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di Paola Brusasco | Le situazioni di crisi – che si tratti di fenomeni naturali o conseguenze di attività umane – sono caratterizzate da alcuni aspetti comuni: l’evento è inaspettato o smentisce le previsioni, costituisce una minaccia per la sicurezza, la salute, la vita o le infrastrutture, e richiede interventi rapidi per contenere gli effetti (Sellnow, Seeger 2013). Tali sconvolgimenti della normalità, seguiti di solito da una temporanea inadeguatezza delle reazioni e da una limitata possibilità organizzativa, provocano, oltre a vittime e danni materiali, anche traumi, angoscia e confusione. Un diverso tipo di crisi, meno improvviso ma altrettanto critico, è quello che si verifica in zone di conflitto o nei campi profughi, dove spesso vengono messi in atto interventi umanitari. In tutti questi frangenti, la comunicazione assume un’importanza vitale, sia per consentire un’efficace collaborazione fra squadre di soccorso o operatori umanitari – spesso internazionali –, forze dell’ordine, volontari, cittadini, sia per aiutare le persone colpite, alleviarne il dolore o organizzare azioni e strutture di sostegno. Nelle società contemporanee accade inoltre spesso che siano presenti comunità di origini e culture diverse i cui componenti non sempre padroneggiano la lingua locale. La comunicazione, urgente e necessaria, rischia pertanto di essere poco efficace o di non raggiungere una parte della popolazione, il che può determinare conseguenze importanti per tutti.
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