Le segnalazioni

di Anna Specchio

A proposito di: Kayoko Nohara, Translating Popular Fiction. Embracing Otherness in Japanese Translations, Oxford e New York, Peter Lang, 2018, pp. 236, € 51,90

Nel suo ultimo lavoro, Kayoko Nohara analizza alcuni testi letterari provenienti dalla popular fiction in lingua inglese e illustra le sfide che i traduttori giapponesi hanno dovuto affrontare. Considerando la grande importanza che l’atto di tradurre ha da sempre rivestito nel contesto giapponese, in una cultura avvezza sin da tempi remoti ad assorbire le altre, Nohara propone una disamina delle traduzioni di testi letterari al fine di comprendere come le culture altre pervadano oggi il paese del Sol Levante. Ne conclude che la prosa tradotta si è evoluta negli anni fino a trasformarsi in una vera e propria tipologia testuale munita di codici propri, che favorisce la conservazione della diversità linguistica e culturale. Il volume abbonda sia di riferimenti teorici, sia di esempi pratici. Come dimostrano le analisi presentate nei capitoli cinque e sei, a dispetto dell’eterogeneità dei testi sorgente, le loro traduzioni in lingua giapponese presentano molti elementi in comune nell’utilizzo di avverbi, di parole scritte in sillabario katakana o di costruzioni grammaticali che spesso ricordano la lingua di partenza. Nell’epoca della global literature anche le traduzioni sembrano essere sempre più orientate verso nuove contaminazioni culturali. Translating Popular Fiction è, nel complesso, un lavoro pregevole, ed è un peccato che si “limiti” a considerare unicamente i testi letterari in lingua inglese: sarebbe interessante scoprire se la medesima analisi condotta anche su popular fiction scritta in altre lingue avrebbe portato alla medesima conclusione – così come sarebbe interessante proporre la stessa analisi sui testi tradotti in italiano dal giapponese e/o da altre lingue.

 

di Giorgio Antonioli

A proposito di: François Ousmane Dupuy, Inter- und Transkulturelle Vermittlung zwischen Afrika und Europa. Die literarische Übersetzung als Schwerpunkt, Berlin, Erich Schmidt Verlag, 2009, pp. 344, € 79,97

Il testo si propone di sensibilizzare il lettore ai problemi inter- e transculturali legati alla ricezione degli autori subsahariani francofoni in Europa. Si segnalano come particolarmente interessanti il capitolo due, che fornisce un’accurata ricostruzione della storia editoriale della letteratura subsahariana francofona in Europa a partire dal suo debutto sulla scena internazionale in occasione della Fiera del libro di Francoforte del 1980, e il capitolo tre, incentrato sulla complessità e sull’ambivalenza dei riferimenti alla cultura africana nei testi presi in esame. Il capitolo quattro entra nel merito della traduzione: nella prima parte vengono proposte e discusse alcune definizioni teoriche (Schleiermacher, von Humboldt, Reiß e Vermeer), mentre la seconda parte propone l’analisi di alcuni esempi concreti tratti dalla letteratura primaria. Nonostante l’autore si riferisca alla traduzione come a un punto fondamentale (Schwerpunkt) già a partire dal titolo, l’unico aspetto che sembra aver parzialmente trascurato è, paradossalmente, proprio la traduzione. Il capitolo ad essa dedicato è decisamente più breve rispetto ai precedenti (appena ventidue pagine contro le noventuno del capitolo due e le centrotredici del capitolo tre) e, considerando il numero di opere letterarie citate complessivamente, gli esempi in esso analizzati sono decisamente pochi. Il testo nell’insieme ha però una solida base teorica, frutto di un accurato lavoro di indagine. L’autore non si è limitato alle fonti bibliografiche, ma ha raccolto anche informazioni di prima mano da scrittori, editori e rappresentanti delle istituzioni.

 

di Gianfranco Petrillo

A proposito di: Terminologia filosofica tra Oriente e Occidente, a cura di Mauro Zonta e Pierpaolo Grezzi, Firenze, Olschki, 2018, pp. 179, € 25,00

Chi scrive questa noticina non ha la minima competenza per valutare questo libro. Se si attenta a segnalarlo qui è perché si tratta di un documento paradigmatico – come d’altronde buona parte dei libri presentati nella collana «Lessico intellettuale europeo» della Olschki in cui compare – del ruolo straordinario che la traduzione ha avuto nell’arricchire reciprocamente mondi culturali e civiltà diverse, facendo riconoscere ai loro appartenenti più avvertiti la comune condizione umana, al di là delle frontiere e nonostante guerre, massacri, intolleranze religiose ed etniche. Siamo talmente abituati, oggi, a sentir parlare di traduzione o in ambito strettamente letterario o in ambito strettamente specialistico, che non ci si rende conto – o per lo meno, spesso non se ne rendono conto gli editori – di quanto sia importante il lessico intellettuale, cioè il linguaggio che viene adoperato in quel settore della produzione editoriale odierna che si usa denominare saggistica, e quindi il modo in cui vengono resi in traduzione i testi stranieri di questo tipo.

 

di Alessio Mattana

A proposito di: Leonardo G. Luccone, Questione di virgole. Punteggiare rapido e accorto, Bari, Editori Laterza, 2018, pp. 252, € 16,00

Ultimo esemplare dell’inesauribile stirpe dei libri celebranti la bellezza della lingua italiana, Questione di virgole si concentra sull’importanza di adoperare una corretta punteggiatura. Sono in particolare virgola e punto e virgola ad essere dichiarati rispettivamente vittima di maltrattamenti seriali (la virgola) e specie in via di estinzione (il punto e virgola). Queste due unità della punteggiatura vengono dunque analizzate con attenzione dall’autore al fine di invitare i lettori a un uso maggiormente consapevole di tutte le risorse interpuntive della lingua italiana.

Con le sue sezioni ricche di esempi di strutture semplici e complesse, le quali vengono tutte ampiamente commentate e, in diversi casi, anche affiancate da esercizi (accessibili su un’apposita pagina del sito dell’editore), il libro è prevalentemente diretto a un pubblico di studenti e giovani scrittori. Nonostante la scelta felice di evitare ogni aridità manualistica, Questione di virgole appare in molti punti come uno sfoggio di nobili caritatevoli intenti. Sin dall’introduzione, l’autore alterna le voci dell’enfant prodige folgorato in tenera età dai grandi classici, del professore pop à la Daniel Pennac che guida il lettore-discente alla rivelazione che la bella scrittura non è appannaggio di pochi accademici polverosi e, non ultima, quella del precettista che, pur con i migliori intenti, rischia di scoraggiare gli approcci alla scrittura più sperimentali. A dispetto del tono, il volume è però un valido strumento introduttivo, specie grazie alla panoplia di citazioni dalle quali emergono l’importanza e la bellezza della punteggiatura.