolo principe di Saint-Exupéry, di cui abbiamo contato ben sedici nuove traduzioni. Di sicuro, ci auguriamo che per ritradurre Lo straniero non occorrano altri 68 anni.

Bibliografia

Edizioni di riferimento

Camus 1942: Albert Camus, L’étranger, Paris, Gallimard

Zevi 1947: Albert Camus, Lo straniero, traduzione di Alberto Zevi, Milano, Bompiani

Perroni 2015: Albert Camus, Lo straniero, introduzione di Roberto Saviano, traduzione di Sergio Claudio Perroni, Milano, Bompiani

Altri riferimenti bibliografici

Andreose 2015: Mario Andreose, Uomini e libri, Milano, Bompiani

Bertetto e Coladonato 2012: Paolo Bertetto e Valerio Coladonato, Gianni Amelio Il primo uomo, in «alfabeta2» n. 23, ottobre 2012

Chiappori 2014: Sara Chiappori, Gifuni: «Ispirato da Camus, entro nell’animo dello Straniero», in «La Repubblica», 1 luglio 2014

Collura 1993: Matteo Collura, Zevi, l’inventore che amava i libri, in «Corriere della Sera», 17 dicembre 1993

Daoud 2015: Kamel Daoud, Il caso Meursault, Milano, Bompiani (traduzione di Yasmina Melaouah da Meursault, contre-enquête, Arles, Actes Sud, 2014)

Della Valle e Patota 2011: Valeria Della Valle, Giuseppe Patota, Viva la grammatica!, Milano, Sperling & Kupfer

Fiori 2013: Simonetta Fiori, Il vero Furore. Ecco il capolavoro di Steinbeck per la prima volta senza censure, in «La Repubblica», 9 novembre 2013

Fumarola 2015: Silvia Fumarola, La provocazione di Saviano ad «Amici»: un flashmob per leggere Dostoevskij, in «La Repubblica», 5 aprile 2015

Giagni 2012: Tommaso Giagni, L’estraneo, Torino, Einaudi «Stile libero»

Jacchia 2005: Andrea Jacchia, I signori Foà, Zevi e i loro libri, in «Diario», n. 11, 18 marzo 2005

Missiroli 2015: Marco Missiroli, Atti osceni in luogo privato, Milano, Feltrinelli

Perroni 2015a: Sergio Claudio Perroni, Renuntio vobis, Milano, Bompiani

Rosenthal Fuà 2004: Erika Rosenthal Fuà, Fuga a due, Bologna, Il Mulino

Sartre 1960: Jean-Paul Sartre, Spiegazione dell’”Etranger” di Camus, in Che cos’è la letteratura?, Milano, Il Saggiatore (traduzione di Domenico Tarizzo et al. da Situations I, II, III, Paris, Gallimard, 1947-1949)

Serianni 1997: Luca Serianni, Italiano, con la collaborazione di Alberto Castelvecchi, glossario di Giuseppe Patota, Milano, Garzanti

Steinbeck 2013: John Steinbeck, Furore, introduzione di Luigi Sampietro, postfazione di Mario Andreose, Milano, Bompiani (traduzione di Sergio Claudio Perroni da The Grapes of Wrath, New York, The Viking press, 1939)

Zucco 2012: Giuseppe Zucco, Senza appartenenza: un’intervista a Tommaso Giagni su L’estraneo, il suo primo romanzo, in «Nazione indiana», 5 luglio 2012