di Riccardo Duranti, autore di
Lenny McGee, Dietro l’arazzo,Mompeo, Coazinzola Press, 2016 (traduzione da Behind the tapestry, inedito)
Tradurre un complesso romanzo storico sulla vita di un traduttore dell’inizio del Seicento presenta vari aspetti paradossali che, però, si possono superare proprio grazie alla natura paradossale dell’attività stessa della traduzione.
La storia, che si articola in tre modalità testuali (dialoghi, flussi di coscienza e lettere), ricostruisce la vita del primo traduttore in assoluto, nel 1612, del capolavoro di Cervantes, il Don Quijote: Thomas Shelton. Non si sa quali vicende portarono questo esule irlandese ad affrontare la traduzione di quel complesso testo a soli due anni dalla sua uscita. Per questo Lenny McGee ha deciso di “risarcire” Shelton, traendolo dall’oscurità: dopo accurate ricerche, ha integrato i pochi dati storici con la fantasia per ricostruirne la figura e trasformarlo in un personaggio a tutto tondo.
La prima difficoltà riguarda lettere, dialoghi e riflessioni originariamente redatti parte in spagnolo e parte in inglese, ma presentati tutti in un inglese abbastanza omogeneo. La convenzione forse più universalmente accettata nella narrativa, quella dell’unitarietà linguistica pur in presenza di un contesto plurilingue, permette di applicare anche nella traduzione italiana un’ulteriore suspension of disbelief, cioè di mettere tra parentesi l’inverosimiglianza. Le cose, però, si complicano quando il romanzo affronta questioni meta-linguistiche e meta-letterarie.
La qualità meta-traduttiva del testo si è presentata subito come la sfida più insidiosa dell’impresa: tradurre in italiano un testo inglese in cui spesso si pongono problemi di traduzione dallo spagnolo può provocare corto-circuiti linguistici e formali. Un esempio per tutti: a Madrid, il protagonista assiste alla rappresentazione di Los donaires de Matico, una commedia di Lope de Vega. Tom Shelton, pur non pienamente padrone dello spagnolo, rimane affascinato dal testo recitato:
¡Qué sentido tan trocado
tiene amor en su lugar,
que está en pasiva el amar
y en activa el ser amado!A good conceit! How could that be rendered in English? Let’s see: “What an arseyversey meaning love acquires when at home, that to love is a passive form while being loved is an active one”. Something like that, except it does not scan at all nor contain the flowing grace of the Spanish lines. Let’s try again: “Such is Love’s twisted sense / and its power to transform / that to love is a passive stance / while being loved’s an active storm!” Not quite it, but much better. And it worked so well on stage with both of the women who love him thinking he is talking about them.
Il passo, che ci permette di seguire i percorsi di una nascente vocazione alla traduzione, viene reso così in italiano:
Un bel concetto! Come potrei renderlo? Vediamo un po’: «Che senso ingarbugliato prende l’amore a casa sua, se amare è una forma passiva ed essere amato invece è attiva». Insomma, qualcosa del genere, solo che detto così, il verso non torna affatto e non ha la grazia fluida dell’originale. Riproviamo: «L’amore a tal punto sconvolge/ il senno che amar tramuta/ in forma passiva e muta/ e l’esser amati in attivo volge!». Non ci siamo ancora, ma va già meglio. E comunque sulla scena funzionava benissimo perché entrambe le donne che lo amano lo interpretano come se fosse riferito a loro.
Svolgendosi l’azione in mezza Europa, problemi analoghi presentano anche altre lingue: latino, gaelico, fiammingo, francese e italiano. Il protagonista si cimenta perfino in una versione in inglese di un sonetto scritto in italiano. In questo caso, mi sono limitato a riportare i due testi come nell’originale, anche perché subito dopo Shelton scrive un altro sonetto, in inglese e, in un subitaneo scambio di ruolo, sono stato costretto a comporne l’equivalente italiano.
Altro paradosso: sono infatti anche editore e editor del libro, con interventi anche sull’originale. Quello principale è consistito nel cambiare le date di vari episodi, che non sempre corrispondevano al giorno della settimana deducibile dal testo. Grazie al calendario perpetuo, ho rimesso le cose a posto, consenziente l’autore, che anzi, grato, ha modificato il suo manoscritto. Un raro esempio in cui la traduzione influenza l’originale.