di Elena Sanna
Ma come fanno i traduttori stranieri a rendere l’impasto lingua/dialetti di Gadda o il “padano” sui generis di Dario Fo, autori che pure godono all’estero di larga rinomanza? Se lo chiedono spesso quei traduttori italiani che si trovano alle prese con problemi analoghi offerti da autori di altre lingue: si pensi anche solo a Céline o a Ellroy. A una domanda del genere ha cercato di dare una risposta il secondo seminario dedicato all’opera di Andrea Camilleri che Giuseppe Marci ha organizzato, dopo quello dell’anno scorso, tra febbraio e maggio all’Università di Cagliari.
Il problema costituito dalla traduzione di una varietà linguistica così particolare quale è il “camilleriano” è stato infatti il filo conduttore della serie di incontri. Accanto agli approfondimenti critici di singoli aspetti dell’opera di Camilleri, offerti, dopo l’introduzione di Marci e di Duilio Caocci, da Paola Ladogana, Marco Pignotti, Giovanna Caltagirone, Caludia Canu, Fautré, Antioco Floris, Mauro Pala, Luigi Tassoni, Milly Curcio, María Dolores García Sánchez e Massimo Arcangeli, grande spazio è infatti stato riservato alle versioni straniere. Ne hanno parlato Saber Mahmoud per l’arabo, Giovanni Caprara per lo spagnolo (con un’ulteriore attenbzione al tema da parte di Daniela Zizi, Simona Cocco e Valeria Ravera), Pau Vidal Gavilán per il catalano, Simona Mambrini, Paola Cadeddu per il francese (con un’appendice da parte di Mario Selvaggio e Giulia Di Giorgi), Luisanna Fodde, Daniela Virdis, Margherita Dore, Isabella Martini, Elena Sanna e Claire Wallis per l’inglese, Francesca Boarini per il tedesco, Rafael Ferreira per il portoghese. E il 25 febbraio la traduzione ha rappresentato il tema centrale della tavola rotonda alla quale hanno partecipato alcuni dei traduttori dello scrittore. Nella circostanza, gli studenti hanno potuto assistere a un dialogo intenso e vario tra l’americano Stephen Sartarelli, autorità nei rapporti traduttologici tra inglese e italiano, il francese Serge Quadruppani, non solo traduttore di noti autori italiani, ma impegnato in presa diretta nel mondo dell’editoria, il catalano Pau Vidal Gavilán, che oltre che ai romanzi di Camilleri si è dedicato anche al Gattopardo di Tomasi di Lampedusa, e Jon Rognlien traduttore, giornalista e critico letterario, figura di rilievo nel panorama dei rapporti culturali italo- norvegesi.
I protagonisti dell’evento hanno convenuto sull’atteggiamento che il traduttore deve assumere di fronte all’opera camilleriana: una lingua vernacolare non può essere tradotta con un altro vernacolo perché la ricerca di equivalenza dialettale produrrebbe inevitabili quanto indesiderati effetti comici. Tale principio si riconduce al noto assunto di Antoine Berman, che ritiene necessario un superamento di quelle traduzioni etnografiche che prevedono la realizzazione di un prodotto riadattato e deformato in conformità alla realtà della cultura d’arrivo, con un conseguente tradimento dell’essenza dell’originale. “Normalizzazione” quindi, oltre che atto imprescindibile, diventa parola chiave nell’approccio traduttivo all’opera camilleriana: un concetto non molto dissimile da quello che Andrea Camilleri propone, parlando di “banalizzazione” nel recente colloquio con Tullio De Mauro pubblicato da Laterza col titolo La lingua batte dove il dente duole. L’utilizzo di diversi registri e la resa di malapropismi e giochi di parole presenti nel testo di partenza sono altrettanti banchi di prova per chi voglia portare in un’altra lingua l’alternanza di varietà linguistiche propria dell’originale. Sartarelli ha detto di aver utilizzato il brooklynese, lo slang dei poliziotti siculo-italiani di Brooklyn, per rendere la parlata dell’appuntato Catarella, il cui linguaggio ignora le norme dell’italiano. Quadruppani invece ha reinventato la lingua (non a caso nei suoi testi ritroviamo un Montalbano je suis, invece di Je suis Montalbano), seguendo le stesse orme di Camilleri e integrando il suo francese quadruppaniano con termini tipici del sud della Francia. Dai loro differenti punti di vista, i traduttori hanno confermato, nella sostanza, alcune delle considerazioni svolte dai docenti esperti in linguistica e traduzione che, nelle lezioni introduttive dello stesso seminario, avevano analizzato le opere tradotte con l’intento di fornire ai partecipanti gli strumenti teorici necessari per poi seguire con consapevolezza la tavola rotonda conclusiva.
L’apprezzamento delle case editrici angloamericane si è manifestato, dopo il successo del filone montalbaniano, nella pubblicazione dei romanzi che appartengono al filone storico e sociale. A febbraio è uscita infatti la versione inglese de La stagione della caccia, con il titolo di The Hunting Season. In Spagna, nell’ambito del festival BCnegra, Camilleri ha vinto il premio Pepe Carvalho, riconoscimento nazionale dedicato al romanzo poliziesco.
Il settimanale francese «L’Express» ha dedicato a sua volta diversi articoli all’autore siciliano, elogiando sia l’opera originale sia i metodi adottati nelle traduzioni, e apprezzandone la complessità linguistica. La Germania, invece, legge l’autore sotto un’altra ottica. Nell’opera di Camilleri, quotidiani come la «Süddeutsche Zeitung» vi scoprono una forte critica verso il sistema politico e sociale italiano e sottolineano, quindi, la connotazione politica dei suoi romanzi. Riscontri meno positivi sono stati registrati in paesi come Giappone e Finlandia, nei quali la riconoscibilità dei valori tipici italiani è inversamente proporzionale alla distanza geografica/culturale.
Il minor successo, in alcuni casi, è legato all’assenza di un fattore rilevante che ha contribuito al boom del fenomeno Camilleri in Italia: la trasmissione dello sceneggiato televisivo dei romanzi montalbaniani. Il livello di apprezzamento del telefilm è correlato al tipo di traduzione adottata nei diversi paesi in cui è stato programmato. La sottotitolazione diventa in qualche caso una tecnica gradita al pubblico, in quanto consente al telespettatore di sentire, contemporaneamente, il parlato originale.
Per questo, altro punto cardine del seminario è stato l’incontro con Luca Zingaretti, interprete del commissario Montalbano nella serie trasmessa con grande successo dalla tv italiana e acquistata in molti altri Paesi. L’attore ha spiegato il modo in cui ha portato sulla scena televisiva il personaggio letterario e si è ricollegato alla tematica della traduzione multimediale, confermando quanto la sottotitolazione, nel caso di Montalbano, sia molto più redditizia della tecnica del doppiaggio perché il pubblico, pur non conoscendo la lingua di partenza, può assaporare il sonoro originale, percepisce la bravura dell’attore e riceve, in più, un tocco di gusto esotico. Non a caso, in Francia, dove i personaggi sono stati doppiati, lo sceneggiato ha conseguito risultati meno positivi.