di Patricia Badji
L’Università degli studi di Milano non ha un vero e proprio percorso formativo dedicato alla traduzione editoriale. O meglio, prevede un curriculum che permette agli studenti di laurearsi in studi traduttologici, ma la scelta degli esami qualificanti è molto libera. Sta agli studenti, dunque, cercare di comporre il proprio curriculum formativo nel modo più adeguato possibile. L’unico requisito è la reiterazione dell’esame di Teoria e tecnica della traduzione inglese. Il corso è annuale e la docente sconsiglia caldamente agli studenti di cominciare a seguire le lezioni a metà semestre, in quanto l’andamento delle lezioni segue un filo storico e pratico coerente dall’inizio alla fine. È un vero e proprio percorso formativo della durata di due anni, che si svolge nell’arco di sessanta ore annuali per nove crediti formativi; a discrezione dello studente, i crediti formativi possono essere solamente sei per un totale di quaranta ore di lezione. La frequenza non è riservata ai soli studenti magistrali di lingue, che comunque risultano essere la gran maggioranza con in media quarantacinque studenti su cinquanta. Le lezioni forniscono sia una base teorica che pratica. La teoria serve perché è importante tradurre con cognizione di causa, e perché la storia di una disciplina nata e studiata relativamente da poco può stimolare dibattiti e nuove idee. La docente divide perciò le ore settimanali in due sezioni: la prima parte è tutta dedicata a cenni storici riguardo i translation studies, la seconda invece è incentrata sulla pratica.
Nella prima parte della lezione, prima di passare alla parte pratica, la docente parla a braccio illustrando la storia dei translation studies fin dalle origini, fornendo agli studenti degli esempi per ogni teoria spiegata. Questa parte è meramente una lezione frontale, gli studenti intervengono poco o nulla, si tratta solo di ascoltare e prendere appunti. È qui, però, che può nascere l’interesse vero per questo corso di traduzione. Ci sono due tipi di studenti: quelli a cui piace riflettere sui problemi già affrontati o meno dagli studiosi della materia e quelli che prediligono il lavoro sul testo. La pratica senza teoria, però, è un lavoro quasi meccanico. Non si può tradurre senza cognizione di causa: questo è il messaggio che passa agli studenti. La prima parte del corso annuale, dunque, serve a instillare negli studenti le nozioni base della traduzione e a farli familiarizzare con ciò che la traduzione stessa è: una questione di decisioni. I decenni in cui la disciplina è stata studiata portano con sé domande diverse: chi si è interrogato sull’aspetto etico della traduzione, chi sull’aspetto del ritmo, sul concetto di bellezza del testo, eccetera. A partire da questi problemi i vari traduttori hanno scelto una strada da seguire e l’hanno percorsa fino in fondo, almeno il tempo di un libro. La prima parte del corso è dunque l’occasione che la docente ha per far capire agli studenti il concetto che poi sarà parte integrante della pratica, cioè quello del lettore modello a cui si rivolge la traduzione. Con la traduzione femminista dalla lingua inglese, si scopre, il Canada ha giocato molto sui suffissi proprio per comunicare un messaggio specifico al lettore: le donne esistono, non bisogna dare per scontato che un libro abbia un protagonista maschile o che una poesia sia rivolta a un uomo. Gran parte dell’attenzione è focalizzata sugli studi riguardanti la traduzione delle opere postcoloniali. La docente è esperta del campo, quindi può naturalmente fornire un punto di vista più che autorevole sulla questione. In questo caso vengono ripresentate agli studenti due strade da perseguire, già citate verso la metà della prima parte delle lezioni teoriche: o si muove il lettore incontro all’autore, o si muove l’autore incontro al lettore. Nel primo caso avremo una traduzione straniante, nel secondo una traduzione addomesticante. Le parole di Friedrich Schleiermacher e il concetto di spostamento dell’autore e del lettore l’uno rispetto all’altro ritornano spesso durante l’anno. L’importanza di prendere una decisione con in mente le basi di questa teoria è maggiore per i testi trattati nel secondo semestre del corso: di solito si traducono grandi classici e classici della letteratura postcoloniale. I due tipi di testi hanno prerogative diverse e le basi fornite nella prima parte del corso offrono un ottimo aiuto.
In genere le lezioni sono interrotte da un intervallo accademico di quindici minuti, e in seguito comincia la fase di lavoro vero e proprio sul testo. La docente, raccolti gli indirizzi degli studenti che frequentano il suo corso, manda una mail con i file di tutti i testi su cui si lavorerà durante l’anno. Di volta in volta, dunque, si lavora su un testo diverso. Il filo conduttore delle opere analizzate cambia di anno in anno, ma una buona parte di questi testi è presa dalla letteratura postcoloniale di lingua inglese. Si lavora su estratti di opere di Chinua Achebe e di Ken Saro-Wiwa, per esempio. Per i classici, si passa da Ernest Hemingway a Virginia Woolf. Digressioni da questi due grandi filoni prevedono incursioni nella letteratura per l’infanzia o nei finti romanzi storici, come Foe di J.M. Coetzee. La lezione pratica comincia in realtà alla fine della lezione precedente. Vengono fornite alcune informazioni essenziali alla comprensione del contesto storico, dell’autore, della sua opera completa e del libro da cui è preso l’estratto oggetto di traduzione. La docente chiede agli studenti di avere il testo sotto gli occhi e inizia a leggerlo ad alta voce, così che tutti possano sentire il ritmo della frase e i punti focali che vengono enfatizzati dalla lettura. La lettura viene ripetuta tre volte, di modo che il testo arrivi a tutti e in modo da rendere più semplice segnare le parti che agli studenti sembrano più importanti, più difficili da sciogliere. La lezione finisce in questo modo, e gli studenti lasciano l’aula con la lettura del testo ancora in mente, fresca. La lezione successiva si tiene solitamente a una settimana di distanza. Si comincia sempre con la teoria, poi c’è la pausa e poi finalmente si passa al lavoro sul testo. Gli studenti, uno ad uno, leggono una frase tradotta e la docente dà un riscontro immediato al lavoro svolto proprio su quella frase. Se le scelte operate dallo studente non la convincono, chiede delucidazioni in merito al ragionamento che ha portato a compiere proprio quella scelta. Se ci sono errori di comprensione, li fa notare; se di due alternative lo studente ne ha scelta una, la docente, a volte, fornisce un’alternativa personale, sempre motivandola. È in questa fase che tutta la classe può dire la propria, ognuno può alzare la mano, leggere la propria frase e motivare la sua traduzione. Gli estratti da tradurre come compito sono solitamente lunghi una pagina scarsa, e con questo metodo di revisione in classe le ore dedicate al lavoro pratico finiscono quando la docente chiede a uno degli studenti di leggere tutto il brano con le correzioni aggiunte in classe, correzioni nate dal confronto tra le varie traduzioni degli allievi e dal dibattito sulle scelte di chi ha tradotto. Il testo completo è dunque letto ad alta voce anche due volte, se necessario, ripetendo così il rituale dell’enunciazione che porta il brano a insinuare il suo ritmo nella mente degli ascoltatori. Poi, la docente legge il brano che sarà da tradurre per la volta successiva ad alta voce, tre volte, come fatto alla fine della lezione precedente. La routine è la stessa, non cambia mai. Informazioni sull’autore e sull’opera, lettura ad alta volte del testo. Sta agli studenti riflettere e portare un testo tradotto che riusciranno a difendere se interrogati. La parte di lettura delle traduzioni degli studenti è spunto anche di rimandi alla teoria della traduzione, sempre ben presente durante tutte le ore di lavoro.
La reiterazione del corso di traduzione dalla lingua inglese, come detto necessaria se si sceglie di seguire un curriculum di studi traduttologici ma facoltativa per tutti gli altri percorsi formativi, non prevede l’insegnamento della teoria della traduzione. In compenso, per l’esame finale è previsto lo studio accurato di libri che parlano di argomenti più vari: dalle esperienze sulla traduzione (come Angela Albanese e Franco Nasi, L’artefice aggiunto. Riflessioni sulla traduzione in Italia: 1900-1975, Angelo Longo Editore, 2015) alla lettura di un manuale che raggruppa tutte le più importanti teorie dei translation studies. Il lavoro che si preferisce chiedere a chi reitera l’esame è dunque più sul testo da tradurre, più pratico, più artigianale e meno teorico. I testi cambiano di anno in anno, ovviamente per permettere agli studenti reiteranti di trovarsi di fronte a brani di natura diversa. Se l’anno prima si è parlato della letteratura classica per l’infanzia, l’anno dopo l’attenzione sarà spostata più sulla letteratura americana contemporanea, per esempio. Il metodo di lavoro della docente non cambia: informazioni di base, lettura ad alta voce del testo che dà come compito per la settimana successiva; lettura riga per riga in classe, discussione di alternative fornite dagli studenti o dalla docente, discussione sulle scelte che hanno portato alla traduzione di una frase in un determinato modo, eventuali correzioni, lettura finale a voce alta. Il lavoro in classe non prevede l’uso di computer dell’università o dizionari cartacei; se uno studente li ha sul proprio PC, li può tranquillamente utilizzare, altrimenti tutto il lavoro di ricerca e traduzione va fatto a casa in autonomia.
Il corso fornisce le basi teoriche per poter tradurre in piena consapevolezza. Il suo punto debole è il monte ore: poche ore di lezione a settimana pongono per forza dei limiti a ciò che si può insegnare e imparare. È un corso che cerca il più possibile di preparare gli studenti a una futura specializzazione nel campo della traduzione di lingua inglese. Fornisce le basi teoriche, pratiche e un esercizio costante di traduzione dalla lingua inglese. Si impara a scegliere, a prendere delle decisioni e a saperle motivare, e si impara che la traduzione è fatta anche di questo.