Categoria: Teorie

Elogio (misurato) della gabbia

TEORIA E DETERMINISMO NELLA STORIA DELLE TRADUZIONI

di Michele Sisto |

Sull’ultimo numero di «tradurre», nella recensione al mio libro sulle Traiettorie (Sisto 2019), Gianfranco Petrillo solleva una questione fondamentale, non solo per gli studi sulla storia delle traduzioni, ma in ogni studio che si pretende scientifico: può il ricorso alla teoria, ovvero l’adozione dichiarata di metodi e strumenti codificati, diventare una “gabbia” troppo rigida e condurre a una ricostruzione deterministica dei fenomeni indagati? Poiché è un timore che nelle discipline umanistiche sento esprimere di frequente, vorrei approfittare della schiettezza con cui Petrillo lo manifesta per affrontarlo altrettanto schiettamente, allargando il discorso anche un po’ al di là del caso specifico. Nella recensione si legge:

Cambiare verso

SI PUÒ TRADURRE IN UNA LINGUA DIVERSA DALLA PRIMA LINGUA MADRE? OVVERO: DELLA “DIREZIONALITÀ”

di Barbara Ivancic |

Con il termine directionality si indica, negli studi traduttologici più recenti, la prassi di tradurre o interpretare verso una lingua che non corrisponde alla prima lingua o lingua madre di chi traduce (cfr. Pokorn 2011; Apfelthaler 2019). In realtà, il termine si riferiva originariamente in senso più ampio alla coppia linguistica nell’ambito della quale ha luogo il processo traduttorio, salvo poi subire in tempi recenti una sorta di restrizione semantica, per designare appunto esclusivamente la traduzione in una lingua seconda.

Il pensiero si esprime liberamente nel corpo (anche di chi traduce)

TRADUZIONE E EMBODIMENT. RIFLESSIONI A MARGINE DI UN CONVEGNO

di Barbara Ivancic |

Leib bin ich ganz und gar, und nichts außerdem, scrive Friedrich Nietzsche in Also sprach Zarathustra (Nietzsche 1980, 39; «Io sono tutto corpo e nient’altro» – Montinari 1976, 44), attribuendo così al corpo un ruolo che nella storia del pensiero occidentale raramente gli è stato riconosciuto. Nella secolare diatriba corpo-mente o corpo-anima il corpo è, infatti, quasi sempre stato relegato a mero esecutore di quanto deciso altrove, mente o anima che fosse. A ribaltare la prospettiva in modo decisivo, la filosofia fenomenologica, in particolare il pensiero di Edmund Husserl, che riecheggia nell’affermazione nietzschiana, a cui si deve la fondamentale distinzione tra il corpo inteso come corpo proprio, quel corpo che, grazie all’esperienza che lo attraversa, diventa corpo vissuto, e il corpo inteso come corpo anatomico, come corpo oggetto: Leib e Körper, nella terminologia tedesca