di Giuseppe Pappalardo
A proposito di Kanji. Grande dizionario giapponese-italiano dei caratteri, a cura di Simone Guerra. Bologna, Zanichelli editore s.p.a., 1182 pp., € 38,00″
Quando un discente italiano si appresta alla traduzione o alla comprensione di un testo in lingua giapponese il solo dizionario bilingue non è sufficiente. A differenza delle lingue con un sistema di scrittura fonografico, infatti, la lingua giapponese viene scritta attraverso un sistema di scrittura che oltre a due alfabeti sillabici di tipo fonografico (kana) comprende caratteri logo-fonografici di origine cinese (kanji). I sinogrammi, calco morfologico della parola giapponese kanji (kan=Cina; ji=carattere), sono i caratteri cinesi entrati in Giappone a partire dal V secolo d.C., con i quali è stato possibile mettere per iscritto la lingua giapponese che era stata per lungo tempo una lingua priva di scrittura. Il sistema di scrittura importato dalla Cina non era costituito da grafemi fonografici, in cui esiste la corrispondenza tra il suono e il segno grafico, bensì da caratteri logo-fonografici che oltre al suono sono portatori anche di un significato. Inizialmente i giapponesi pensavano che questi segni grafici iscritti sui manufatti provenienti dalla Cina fossero semplici decorazioni. Col tempo però iniziarono a capire che si trattava di un mezzo per trascrivere la lingua orale e cominciarono ad adattare la scrittura cinese alla propria lingua. Tuttavia, questa operazione non fu affatto semplice. I sinogrammi riflettono la struttura tipologica del cinese, che è una lingua isolante, costituita cioè da parole invariabili prive di flessioni o declinazioni, e mal si adattano ad una lingua flessivo-agglutinante come il giapponese. L’adeguamento del sistema di scrittura cinese alla lingua giapponese è stata per il popolo nipponico una vera e propria sfida. I sinogrammi venivano utilizzati talvolta per il loro valore semantico e talvolta per il loro valore fonetico creando delle stringhe che richiedevano un vera e propria ricerca filologica per essere interpretate. A partire dal periodo Heian (794-1185) si svilupparono due alfabeti sillabici, hiragana e katakana (insieme denominati kana), a partire dai caratteri cinesi utilizzati per il loro valore fonetico, che resero più agevole la resa dei morfemi grammaticali. I sinogrammi rimasero però parte integrante e indispensabile del sistema di scrittura giapponese e ogni tentativo di proporre la loro eliminazione o limitazione, con l’obiettivo di utilizzare quasi esclusivamente i kana, si è rivelato un fallimento.
Simone Guerra, unico autore di questo dizionario, sceglie di inserire nel titolo la parola giapponese kanji. È infatti la parola con cui i sinogrammi vengono solitamente chiamati dagli studenti universitari e dagli appassionati di cultura giapponese. Come egli spiega ampiamente nell’introduzione, la parola «ideogramma», usata spesso impropriamente in italiano per indicare i sinogrammi usati in Cina e in Giappone, non rappresenta la scelta corretta per definire una tipologia di carattere che non costituisce di per sé la rappresentazione grafica di oggetti o idee. Nella scrittura scientifica si usano i termini logogramma o carattere logo-fonografico, in quanto il sinogramma porta con sé informazioni relative al significato e al suono senza rappresentare necessariamente una parola o un’idea.
Un discente italiano che prova a tradurre un testo dall’inglese o dal francese utilizzerà un dizionario bilingue per comprendere il significato e trovare un equivalente in italiano della parola che non conosce. Il sistema di scrittura fonografico permetterà la facile consultazione del dizionario in cui le parole sono organizzate in ordine alfabetico. Lo stesso discorso non vale per il discente che ha a che fare un con un testo scritto in giapponese o cinese. Se non si conosce la lettura della parola scritta in sinogrammi, prima di consultare un dizionario bilingue sarà necessario utilizzare un dizionario dei caratteri per risalire alla loro pronuncia nel contesto in cui essi si trovano: lo stesso sinogramma può avere infatti più di una lettura on (di origine cinese) e più di una lettura kun (di origine giapponese). Il dizionario dei caratteri costituisce dunque uno strumento indispensabile per l’apprendimento della lingua giapponese a qualsiasi livello.
Il dizionario di Simone Guerra rappresenta una valida alternativa ai dizionari dei caratteri in formato cartaceo finora utilizzati dai discenti italofoni. Questi dizionari riportano le traduzioni dei lemmi in lingua inglese: il più usato è probabilmente The New Nelson di Andrew N. Nelson nell’edizione rivista da John H. Haig (Rutland, Vt – Tokyo, Tuttle, 1997). Inoltre, nei programmi dei corsi universitari, vengono spesso consigliati manuali che riportano la lista completa dei Jōyō kanji (sinogrammi di uso comune), corredata dalla traduzione (in inglese) dei relativi composti, come Kanji & Kana di Wolfgang Hadamitzky e Mark Spahn (Rutland, Vt, Tuttle, 1997). Grazie al prezioso lavoro di Simone Guerra, il discente o l’appassionato di lingua giapponese potrà trovare in libreria un dizionario dei caratteri in lingua italiana il cui livello non è in alcun modo inferiore a quelli in lingua inglese generalmente usati.
In copertina il dizionario annovera 5495 kanji singoli, oltre 43000 composti e oltre 65000 traducenti. I numeri sono piuttosto alti se paragonati a quelli di altri dizionari di caratteri in lingua straniera (The New Nelson, per esempio, ne annovera 7107) e sono comunque sufficienti per uno studente universitario di livello avanzato. È possibile cercare un sinogramma all’interno del dizionario utilizzando la ricerca per pronuncia oppure la ricerca per radicale, chiamata qui ricerca per bushu. L’autore, nella presentazione dell’opera, sostiene infatti che «il termine bushu non ha alcuna implicazione semantica simile a quella della parola italiana radicale, ma significa intestazione e indica semplicemente il primo carattere presente in ciascuna delle 540 sezioni» (p. 27) e decide dunque di utilizzare il termine giapponese bushu in luogo dell’errata traduzione convenzionale «radicale», adducendo motivazioni terminologiche, grafiche, semantiche e operative (pp. 27-28). Nella sezione Come trovare un kanji (pp. 16-20), l’autore spiega in maniera molto chiara e dettagliata le due procedure per trovare un sinogramma all’interno del dizionario. Nella tavola dei 214 bushu (pp. 48-49) sono presenti alcuni segni grafici che permettono una più immediata individuazione del bushu del sinogramma da cercare. Tuttavia, la tavola dei bushu, che sarà presumibilmente consultata dal fruitore tutte le volte che utilizzerà il dizionario, non occupa una posizione di facile individuazione. Considerata l’importanza che questa tavola riveste per la ricerca dei caratteri, la casa editrice avrebbe potuto collocarla in una posizione “strategica”, riportandola per esempio anche nel retro della copertina o in una pagina plastificata inserita a mo’ di segnalibro.
All’interno del dizionario, ogni sinogramma è corredato da una serie di utili informazioni. Oltre alle indicazioni relative al numero dei tratti totali del kanji e a quello dei tratti a esclusione del bushu, sono segnalate le possibili varianti del kanji, come in tutti dizionari dei caratteri in commercio. Inoltre, l’opera riporta attraverso dei codici numerose informazioni sul sinogramma, che non sono per esempio presenti in The New Nelson, come: la codifica Unicode del kanji singolo; le indicazioni sulla natura del carattere (pittogramma, icona, ideogramma, ideo-fonogramma, ecc); l’origine del carattere (viene segnalato se si tratta di un kokuji, cioè di un kanji creato in Giappone); l’appartenenza del kanji al Jōyō kanjihyō (lista dei sinogrammi di uso comune) del 1981 e del 2010; l’appartenenza del kanji al Tōyō kanjihyō(lista dei sinogrammi di uso corrente) del 1946; l’appartenenza alla lista dei kanji scolastici in vigore dal 1958 al 1967 e dal 1977 al 1988, con l’indicazione dell’anno scolastico di apprendimento. Per quanto riguarda le letture del sinogramma, oltre a segnalare in maniera diversa le pronunce kun e quelle on, rispettivamente in hiragana e katakana, sono presenti anche specificazioni sulla tipologia di pronuncia on (goon, kan’on, tōon e kan’yōon). È in italiano, in forma abbreviata, il ricco metalinguaggio relativo alla indicazioni grammaticali e semantiche (pp. 12-13).
L’opera nel suo complesso è completa ed accurata e si presenta come un utile strumento per i discenti italofoni di lingua giapponese. Tuttavia, mi sembra opportuno segnalare alcuni limiti che riguardano piuttosto il formato cartaceo del dizionario. Negli ultimi anni, infatti, gli studenti universitari di lingua giapponese, che rappresenterebbero il principale bacino d’utenza dell’opera, tendono ad utilizzare i dizionari in formato elettronico. Osservando le abitudini degli studenti dei corsi di lingua giapponese dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, dove insegno dal 2014, ho constatato che la quasi totalità degli studenti non utilizza più dizionari in formato cartaceo. All’interno dei dispositivi elettronici generalmente utilizzati dagli studenti è presente un dizionario dei caratteri in lingua giapponese in cui è possibile cercare un kanji tracciandolo sul touch screen. Sebbene siano presenti altre modalità di ricerca (per radicale, per pronuncia, per numero dei tratti totali, ecc.), quella maggiormente utilizzata sembra essere proprio quella del “disegno” sullo schermo. Alcuni studenti utilizzano anche applicazioni per smartphone e tablet che riconoscono il sinogramma tracciato sullo schermo fornendo indicazioni di massima sulla pronuncia. Il diffondersi di questi dispositivi elettronici ha fatto cadere in disuso già da qualche anno i dizionari dei caratteri cartacei in lingua inglese che costituivano uno strumento indispensabile per il discente di lingua giapponese fino agli anni 2000. Si auspica dunque che la Zanichelli renda presto disponibile un formato elettronico in modo tale che sempre più studenti possano utilizzare e apprezzare il prezioso contributo che Simone Guerra ha fornito agli strumenti per l’apprendimento della lingua giapponese in Italia.