di Laura Menozzi
Il corso di laurea magistrale in Letterature moderne, comparate e postcoloniali offerto dall’Università di Bologna dà agli studenti la possibilità di avere un primo contatto con il mondo della traduzione. Durante l’anno accademico 2015/2016, io e circa altri cinquanta miei compagni, armati di curiosità e della bibliografia necessaria, abbiamo deciso di frequentare l’insegnamento di Lingua spagnola. Sotto la dicitura generica Lingua spagnola rientrano tutti i moduli relativi a quella lingua da frequentare per il conseguimento della laurea magistrale. Uno di questi è un modulo semestrale di traduzione che figura come obbligatorio per tutti gli studenti che hanno lo spagnolo tra le lingue di specializzazione e che è attivo al primo anno di frequenza. Durante il secondo, infatti, ci si concentra su altri aspetti linguistici e letterari.
Il modulo, tenuto da un docente madrelingua italiano, ha una durata complessiva di trenta ore, ripartite in tre lezioni settimanali di sessanta minuti che si svolgono solitamente il lunedì, il mercoledì e il venerdì. Di norma, i primi due incontri della settimana sono dedicati all’introduzione di alcuni concetti base di teoria della traduzione e alla presentazione del testo sul quale si lavorerà successivamente. Il docente assegna quindi il brano che dovrà essere consegnato entro l’ultimo incontro della stessa settimana, per poi essere corretto e revisionato con l’intera classe il venerdì della settimana successiva. La traduzione non si svolge singolarmente, ma in gruppi composti in media da cinque studenti. Capita che, dati gli impegni sempre diversi di ogni partecipante, i testi vengano divisi in maniera più o meno arbitraria, tradotti a casa e poi assemblati appena prima della consegna; inoltre, visto che sono gli studenti a scegliere i gruppi di lavoro, è facile che ci si trovi a tradurre sempre con le stesse persone.
Il docente corregge il compito e lo riconsegna durante l’ultima lezione della settimana successiva. Il venerdì è quindi sempre dedicato alla revisione collettiva del testo tradotto a casa dagli studenti. Per l’occasione viene proiettato un file in cui, per ogni snodo di particolare interesse o difficoltà, si riportano le soluzioni dei vari gruppi. Quest’incontro, che credo dovrebbe avere carattere seminariale, in realtà è più che altro frontale, dato che a intervenire è quasi solo il docente, che commenta gli errori e propone una traduzione più corretta. La scarsa partecipazione è dovuta al fatto che, non trattandosi di un corso di laurea in traduzione, non tutti i frequentanti sono interessati all’attività e motivati a partecipare in maniera attiva alla discussione. Inoltre, il vero e proprio insegnamento di Teoria della traduzione, di norma frequentato da meno della metà degli studenti iscritti all’insegnamento di Lingua spagnola, non è obbligatorio, ma è inserito nei crediti opzionali del piano didattico a libera scelta dello studente. Di conseguenza sono molti i ragazzi che si trovano tra le mani concetti di Newmark e Bassnett senza sapere come trattarli. Per quanto riguarda i testi, quelli presentati durante l’anno sono tutti letterari e di autori prevalentemente contemporanei (Max Aub, Juan Villoro e Marta Sanz, solo per citarne alcuni) sia spagnoli che latinoamericani. Se da una parte è da apprezzare lo sforzo di sottoporre anche voci e varianti che esulino dallo spagnolo standard e peninsulare, dall’altra bisogna sottolineare che tutti i generi editoriali al di fuori della prosa letteraria sono ignorati. Un altro punto a favore è l’attenzione comparatistica con cui si analizzano criticamente le traduzioni già pubblicate dei testi affrontati in classe.
L’esame finale consiste in una traduzione dallo spagnolo all’italiano con il solo ausilio di strumenti cartacei (dizionario monolingue e bilingue), mentre non è permesso l’accesso a internet. Ultimata la traduzione, lo studente è chiamato anche a redigere un breve saggio in spagnolo per argomentare le proprie scelte traduttive, tenendo conto delle riflessioni teoriche affrontate durante il semestre.
Questo modulo è affiancato e completato da lezioni seminariali (trenta ore complessive, tre volte alla settimana) tenute da un lettore madrelingua spagnolo. Gli incontri hanno l’obiettivo di leggere e analizzare nel dettaglio testi sia italiani che spagnoli consegnati a inizio anno dal lettore, differenti da quelli proposti dal docente titolare della cattedra, prestando particolare attenzione alle frasi idiomatiche, ai culturemi o, in generale, alle parti di difficile traducibilità, per poi abbozzare soluzioni e strategie traduttive. Per completare il lavoro, gli studenti (in solitaria) redigono una sorta di scheda di lettura per ognuno dei testi analizzati in classe, concentrandosi non solo sugli aspetti linguistici ma anche sullo stile letterario, il contesto sia dell’autore che dei suoi personaggi e le tecniche narrative. Si propone quindi una lettura approfondita in vista di un’eventuale traduzione completa dei testi. L’esame relativo a questa parte dell’insegnamento, propedeutico a quello del docente titolare, è una traduzione attiva dall’italiano allo spagnolo.
Un’ultima nota per segnalare che una prima infarinatura di traduzione attiva, volta però all’apprendimento linguistico, viene data già durante il corso di laurea triennale in Lingue e letterature straniere. Il lettorato del terzo anno dedica infatti un modulo alla traduzione dall’italiano allo spagnolo, proponendo autori di alto livello letterario come Italo Calvino e Grazia Deledda.
Sarà ormai evidente che il modulo si configura più come un insegnamento di traduzione letteraria che editoriale, dato che non vengono presi in considerazione altri generi quali ad esempio la saggistica. Quello che promette, cioè avvicinare gli studenti alla prassi della traduzione, lo mantiene. I professori sono appassionati e preparatissimi dal punto di vista linguistico e teorico, ma in generale l’insegnamento manca, come tanti corsi universitari, del risvolto pratico-lavorativo. Non vengono proposti incontri con case editrici o con persone che hanno fatto della traduzione il loro mestiere. Viene dato più risalto alla teoria della traduzione e meno al perfezionamento della pratica e, di conseguenza, rimane tutto un po’ troppo accademico. Inoltre, credo che per gli studenti sarebbe più utile, anche se più impegnativo per il docente, tradurre i testi per conto proprio. La traduzione in gruppo infatti, per le dinamiche spiegate sopra e la scarsa esperienza, dà spesso come risultato testi poco omogenei e ancor meno consapevoli. Va aggiunto che la traduzione sempre e solo collettiva non fa prendere coscienza del tempo che a ognuno di noi occorre realmente per la stesura definitiva e non fa rendere conto che la pratica traduttiva, oltre a essere passione, è anche lavoro.