di Alessio Mattana
A proposito di: Marino Fuchs, Enrico Filippini editore e scrittore. La letteratura sperimentale e il Gruppo 63, Roma, Carocci editore, 2017, pp. 303, € 29,00
Era proprio l’uomo dei cominciamenti, degli inizi, per usare un’espressione che Petrarca attribuiva a sé stesso, un uomo tanta ceptorum moles, dalla grande mole di cominciamenti, proprio l’opposto dello spirito sistematico, malgrado avesse tradotto Husserl, che è l’ultimo dei grandi sistemi della filosofia, malgrado fosse nato da lì era proprio l’opposto dello spirito sistematico che vuol giungere a una conclusione, per lui era […] impensabile concludere, era un critico dell’idea di conclusione (p. 21)
Questo ritratto è di Massimo Cacciari e il soggetto è Enrico Filippini (1932-1988). Filippini fu molte cose nella sua vita: consulente editoriale per Feltrinelli, scrittore sperimentale, membro del Gruppo 63 sin dall’incontro di Palermo, curatore della pagina culturale per «la Repubblica» dal 1977, sceneggiatore per la televisione e, spessissimo, traduttore (una lista quanto più possibile esaustiva delle traduzioni è stata pubblicata, a cura di Alessandro Bosco, nel n. 8 della nostra rivista). A questo personaggio poliedrico Marino Fuchs, borsista del Fondo nazionale svizzero e ricercatore presso il Centro studi Franco Fortini dell’Università di Siena, dedica una monografia uscita con Carocci per la collana «Lingue e letterature». Il titolo coglie due aspetti capitali della personalità di Filippini, il quale fu convergente tra creazione letteraria e produzione editoriale. Scrittore senza mai essere romanziere a pieno titolo – la sua auspicata grande opera, i cui avantesti hanno come titolo R/Romanzo, non vide mai la luce – fu orgoglioso esploratore delle novità letterarie straniere, in ambito tedesco in particolare ma non solo, per la casa editrice dell’arrembante Giangiacomo Feltrinelli.
Con un profilo simile, non stupisce la centralità delle traduzioni nella vita di Filippini, ben delineata sul numero 8/2015 di «tradurre» da Alessandro Bosco. Svizzero di Locarno, fu allievo di Antonio Banfi e Enzo Paci a Milano. Sotto impulso di quest’ultimo, le prime estese riflessioni filosofiche si manifestarono nella traduzione, redatta non ancora trentenne, di Die Krisis der europäischen Wissenschaften und die transzendentale Phänomenologie di Edmund Husserl, resa per il Saggiatore con il titolo La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, pubblicata nel 1961 e tutt’oggi ristampata. Da quel momento in poi, gli interessi filosofici rimasero centrali non solo nelle riflessioni ma anche, e soprattutto, nella pratica letteraria e editoriale di Filippini. Facendo spesso uso del prisma della filosofia, il volume di Fuchs guida il lettore negli otto anni di Filippini in Feltrinelli, e nella fattispecie nella sua attività come trait d’union tra i nodi dell’avanguardia tedesca del Gruppo 47, la sperimentazione italiana del Gruppo 63 e l’esposizione editoriale che ambo i collettivi ebbero proprio in Feltrinelli grazie all’impegno profuso da Filippini in qualità di traduttore e redattore. Grazie ai suoi sforzi, nel giro di pochi anni il mercato italiano vide arrivare opere importanti come Il giudice e il suo boia e Il sospetto di Friedrich Dürrenmatt (ambedue pubblicati nel 1960), Congetture su Jakob (1961) e Il terzo libro su Achim (1963) di Uwe Johnson, Spirale: romanzo di una notte insonne di Hans Erich Nossack (1962) e Gatto e topo di Günter Grass (1964). Dell’interesse intellettuale suscitato da tali testi in Filippini, e del suo programma culturale volto a rinnovare la letteratura in contrapposizione alle modalità neorealiste, Fuchs, con un netto sbilanciamento verso Grass e Johnson, offre valide interpretazioni di matrice filosofico-artistica. Viene così restituita la figura di un intellettuale poliedrico, per il quale la traduzione degli avanguardisti tedeschi sfociò, in un’ideale continuità di interessi, nella scrittura dei racconti Settembre (alla cui analisi Fuchs dedica l’intero quinto capitolo), In negativo e L’ultimo viaggio, nonché nel saggio Nella coartazione letteraria e nella pièce Giuoco con la scimmia (tutti testi analizzati con attenzione nel capitolo settimo).
Il maggior pregio di questo volume è indubbiamente la ricerca di archivio, approfondita e puntuale. Tra corpo del testo e annotazioni vi è gran copia di carteggi e documenti rinvenuti da Fuchs nell’Archivio Enrico Filippini presso la Biblioteca cantonale di Locarno, all’interno di un fondo che vanta più di millequattrocento lettere dirette a e ricevute da oltre quattrocento corrispondenti italiani e internazionali. Questa certosina attività di documentazione, suffragata dalle appendici finali (tra le quali spiccano l’intervista a Uwe Johnson e l’articolo Che cos’è il Gruppo 47?), è il modo scelto da Fuchs per restituire al lettore l’importanza di Filippini nella vita culturale italiana tra gli anni sessanta e gli anni ottanta. È questa un’operazione che avviene a volte per sottrazione, delineando meno la figura di Filippini in sé che il milieu del periodo o i testi che definirono una particolare congiuntura storica nella quale il nostro si trovò ad operare. Si tratta di una strategia ben ponderata da Fuchs. Tali analisi “parallele” sono spesso valide e di rilievo, salvo le poche volte in cui il volume digredisce in maniera forse troppo smaccata. Ne è esempio la lunga disanima su Capriccio italiano e Purgatorio de l’inferno di Edoardo Sanguineti, la quale occupa gran parte dell’ottavo capitolo.
Si potrebbe allora dire che il sottotitolo (La letteratura sperimentale tra Feltrinelli e il Gruppo 63) è il vero titolo del libro, se non altro nella misura in cui stabilisce le coordinate in cui si mosse un certo Filippini fino al terminus ad quem del 1968-1969, e cioè la data di chiusura del suo rapporto con Feltrinelli e la fine dell’esperienza del Gruppo 63. Il ridotto intorno temporale giustifica dunque l’esclusione di importanti traduzioni afferenti al periodo post-Feltrinelli, ma sarebbe stato certo giusto menzionare, quantomeno nella conclusione dedicata al fertile prosieguo delle attività di Filippini, opere ambiziose quali le rese in italiano dell’intricatissimo Nombres (Numeri, per Einaudi, 1973) di Philippe Sollers, alcuni copioni di Bertolt Brecht per il Teatro Stabile di Genova diretto da Luigi Squarzina e della Penthesilea di Heinrich von Kleist (Einaudi 1989). Ma, a ben vedere, anche negli anni in cui Filippini fu consulente editoriale di Feltrinelli, l’attenzione data da Fuchs all’avanguardia porta a trascurare traduzioni rilevanti quali il trittico di Thomas Mann La morte a Venezia, Tonio Kröger e Tristano, tradotti nel 1965 e uscito in volume unico nella «Universale economica» di Feltrinelli, la Maria Stuarda di Friedrich Schiller (per la resa teatrale del regista Luigi Squarzina del 1965) nonché la cruciale opera di Walter Benjamin Das Kunstwerk im Zeitalter seiner technischen Reproduzierbarkeit (L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, uscita per Einaudi nel 1966). Parimenti, sarebbe stato piacevole vedere sottolineati con maggiore solerzia altri importanti avvenimenti culturali che videro Filippini protagonista.
In conclusione, il volume di Fuchs, essendo una tesi dottorale rimodellata a pubblicazione, avrebbe forse beneficiato di una più lunga lavorazione al fine di espandere alcuni aspetti, limitando al tempo stesso gli occasionali afflati compilativi che affiorano qua e là nel testo. Al netto di queste osservazioni, Enrico Filippini editore e scrittore rimane un volume prezioso che, ricco di carte e di spunti critici, ispira nel lettore curioso un senso marcato della centralità di Filippini nel mondo culturale italiano degli anni sessanta.