Categoria: Archivio

Gli allievi / Studiare traduzione all’università: il corso di Forlì

di Olga Alessandra Barbato, Valeria Cassino, Martina Santarelli, Marco Troia |

Correva l’anno accademico 2014/2015 quando abbiamo cominciato la magistrale in Traduzione specializzata presso la Scuola di lingue e letterature, traduzione e interpretazione dell’Università di Bologna, polo di Forlì. Di quel corso di laurea non resta che un lontano ricordo: oggi si cela infatti sotto le sembianze di Specialized translation, che ha consolidato la vocazione internazionale della facoltà rendendola ancor più accessibile a studenti di tutto il mondo. Ora la maggior parte delle lezioni è infatti in inglese, mentre quelle di traduzione editoriale sono rimaste invariate e si tengono ancora oggi in italiano.

Tornando ai nostri tempi, durante il primo anno

Gli allievi / UN INTeressante equivoco

di Alice Della Seta |

Nel biennio 2014/2016 ho frequentato il corso di laurea magistrale in Traduzione e interpretariato all’Università degli studi internazionali di Roma (UNINT), dove è possibile scegliere tra due curriculum: Traduzione o Interpretazione. Per buona o cattiva sorte, ho deciso di intraprendere il primo. Spinta dall’interesse per la traduzione editoriale, ignoravo che di moduli in questo ambito ne avrei trovati solo due. A dirla tutta, questo articolo sarebbe ancora più corto del previsto se, per un caso fortuito, al secondo anno non avessero rimpiazzato all’ultimo momento il modulo di traduzione tecnico-scientifica con un secondo modulo di traduzione editoriale.

La recensione / 4 – Costruire ponti: la traduzione come strumento per una politica e poetica dell’ospitalità

di Giulia Grimoldi |

A proposito di: Paola Zaccaria, La lingua che ospita. Poetiche politiche traduzioni, Milano, Meltemi, , 2017, 289 pp., € 20,00

Border, confini, ibridazione, creolizzazione, impurità, complessità: come entrano nella riflessione sulla letteratura (e sulla traduzione) questi concetti legati al tema delle migrazioni cui assistiamo quotidianamente? Nella seconda edizione de La lingua che ospita, frutto di una rilettura che conferma la necessità di utilizzare la lente del border critical thinking come strumento chiave per interpretare gli attraversamenti planetari contemporanei e le nuove costruzioni di muri, Paola Zaccaria pluralizza le coordinate indicate nel sottotitolo, Poetiche, politiche, traduzioni,

La recensione / 5 – La traduzione nella lente di Darwin

di Giulia Baselica |

A proposito di : Fabio Regattin, Traduction et évolution culturelle, Paris, L’Harmattan, 2018, pp. 185, €19,50

Già il titolo di questo saggio nella sua densa sinteticità presenta le colonne portanti di una costruzione interpretativa della traduzione tanto inconsueta quanto, per molti aspetti, illuminante: la traduzione come segno e atto dell’evoluzione culturale.

L’autore, Fabio Regattin, è ricercatore di Lingua francese e traduzione e si occupa di traduzione editoriale e teatrale, e il volume Traduction et évolution culturelle è pubblicato in una collana interamente dedicata alla teoria e alla pratica della traduzione, di cui ci occuperemo più ampiamente in un prossimo numero di «tradurre».

Reminiscenze e borbottii / 9

Il vecchio lettore |

L’idealismo è morto, viva l’idealismo! Beninteso: nessuna nostalgia per la metafisica immanentistica e l’estetica tautologica di Benedetto Croce né tanto meno per il fascismo mistico e la statolatria di Giovanni Gentile, e nemmeno per il bieco classismo e il bieco maschilismo di entrambi. Ma c’è qualcosa di molto attuale nella loro rivolta, all’inizio del secolo scorso, contro il positivismo meccanicistico imperversante, contro il socialismo parolaio e sostanzialmente attesista, contro quelli che l’idealista Karl Marx chiamava i materialisti volgari, contro affaristi e imbonitori di ricchezze, contro un parlamento in preda a gruppi e gruppetti di professionisti della chiacchiera disposti a ogni trasformismo, senza luce di progetto, senza costruzione di futuro. C’è qualcosa di attuale – davanti allo sfacelo cui è ridotto, a furia di riforme, il sistema formativo italiano – nel loro puntare sulla scuola

La traduzione automatica

UN PO’ DI STORIA: SUCCESSI E QUALCHE RIFLESSIONE

di Paola Brusasco | Sarà capitato a molti di sorridere davanti alle dubbie formulazioni di quelle che – con ogni probabilità – sono traduzioni automatiche delle specifiche di un prodotto o di informazioni turistiche. Più rara, credo, è la consapevolezza che buona parte dei testi che in diversi modi influenzano o intercettano la rotta della nostra vita sono il risultato di processi di traduzione automatizzata in vario grado. Se l’obiettivo della traduzione automatica – traduzioni corrette ed efficaci di testi in lingue naturali ottenute attraverso l’esclusivo utilizzo di software – non è ancora completamente raggiunto, o solo in pochissimi settori, è pur vero che la traduzione assistita, in cui parte del processo traduttivo avviene tramite procedure automatiche, è ormai la modalità di lavoro standard, con l’unica eccezione dell’ambito editoriale.

Quasi un editoriale

Con questo numero inauguriamo una nuova rubrica, «LTit», in cui con grande piacere ospitiamo, come spiega Michele Sisto nel suo asciutto articolo introduttivo, le schede che vengono preparando le studiose e gli studiosi coinvolti nel progetto FIRB/Futuro in Ricerca (Storia e mappe digitali della letteratura tedesca in Italia: editoria, campo letterario, interferenza) finanziato dal MIUR per il periodo 2013-2018, di cui è prevista la prosecuzione anche nei prossimi anni. In tal modo il numero viene ad assumere, involontariamente ma non casualmente, un carattere pressoché monografico, in quanto vi è una particolare abbondanza di ricostruzione di personalità.

Tradurre è scrivere

PAROLA DI ADA VIGLIANI

di Gianfranco Petrillo |

Aveva delle perplessità, Ada, per questa intervista. «Diranno che facciamo tutto in famiglia, noi di “tradurre”», diceva. «Sta’ a vedere – le ho risposto – che siccome abbiamo la disgrazia di avere in redazione una che ha tradotto alcuni tra i massimi esponenti della letteratura in lingua tedesca del Novecento, e non solo, dobbiamo far finta di non conoscerla nemmeno». Si è convinta e ora, da buoni borghesi, siamo davanti a tè e biscotti, registratore acceso e Paola Mazzarelli alla console, in un pomeriggio invernale tipicamente torinese, come è lei, con quell’aria da madamina gozzaniana, riservata e poco incline alle confidenze. Ma si fa presto a scoprire che non è vero.