«Mi considererò un volgare sub-appaltatore»

GADDA E LA LETTERATURA DI LINGUA INGLESE

di Carolina Rossi

Per una serie di motivazioni valutare gli esiti e le circostanze dell’attività traduttiva di Carlo Emilio Gadda richiede di confrontarsi con un campo d’indagine complesso e composito. La prima ha a che vedere con l’orizzonte entro cui si collocano le proposte di traduzione che Gadda riceve: tra gli anni trenta e cinquanta è coinvolto in diverse operazioni promosse da editori, critici e collaboratori editoriali che partecipano al suo progressivo riconoscimento nel circuito letterario e culturale del tempo e che, sulla base di strategie più o meno consapevoli, lo invitano a partecipare a numerose iniziative editoriali. Le traduzioni che Gadda accetta di realizzare interessano le letterature di lingua francese, tedesca, spagnola e inglese: lingue con cui ha un diverso grado di dimestichezza e che, in alcuni casi, non legge in originale, ricorrendo alle traduzioni francesi. La maggior parte di queste proposte rimane irrealizzata per l’insorgere di altri impegni, per circostanze esterne o per il venir meno dell’interesse dello scrittore. Solo due saranno i volumi effettivamente tradotti da Gadda: L’agente segreto di Joseph Conrad (Bompiani, 1953) e La verità sospetta di Juan Ruiz de Alarcón (ERI, 1957). Le collaborazioni ad antologie e i contributi pubblicati su rivista lo impegneranno invece con due traduzioni dal francese (di cui solo la prima è presente in Isella 1993, 1148-1150), due dallo spagnolo (v. Vela 1993; Benuzzi Billeter 2005), una dal tedesco (v. Checola 2014, 193) e una dall’inglese (Isella 1993, 1167-1169). Di queste traduzioni edite (un numero tutto sommato esiguo, considerata la quantità delle proposte ricevute) non si è sempre in grado di accertare la paternità. Ci troviamo così di fronte a un duplice livello di ambiguità: da una parte lo scarto tra quelle traduzioni che, seppur assicurate all’editore in un primo momento, rimangono a uno stadio puramente progettuale e quelle che, invece, vengono pubblicate; dall’altra, la problematica mancanza di documentazione che rende impossibile stabilire, in certi casi, se la traduzione sia da ricondurre all’iniziativa autonoma e personale dell’autore o se questa sia il frutto di una committenza.

«Adesso parliamo un po’ delle traduzioni». Le prime proposte degli anni trenta

L’accesso di Gadda a quel settore dell’industria culturale che, a partire dagli anni venti, si impegna in una sempre maggiore importazione di letteratura inglese e americana rappresenta una fase particolarmente significativa della sua carriera letteraria. Le proposte di traduzione ricevute tra il 1938 e il 1939, oltre a essere prodotte in un preciso spazio sociale e culturale animato da interessi che saranno alla base di importanti trasformazioni del campo letterario novecentesco, consentono i primi contatti dell’autore con quelle case editrici, come Einaudi e Bompiani, che, nei decenni appena successivi, avrebbero assunto posizioni di primo piano nel mercato editoriale. Benché l’interesse e, in alcuni casi, l’adesione di Gadda a questi progetti segnino una tappa importante del suo rapporto con gli editori, nessuna di queste traduzioni giungerà alla pubblicazione. Le due sole traduzioni dall’inglese edite a firma di Carlo Emilio Gadda, il romanzo L’agente segreto di Joseph Conrad (Bompiani, 1953) e due poesie del poeta americano Edwin Arlington Robinson (in Poesia straniera del Novecento, a cura di Attilio Bertolucci, Garzanti, 1958), risalgono agli anni cinquanta.

L’inglese è, tra quelle conosciute, la lingua verso cui Gadda è più refrattario. Vi si accosta nel 1918, in prigionia a Rastatt, come testimoniano gli appunti per le Lezioni di lingua inglese conservati presso il Fondo gaddiano dell’Archivio contemporaneo «Alessandro Bonsanti» del Gabinetto G.P. Vieusseux di Firenze (riprodotti in Gadda 2021, dossier iconografico, 1918, 7-10). I suoi studi proseguono, al rimpatrio, con il cugino Enrico Ronchetti e quindi a Firenze, nel 1938, dove prende prima lezioni con Drusilla Tanzi da un «giovane biondo, organista» (Gadda Conti 1974, 41), poi dal fratello di James Joyce, Stanislaus, trasferitosi da Trieste nel 1940 (Gadda 1983, 134). Benché il suo studio delle lingue rimanga irregolare, Gadda è indubbiamente più a suo agio con lo spagnolo, appreso grazie all’esperienza argentina del 1922-1924 (Vela 1993, 1227), e con il francese, «la lingua ‘materna’ per eccellenza», adottata nei carteggi familiari e perfettamente padroneggiata (Gadda 2021, dossier, 1918: 6). Anche il tedesco, studiato all’università (Silvestri 1994, 45) e perfezionato nei mesi di prigionia grazie alle lezioni dell’amico germanista Bonaventura Tecchi (Checola 2014, 186-188), gli risulta più congeniale. Eppure è sulle traduzioni di lingua inglese che, tra la fine degli anni trenta e l’inizio dei quaranta, insistono le principali proposte degli editori.

Queste proposte si collocano in un orizzonte culturale nel quale editori come Mondadori (impareggiabile per qualità e quantità delle traduzioni) e Bompiani (nuovo entrante che, per distinguere la sua produzione, investe in romanzieri contemporanei come Caldwell e Steinbeck) si vanno imponendo come maggiori centri di promozione e di diffusione della letteratura straniera contemporanea. La nascita di nuove collane specializzate contribuisce ad alimentare l’officina delle traduzioni che «diede vita ad un progetto culturale che non si esaurì né entro gli orizzonti del regime né in quelli della nazione» (Billiani 2007, 152). Una tale ridistribuzione del mercato delle lettere investe naturalmente anche il campo di letture e di interessi di chi, come Gadda, esordisce in quegli anni come scrittore. Dai contatti epistolari del tempo emerge l’immagine di un autore impegnato a confrontarsi con le soluzioni narrative dei suoi contemporanei, anche stranieri, attraverso l’acquisizione o la presa in prestito di romanzi di Lawrence, Huxley, Woolf, Dos Passos. Fra i libri posseduti da Gadda, conservati per la maggior parte alla Biblioteca del Burcardo di Roma, oltre alla presenza di manuali utili per l’apprendimento della lingua inglese, spiccano alcune tra le più importanti antologie e storie letterarie pubblicate in quegli anni come Scrittori angloamericani d’oggi di Carlo Linati (Corticelli, 1932), Storia della letteratura inglese di Mario Praz (Sansoni, 1937) e Americana. Raccolta di narratori dalle origini ai giorni nostri, a cura di Elio Vittorini (Bompiani, 1942).

La vitalità del mercato delle traduzioni fa sì che molti scrittori e intellettuali italiani, attratti dalla possibilità di retribuzione oltre che dal riconoscimento pubblico che un’operazione del genere può conferire, si improvvisino traduttori. Le prime proposte rivolte a Gadda, tuttavia, non interessano la sua attività da letterato, quanto la sua formazione in ingegneria elettrotecnica. Nell’agosto 1938 Luigi Rusca, direttore generale di Mondadori, a fronte della sua intenzione di «mettere testa a partito e guadagnarsi il “pane”», gli sottopone «qualche libro scientifico, tipo quelli degli astronomi o fisici divulgatori» (Gadda 1983, 85) da tradurre. Ma Gadda non è soddisfatto e, nonostante le pressioni esercitate dall’editore (per cui ancora nel 1940 scrive all’amica Lucia Rodocanachi: «Mondadori mi bersaglia di libri inglesi da leggere. In questi giorni me ne ha mandati 4: (sempre atomi, scienza, elettricità, ecc.)» – Gadda 1983, 116), si tira indietro.

In questa fase della sua carriera letteraria è fondamentale rilevare la dimensione relazionale alla base delle modalità di accesso al sistema delle traduzioni: a spingere Gadda verso la traduzione di certi testi non sono tanto il suo interesse o la sua propensione nei confronti dell’autore, quanto le esigenze delle case editrici e dell’industria culturale. Per questo motivo, le collaborazioni con gli editori avviatesi in questo periodo sono sempre mediate da altri: critici e consulenti editoriali come Elio Vittorini che, attraverso la selezione e il posizionamento degli autori (e dei traduttori) nelle collane, attuano delle vere e proprie operazioni di posizionamento nel campo letterario (cfr. Sisto 2019a, 230).

Una «meditata collaborazione». Gadda con Linati, Vittorini e Rodocanachi

L’interessamento di Gadda alla traduzione, così come i suoi tentativi di collaborazione con le testate giornalistiche e le riviste letterarie, è legato alla sua aspirazione a vedersi riconosciuta una postura autoriale pubblica e ad accedere a forme di retribuzione che gli consentano di abbandonare l’ingegneria per dedicarsi finalmente alla scrittura. La traduzione di autori stranieri è una pratica comune a molti intellettuali a lui vicini che, come lo stesso Vittorini, traggono da questa attività un’importante fonte di sostentamento. È presumibilmente per questo motivo che, sempre nell’agosto del 1938, Gadda decide di rivolgersi a Carlo Linati per farsi raccomandare alcuni autori da proporre all’editore Einaudi: «questo, se si riesce, paga un po’ di più» scrive a Rodocanachi (Gadda 1983, 85). Linati era molto riconosciuto in quegli anni «non solo come traduttore in proprio, ma anche come anima del “Convegno” di Enzo Ferrieri, la rivista che per tutti gli anni venti e trenta fa da ponte alla letteratura, al teatro e anche, pionieristicamente, al cinema in Italia» (Bibbò 2018). I due si erano conosciuti nel 1931 tramite l’amico Tecchi (Cerboni Baiardi 1989, 267); sarà Linati, anche grazie all’intervento di Bacchelli, Scarpa, Gadda Conti e dello stesso Tecchi, a favorire la collaborazione di Gadda con «L’Ambrosiano», iniziata nel 1931 e protrattasi per circa un decennio.

Le proposte destinate a Einaudi non avranno seguito, ma l’interesse di Gadda per la traduzione non sembra esaurirsi: qualche mese più tardi, nel gennaio 1939, è impegnato nella lettura di The Way of All Flesh di Samuel Butler in vista di un’eventuale traduzione per Bompiani e, nell’estate di quell’anno, lo stesso Bompiani gli telefona proponendogli di tradurre The Grapes of Wrath di John Steinbeck. Seppur familiare con le strutture di base della lingua, Gadda non padroneggia certo l’inglese: ce lo dimostra il fatto che, per la traduzione di Butler, confessa a Rodocanachi di star leggendo il romanzo nell’edizione francese da lui posseduta, Ainsi va toute chair, tradotta da Valéry Larbaud (Gallimard, 1936). E infatti è proprio all’amica Lucia Rodocanachi che Gadda commissiona, in questi anni, le traduzioni dall’inglese e dal tedesco che gli vengono sottoposte dagli editori.

Gadda l’aveva conosciuta a Firenze nel 1935 tramite Montale: Rodocanachi era un’assidua frequentatrice del caffè delle Giubbe Rosse e, soprattutto, del servizio di prestito della Biblioteca del Vieusseux – di cui Montale era direttore – che vantava un ricco catalogo di volumi in lingua straniera. La loro collaborazione inizia nell’estate del 1938 quando Gadda la invita, sulla scorta delle proposte avanzate da Rusca per Mondadori, a procurargli, con la promessa di «lasciare a lei il maggior utile», una «traduzione quasi definitiva» (Gadda 1983, 85) su cui lui sarebbe intervenuto solo con una sommaria revisione.

Credo che dovrò “rivedere” (per modo di dire) il suo testo, sia per fare onore alla firma, sia per quel po’ di magra scienza o industria che vi fosse. Ma penso che se lei mi prepara già una traduzione spigliata, la mia revisione si ridurrà a una semplice lettura. La divisione del magro bottino si avvantaggerà a suo favore: e sarò onestissimo nella valutazione della reciproca fatica: se la mia fosse nulla o quasi, mi considererò un volgare sub-appaltatore anche nel premio (Gadda 1983, 88). 

Già dal 1933 Rodocanachi lavorava, in qualità di lettrice e traduttrice anonima, per Vittorini che, come altri scrittori negli anni trenta (Montale, Sbarbaro), ricorre alle sue prestazioni in larga misura e in maniera spesso spregiudicata (v. Vittorini 2016). L’accesso alle traduzioni, del resto, richiedeva un grado di riconoscimento pubblico che Rodocanachi, nonostante le sue qualità di traduttrice poliglotta, non ha. Per questo motivo, specifica Gadda, occorre «che del sub-appalto, nel quale non vedo nulla di male di fronte alla legge divina, sia rigorosamente taciuto: anche per ragioni di mondana, editoriale opportunità» (Gadda 1983, 88). Del resto, «il valore della scrittura superava di gran lunga, presso gli editori, quello di una traduzione filologicamente attendibile» (Esposito 2016, 11) e la firma di un autore che, come Gadda, iniziava allora ad essere riconosciuto nel campo di produzione ristretta, serviva, più che a garantire la qualità della traduzione, ad assicurarne il prestigio.

I termini della collaborazione, pur svantaggiosi da un punto di vista economico oltre che ininfluenti sul piano dell’acquisizione di un certo tipo di status letterario da parte di Rodocanachi, vengono accettati di buon grado dalla «gentile Signora». «Ti consolerà sapere forse che continuiamo a lavorare», scrive a Guglielmo Bianchi il 14 settembre 1939, «che lo faccia sempre da “negro” mal pagato o niente pagato, poco conta, quello che conta è questa continuità» (Contorbia 2006, 205-206). Il sodalizio si protrae infatti per tutto l’anno successivo, con il susseguirsi di proposte di traduzione che Gadda sottopone a Rodocanachi:

Linati mi ha suggerito, ma con scarsa persuasione, dello Hardy: The return of the native, oppure le novelle A changed man, di cui dice assai bella la 1.a: The Waiting supper, la cena che aspetta. Ha suggerito di Borrow il cosiddetto capolavoro: Lavengro oppure The Bible in Spain, un po’ vecchiotto e lento, dice, ma piacevole: oppure la lunga novella: The turn of the screw (Il giro di vite).
Poi ci sarebbe dello James, non però L’Americano: e non A portrait of a Lady, tradotto il primo da Linati e in corso di traduzione il 2.° – Qualche autobiografia come Something about me di R. Kipling, già in collezione Einaudi (Gadda 1983, 85-86). 

Rispetto all’«incalzante successione di ordini, prescrizioni, solleciti di Vittorini alla traduttrice segreta» (Ferretti 1992, 5), Gadda, per la personale inesperienza nel campo delle traduzioni e per la conoscenza tutto sommato limitata della letteratura angloamericana, si affida a Rodocanachi anche nella valutazione e nella selezione dei titoli che gli vengono sottoposti, esortandola a esprimersi su eventuali testi da presentare all’editore: «insomma proponga, proponga, proponga», le scrive nell’agosto 1938 (Gadda 1983, 86), sebbene queste ingerenze non incontrino sempre il favore dell’editore. Già nel 1935, all’epoca dei primi contatti con Mondadori, Gadda aveva dovuto riferire a Rodocanachi che Rusca non si era dimostrato disponibile ad affidargli una traduzione tra i libri da lei precedentemente indicati, riservandosi di proporre qualche titolo «in armonia col suo programma»: «desidera cioè che la proposta parta da lui» (Gadda 1983, 48).

Interrotti i rapporti con Mondadori, Gadda si impegna con Bompiani per alcune traduzioni che sottopone puntualmente al giudizio dell’amica e collaboratrice. Per quanto dal carteggio con quest’ultima emerga chiaramente come Gadda, in queste negoziazioni, interloquisse direttamente con Valentino Bompiani, con cui del resto era in ottime relazioni, non si può non prendere in considerazione il fatto che, in questi stessi anni, Elio Vittorini, legato a Gadda da un’amicizia che risaliva agli anni di «Solaria», aveva dato avvio alla sua attività di traduttore, consulente editoriale e curatore di collane per la stessa casa editrice. Bompiani, a differenza di Mondadori, «porta avanti una linea editoriale di ricerca spesso proiettata al di là dell’orizzonte ufficiale», e può «consentire a Vittorini una maggiore autonomia nella realizzazione del suo programma» (Ferretti 1992, 33) orientato al rinnovamento sperimentale delle forme narrative. La «filosofia editoriale» di Vittorini, in quanto espressione di un vero e proprio progetto culturale, si fonda su operazioni ben situate come quella di Americana, per cui il curatore spesso ricorre «agli scrittori o ai letterati di vaglia, più che agli specialisti, per la curatela, per la traduzione o almeno per la revisione delle traduzioni stesse» (Piazzoni 2007, 230-231). Del resto, «legare il nome di uno scrittore a una traduzione significa offrire una garanzia di qualità e creare un pubblico di affezionati che potesse leggere il testo straniero con in mente il modello stilistico della prosa italiana del traduttore» (Billiani 2007, 237).

Molti sono i tentativi di promuovere questi scrittori-traduttori a collaboratori stabili della casa editrice, come nel caso di Montale (v. Billiani 2007, 236). Ripetute sono anche le occasioni in cui Vittorini tenta di immettere Gadda nel mercato delle traduzioni: a partire dalla fine degli anni trenta si affollano, nella corrispondenza tra i due, «interessanti progetti di traduzioni future» dal tedesco e dallo spagnolo (Vela 1993, 1230), per lo più mai realizzati, tranne per l’antologia dei Narratori spagnoli (a cura di Carlo Bo, Bompiani, 1941): la prima occasione in cui Gadda si cimenta pubblicamente nella traduzione. L’intento di Vittorini è chiaramente quello di coinvolgerlo nella rete di consulenti e di collaboratori in espansione di Bompiani negli anni trenta, di cui fanno parte Pratolini, Banfi, Ferrata, Montale, Bo, Cecchi, Pavese, Sbarbaro ma anche di autori già affiliati all’editore come Alvaro, Bontempelli, Tecchi e Savinio. Così facendo, Vittorini promuove l’accesso di Gadda al circuito della grande editoria.

Due traduzioni mancate: Butler e Steinbeck per Bompiani

Il primo progetto di traduzione per Bompiani è quello di The Way of All Flesh di Samuel Butler. Gadda ne scrive a Rodocanachi nel febbraio 1939, dicendosene entusiasta: «è semplicemente stupendo, d’un acredine (nel senso di acutezza) e d’un vigore meraviglioso, sia come narratore che come moralista»; «l’editore», continua nella lettera successiva, «vuole proprio la “mia” prosa e allora dovrò scriverlo io, aiutandomi con la traduzione francese» (Gadda 1983, 97-98). Tuttavia, appena due mesi dopo il progetto è naufragato: Linati informa Gadda di come la traduzione di Butler sia, in realtà, in preparazione per Einaudi, che pubblicherà il romanzo quello stesso anno con il titolo Così muore la carne a cura di Enzo Giachino. Gadda scrive per la prima volta a Giulio Einaudi nel luglio 1939:

Illustre Signore, mi duole rispondere con un mese di ritardo alla sua cortesissima lettera del 29 maggio […]. Nulla mi era dovuto per la mia spontanea rinuncia a tradurre il Butler, rinuncia che era dovuta a un riguardo verso Valentino Bompiani e verso di lei: perché ben conosco in quali condizioni d’economia lavorino gli editori italiani (Gadda 2010, 57). 

Il malinteso su questa traduzione diviene quindi l’occasione per l’avvio dei rapporti tra Gadda e l’editore che, qualche anno più tardi, nel 1942, dopo una serie di sporadici contatti per l’invio di volumi appartenenti al catalogo einaudiano che interessavano Gadda, tornerà a scrivere all’autore proponendogli una traduzione di Walden di Henry David Thoreau:

La mia casa editrice sarebbe lusingata di annoverare tra i suoi saggi un volume curato da Voi, e da tempo vado ricercando qualcosa che vi possa interessare. Che cosa ne direste di una versione del Walden di Thoreau, il diario della vita naturista del bizzarro pensatore puritano che sbalordì la Boston di un secolo fa? È un libro di grande interesse stilistico e umanistico. Credo che la vostra penna potrebbe fare qualcosa di squisito (Gadda 2010, 59).

Gadda, «dati i troppi impegni di lavoro» (Gadda 2010, 59), declina l’incarico, ma solo qualche mese più tardi riceverà un nuovo invito alla collaborazione: «Vedo che Vi interessate alla mia collana dei Narratori contemporanei dove uscirono i volumi di Stuparich, Benedetti, Pavese, ecc.», gli scrive Giulio Einaudi il 5 giugno. «Mi lusingherebbe molto includere un Vostro libro in questa raccolta che dovrà rappresentare quanto di meglio va tentando la giovane prosa narrativa italiana. […] Tenete presente che potrei anche accettare di ristampare qualcuna delle Vostre cose già uscite presso Case meno note» (Gadda 2010, 62-63). Nello stesso anno, l’eventualità di una ristampa del Castello di Udine, apparso nelle «Edizioni di Solaria» nel 1934 con tiratura di 170 esemplari, viene presa in considerazione da Bompiani, anche se l’iniziativa non ha poi seguito per le trattative avviate contemporaneamente da Bonsanti per una ristampa di 150 esemplari di lusso nella «Collezione di Letteratura», con disegni originali di De Pisis. L’interesse dei due editori trascende quindi ben presto l’ambito delle traduzioni, rivolgendosi, a partire dai primi anni quaranta, alla possibilità di ottenere una qualche forma di esclusività per la pubblicazione delle opere gaddiane edite, fino ad allora, in tirature assai limitate da case editrici appartenenti a un’editoria più “artigianale”, impossibilitate ad una programmazione produttiva, promozionale e distributiva come poteva essere quella di Bompiani e Einaudi già alla fine degli anni trenta.

Vittorini, prima di diventare consulente Einaudi nel 1945, si occupa di mediare l’ingresso di Gadda in Bompiani. A differenza di Linati, le cui proposte non erano basate su interessi letterari specifici ma tendevano piuttosto a orientare l’attività di Gadda in un mercato, come quello delle traduzioni, con cui l’autore non aveva alcuna familiarità, Vittorini in Bompiani persegue una precisa logica impostata sul rinnovamento delle forme narrative: la sua attività di traduttore diventa «intervento culturale, dapprima tramite l’uscita contemporanea di traduzioni, recensioni e articoli mirati alla promozione dei nuovi autori americani, fino a trasformarsi, a partire dal 1939, in una organica azione editoriale grazie alle attività di traduttore-consulente-direttore di collane» (Cogo 2012, 175). In Bompiani Vittorini segue l’intero iter del libro: dall’ideazione e progettazione alla committenza, dalla scelta dei titoli da pubblicare alla corrispondenza con i collaboratori, disponendo di ampi spazi di sperimentazione. Nell’ambito di questa sua strategia editoriale, l’enfasi non è più posta sull’autore singolo, bensì «sull’idea di romanzo e di scrittura in prosa che emerge dall’interazione funzionale dei diversi autori all’interno di una singola collana o, a un livello superiore, delle diverse morfologie romanzesche all’interno dello stesso catalogo» (Sullam 2012, 268): il catalogo è allestito quindi secondo un criterio «non antologico-tradizionale, ma editorial-culturale» (Ferretti 1992, 52).

John Steinbeck, che Bompiani propone a Gadda di tradurre nell’agosto 1939, rientra in quel novero di autori, con Hemingway, Caldwell e Cain, che giocano un ruolo decisivo nella politica culturale della casa editrice. È proprio questo genere di narrazione realista, tornato al centro dell’interesse dei critici e degli scrittori, che vede la presenza straniera e, in particolar modo, quella della letteratura angloamericana, farsi più evidente (cfr. Rundle 2019, 46). Lo stesso Bompiani, nelle sue memorie private, riconosce come «quella che è chiamata la scoperta della letteratura americana da parte della cultura italiana» sia da ricondursi alle traduzioni di questi autori:

</CM>Libri di scrittori americani erano già usciti, s’intende, a cominciare da Dos Passos e Dreiser; ma la diffusa, rapida, incisiva cittadinanza di quella letteratura nel nostro paese, non soltanto letterariamente inteso, comincia e si condensa con la pubblicazione di Uomini e topi di John Steinbeck e di Piccolo campo di Eskine Caldwell. (Bompiani 1973, 143)</CM>

Vittorini, consapevole dei forti motivi di innovazione strutturale e tematica della prosa di Steinbeck, ne fa menzione a Bompiani già nel 1938, quando ancora lavora per Rusca in Mondadori, offrendosi di tradurre il primo romanzo dello scrittore, Tortilla Flat (Vittorini 1985, 86). Quando Vittorini gli scrive, Bompiani aveva da pochi giorni pubblicato la traduzione di Of Mice and Men, curata da Cesare Pavese (Uomini e topi, 1938). Prima della proposta per The Grapes of Wrath (Furore) a Gadda, la serie delle opere di Steinbeck – pubblicate nella collana «Letteraria» che costituiva, al tempo, «l’ossatura commerciale della casa editrice» (Piazzoni 2007, 146) – aveva accolto le traduzioni di altri rinomati scrittori: dopo Pavese, Vittorini aveva curato la traduzione di Tortilla Flat (Pian della Tortilla, 1939) e aveva quindi coinvolto Montale per la traduzione di In Dubious Battle (La battaglia, 1940). È evidente come Vittorini si avvalga dei nomi degli illustri amici per conferire prestigio a questa serie di edizioni, in linea con l’idea per cui il pubblico avrebbe dovuto ricercare e apprezzare non solo la personalità dell’autore tradotto, ma anche quella del traduttore, preferendo a traduzioni più affidabili, traduzioni stilisticamente marcate e per questo riconoscibili.

La rinuncia alla traduzione da parte di Gadda, in questo caso, dipende dall’entità del compenso offerto da Valentino Bompiani, giudicato troppo esiguo, ma certo influisce anche la situazione politica italiana che non lasciava ben sperare sulle condizioni di pubblicazione di un racconto fortemente politico come The Grapes of Wrath. Gadda teme quindi che il progetto non possa essere portato a termine e comunica a Rodocanachi la sospensione dei lavori. Bompiani decide però di non interrompere la popolare serie delle opere di Steinbeck; così, a pochi mesi dall’uscita di La battaglia, Furore viene pubblicato, in una versione ridotta (non sappiamo se per esigenze editoriali o per questioni legate alla censura politica), a cura di un altro traduttore, Carlo Coardi. Coardi non è certo uno scrittore affermato come potevano esserlo Pavese, Vittorini e Montale; già collaboratore di Bompiani, rimane attivo fino al 1940 come autore di numerose traduzioni dall’inglese nel campo della saggistica e della narrativa. Nonostante la sua presenza pervasiva nel catalogo della casa editrice, non è stato possibile reperire alcuna informazione sul suo conto, per cui il sospetto è quello che si tratti in realtà di «una firma di comodo» (Petrillo 2019): una pratica comune al tempo per evitare di rendere noto che l’edizione fosse il frutto di un lavoro a più mani e conferire maggiore dignità alla traduzione.

La collaborazione tra Gadda e Vittorini nel settore delle traduzioni non si esaurisce negli anni trenta: in seguito, l’accesso degli scrittori amici di Vittorini al mercato editoriale sarà anzi molto meno limitato. Quando, nel 1947, entrati in crisi i rapporti con Einaudi, Vittorini si riavvicina alla casa editrice Mondadori, con la quale collabora fornendo consulenze e pareri di lettura, sarà lui stesso

ad affidare la selezione del materiale da pubblicare […] a Vittorio Sereni (che nel dopoguerra boccia Gheorghiu, Lucas e due volte Merle), a Ottiero Ottieri (che promuove la Laski ma non Lane, Osborne e Peillard), a Corrado Alvaro, a Carlo Emilio Gadda (che sconsiglia sia Fletcher che Greiling), e nello stesso momento suggerimenti editoriali giungono pure da Papini e Ungaretti (Turi 2011, 121). 

Alcuni autori, tra cui Gadda, non si limiteranno a consulenze occasionali ma si occuperanno direttamente delle traduzioni, le cosiddette traduzioni “d’autore”.

La traduzione di The Secret Agent

L’unica traduzione di un romanzo dall’inglese firmata da Gadda è quella di The Secret Agent di Joseph Conrad, edita nel 1953 da Bompiani col titolo L’agente segreto. Polacco naturalizzato britannico, Conrad era considerato un importante precursore della letteratura modernista, sebbene la sua prosa venisse spesso ricondotta ad atmosfere esotiche e rocambolesche legate a scrittori di successo come London e Kipling. Pubblicato a puntate tra il 1906 e il 1907 su «Ridgway Militant Weekly», The Secret Agent è invece un racconto che prende spunto da un attentato dinamitardo all’osservatorio di Greenwich, avvenuto a Londra nel 1894, e predilige, oltre a un’ambientazione metropolitana, un carattere più marcatamente realistico della narrazione. Nella redazione «Conrad si servì, secondo il suo usuale metodo compositivo, di tutta una serie di fonti che vanno dalle cronache dei quotidiani d’informazione alla stampa anarchica, ai libri di personaggi che avevano avuto a che fare con i movimenti rivoluzionari dell’epoca» (Mursia 2008, 7). L’aspirazione a una rappresentazione realistica dei fatti narrati che attinge volentieri a casi di cronaca realmente avvenuti è sicuramente un aspetto che avvicina Conrad a Gadda; quest’ultimo, da sempre appassionato di casi giudiziari (basti pensare alla Passeggiata autunnale del 1918 o a Novella 2a, composta nel 1928 a margine di un fatto di cronaca), dal 1945 aveva iniziato a lavorare al suo romanzo Quer pasticciaccio brutto de via Merulana, ispirato da un crimine che aveva avuto una discreta risonanza mediatica al tempo. Come il Pasticciaccio, anche The Secret Agent conserva i tratti del romanzo poliziesco, oltre a una certa ironia nel tratteggiare il contesto sociale entro cui si sviluppa l’azione.

Il romanzo era apparso per la prima volta in volume nel 1907; nel 1921 Conrad ne curò un adattamento teatrale in quattro atti, che fu messo in scena a Londra nel novembre 1922, ma già a partire dagli anni dieci The Secret Agent era stato tradotto in Francia. In Italia, la prima traduzione, di Lula Jahn, fu edita dalla Alpes di Milano nel 1928, a quattro anni dalla morte dell’autore; lo stesso anno Sonzogno pubblicò una seconda traduzione del romanzo, opera di Gastone Rossi. Prima che le sue opere venissero interdette alla pubblicazione a seguito della censura imposta dal regime, Conrad conobbe un discreto successo in Italia, accompagnato da diverse pubblicazioni (cfr. Billiani 2007, 311-312, per un catalogo completo delle opere di Conrad pubblicate negli anni venti). Fu Emilio Cecchi a dedicargli per primo un intervento sulle pagine del «Convegno», nel 1924; nel 1935 Mario Praz in Storia della letteratura inglese, sulla scorta dell’interpretazione suggerita da Cecchi, riconobbe in Conrad uno dei maggiori esponenti del romanzo inglese: «Se il Conrad si inserisce nella tradizione dei libri d’avventure per gli aspetti più esterni e vistosi della sua arte, se ne distingue per il carattere slavo della sua tormentosa indagine interiore e per la tecnica del racconto», scrive Praz, insistendo sulla sua vicinanza a autori come Dostoevskij, James e Proust (Praz 1937, 360-363).

Gadda possedeva la Storia della letteratura inglese di Praz ed è possibile che, ben prima che gli fosse offerta la possibilità di una traduzione per Bompiani, avesse di Conrad una conoscenza non superficiale. Ancora nel 1926 un altro scrittore a lui molto vicino, non solo per affinità intellettuale ma anche per legame di parentela, il cugino Piero Gadda, complimentandosi con Alberto Carocci per il primo numero di «Solaria», gli suggeriva di fare «ogni tanto, un numero unico (o tutto dedicato a un autore, Conrad? Proust? o a una questione» (Manacorda 1979, 7), attestando il particolare rilievo dello scrittore anglo-polacco per il dibattito pubblico e intellettuale del tempo.

Nell’immediato dopoguerra la traduzione di Jahn viene ristampata da Vallecchi e, nel 1949, Bompiani acquisisce i diritti per la pubblicazione dell’opera completa di Conrad:

La casa editrice, negli anni cinquanta, imposta […] una sorta di sistematizzazione di una parte della propria produzione libraria nel settore della letteratura con la confezione delle «Opere complete», in cui confluiscono, pubblicate in edizioni di pregio, quelle di Alvaro, Moravia, Brancati, Frateili, Camus. La collana, in realtà, ha preso il via […] nel 1949, quando è pubblicato il primo di una serie dedicata a uno scrittore appena acquisito dalla casa editrice milanese, Joseph Conrad (Piazzoni 2007, 373). 

L’iniziativa viene affidata alle cure del poeta e critico letterario fiorentino Piero Bigongiari e sarà composta da 24 volumi pubblicati tra il 1949 e il 1966. Il gruppo dei collaboratori, scrive Mario Curreli, «era in gran parte costruito da intellettuali fiorentini, o legati agli ambienti della “Voce” (come Piero Jahier) o rifugiati in una Firenze sconvolta dagli eventi bellici, nella quale Valentino Bompiani aveva temporaneamente trasferito la casa editrice» (Curreli 1995, CII).

Gadda, che si sarebbe trasferito definitivamente a Roma nell’ottobre del 1950, assunto alla Rai come responsabile delle rubriche d’informazione culturale del terzo programma, era in debito con l’editore per «3000 lire che, già versate da Bompiani a titolo di anticipo per le traduzioni (mai pubblicate) degli Appelmänner di Joachim von Arnim e dei Sogni di Quevedo, erano ormai da considerare come un à-valoir» (Italia, Pinotti 2011, 392). Guadagnatosi una sempre maggiore visibilità, in questi anni è in trattativa per la pubblicazione delle sue opere con due editori in particolare: Mondadori, interessato alla pubblicazione di Eros e Priapo, e Bompiani, con il quale nel settembre del 1945 firma un contratto per la pubblicazione di un volume di racconti intitolato L’incendio di via Keplero. La sola presenza gaddiana nel catalogo Bompiani al tempo si limitava alle traduzioni già apparse nei Narratori spagnoli curati da Carlo Bo (1941), per cui l’editore era verosimilmente interessato ad affiliare il nome di Gadda all’immagine della casa editrice. Svanita la possibilità di pubblicare il volume di racconti, è probabile che le pressioni esercitate da Bompiani inducano Gadda ad accettare la proposta di tradurre il romanzo. Bisogna anche considerare che, in questi anni a ridosso del trasferimento romano, Gadda si trova ad affrontare ristrettezze economiche tali da costringerlo ad appellarsi agli amici per cercare nuove collaborazioni retribuite: «ho urgenza e necessità assoluta di un lavoro giornalistico», scrive a Giovan Battista Angioletti nel 1948 (Gadda 2004, 56); quindi a Contini, nel 1949: «Non ho più nulla, tra poco: non vedo come andare avanti» (Contini, Gadda 2009, 154); e non è difficile credere che anche il «carissimo amico» (Gadda 1999, 7) Bigongiari, responsabile delle «Opere complete» di Conrad per Bompiani, si adoperi a tal fine.

Non si conservano particolari fonti d’archivio che documentino la mediazione tra Gadda e la casa editrice per quanto riguarda l’allestimento della serie delle «Opere complete», ma le condizioni contrattuali sembrano abbastanza favorevoli per lo scrittore. Nell’Archivio storico Bompiani presso la Fondazione Corriere della sera a Milano è conservata una lettera del 2 febbraio 1950 indirizzata alla casa editrice in cui Gadda si assume l’incarico di tradurre dall’inglese il romanzo di Conrad per 12.000 lire, con una maggiorazione di 200 lire a pagina. Il contratto prevede la stampa di 5000 esemplari e la consegna delle bozze entro il 30 aprile 1950.

Stando a un appunto di Gian Carlo Roscioni sul foglio di risguardo anteriore dell’edizione del romanzo conservata presso il Fondo gaddiano della Biblioteca Trivulziana di Milano, quella di The Secret Agent non sarebbe una traduzione d’autore ma una traduzione «soltanto riveduta» da Gadda (Bertone 2000). La nota di Roscioni è confermata da una copia della traduzione della prefazione di Conrad al romanzo, conservata presso l’Archivio Bompiani. Il dattiloscritto in questione presenta infatti interventi manoscritti di Gadda, apposti probabilmente in fase di revisione, con chiaro intento migliorativo. Il tenore delle correzioni è significativo: Gadda interviene fittamente con minime variazioni interpuntive o aggiunte, attuando alcune sostituzioni lessicali evidentemente basate sul suo gusto personale del tipo «semplice» / «solo», «caratteristiche» / «qualità», «indietro» / «addietro», ma anche, in certi casi, operando correzioni più consistenti come quando interviene modificando «richiamavano l’attenzione» con «eccitavano l’attenzione» o quando sostituisce, in maniera decisamente poco ortodossa, nella frase «Il Ministro era molto irritato e il funzionario di polizia molto apologetico» l’ultimo termine, «apologetico», con l’espressione: «il funzionario di polizia gocciolava di giustificazioni e di scuse». Queste correzioni, in linea con i movimenti di espansione e di complicazione identificati da Vela nelle traduzioni d’autore gaddiane (Vela 1993, 1229), oltre a essere rivelatrici di una concezione autoriale del testo tradotto come prodotto autonomo e originale, confermano, sul piano della logica editoriale, l’interesse di Bompiani per una traduzione stilisticamente connotata.

A fronte della nota di Roscioni è stata formulata l’ipotesi per cui si sarebbe potuto trattare, anche in questo caso, di «una delle numerose traduzioni di classici stranieri prodotte ma non firmate da Lucia Rodocanachi» (Bertone 2000). L’ipotesi è avallata anche dalla curatrice del carteggio tra Gadda e Bigongiari che, in calce a una lettera di Gadda del 1951 in cui si fa riferimento a una non meglio specificata «dattilografa fiorentina» a cui l’autore avrebbe affidato i manoscritti della traduzione di The Secret Agent, riconosce in questa collaboratrice la «signora amica Lucia Morpurgo, moglie del pittore Rodocanachi» (Gadda 1999, 28). Questa possibilità va smentita in virtù di almeno due ragioni. La prima ha a che vedere con una serie di incongruenze rilevabili dal confronto tra i due carteggi: oltre alla lontananza geografica che ormai intercorreva tra i due, i contatti epistolari di Gadda con Rodocanachi sono particolarmente sporadici in questi anni. Quando, il 5 febbraio 1951, Gadda scrive a Bigongiari che la dattilografa ha terminato di correggere la terza parte del volume, l’ultima lettera alla «gentile Signora» risale a due anni prima, il 20 giugno 1949, seguita solo il 2 febbraio 1951 da una lettera di scuse in cui Gadda giustifica il proprio silenzio e aggiorna l’amica sul trasferimento romano (avvenuto l’anno precedente). Ancora, quando nel maggio Gadda scrive a Bigongiari di aver avuto notizia dalla dattilografa dell’invio del finale del romanzo, il carteggio con Rodocanachi non fornisce alcun riferimento.

La seconda ragione ha invece a che vedere con la qualità della traduzione, che Curreli definisce non solo «ben lungi dal mostrare le caratteristiche invenzioni linguistiche tipiche del gran lombardo o dall’offrire soluzioni stilistiche originali», ma una traduzione che «sorprende per la dimostrazione che fornisce della scarsa conoscenza dell’inglese da parte del traduttore», segnata da «imperfezioni di natura tecnica e concettuale» (Curreli 1995, CVII). Considerato il grado di competenza di Rodocanachi, è improbabile che potesse incorrere in errori tanto grossolani come quelli segnalati da Curreli (per cui, ad esempio, «volatile and revolutionary» diventa «volatile e rivoluzionario», e non «volubile»; «ingenuity», invece, viene reso per assonanza con «ingenuità», e non con il suo vero significato di «ingegnosità, abilità»). Bisogna anche tenere conto del fatto che, tra il 1943 e il 1948, Rodocanachi firma le prime traduzioni a lei pubblicamente attribuite per gli editori Bompiani e Longanesi. È quindi possibile che in questo periodo la traduttrice, vedendo finalmente riconosciuto il proprio nome, non avesse interesse a continuare a lavorare come négresse inconnue alle dipendenze degli amici scrittori.

D’altra parte, il carteggio di Gadda con Bigongiari offre prove sufficienti a farci credere che, contrariamente a quanto è stato finora presunto sulla scorta della nota di Roscioni, sia stato Gadda a impegnarsi in prima persona in questa traduzione. Il primo riferimento alla questione nel carteggio risale al 28 gennaio 1951: «sta faticosamente maturando la traduzione dell’Agente Secreto di Conrad», scrive Gadda all’amico (Gadda 1999, 26); quindi, il 12 febbraio: «ti consegnerò la parte già fatta […] (nel mentre vorrei rileggerla, per ovviare a eventuali mende). Sto occupandomi per finire e concludere» (Gadda 1999, 29). Nel maggio dello stesso anno la traduzione è terminata: «ti premurerei a inviare a Bompiani il testo – scrive Gadda – e a farmi avere il premio pattuito, di cui ho estremo bisogno» (Gadda 1999, 33). La traduzione sarà data alle stampe solo nel marzo del 1953, ma già nel 1951 Gadda riceve dall’editore il compenso stabilito. Da una lettera del 27 gennaio del 1953 apprendiamo che in quello stesso mese erano arrivate in casa editrice le bozze della traduzione del romanzo corrette da Gadda, comprendenti la «traduzione della “Nota d’autore” di Conrad» (Gadda 1999, 35), ovvero la prefazione di cui si conserva una copia nell’Archivio Bompiani.

Questa traduzione, come le precedenti (anche se mai realizzate), non andranno intese tanto come  «produzioni linguistiche (testi)», ma come «produzioni sociali (libri)» (Sisto 2019b, 71) collocate in un preciso spazio letterario, dunque non solo come testi la cui qualità dipende dalle competenze e dall’autorità del traduttore, ma anche come operazioni svolte da editori, consulenti e critici che risultano tanto più rilevanti quanto più “consacrato” è chi le compie. Il risultato di queste operazioni condotte da mediatori e editori (come Bompiani e Vittorini) «la cui autorevolezza contribuisce in misura determinante a costituire il valore simbolico del prodotto finale (e quindi a garantirne la diffusione e la durata)» (Sisto 2019b, 72), ha a che vedere con la progressiva presa di posizione di Gadda nel campo letterario: una presa di posizione tale da consentirgli di accedere al circuito di produzione di massa dove la sua opera, a partire dagli anni cinquanta, verrà definitivamente consacrata. Sulla base di queste considerazioni, ho rivolto la mia attenzione alle condizioni sociali che hanno permesso a Gadda di accedere a questo settore del mercato editoriale e al tipo di riconoscimento che ne è derivato. Valutando retrospettivamente i primi tentativi dell’autore di ottenere un incarico retribuito nel mondo delle traduzioni alla fine degli anni trenta, ogni proposta di traduzione (prima ancora della sua effettiva realizzazione) che sia stata mossa da un interesse specifico da parte dell’editore ha rappresentato per Gadda – che accedeva al mercato delle traduzioni per fattori contingenti, come la vicinanza ai mediatori e l’esigenza di sostentamento economico – un’occasione per accrescere il suo grado di riconoscimento nel campo letterario del tempo, mettendo a frutto il capitale relazionale e simbolico derivatogli dalle prime raccolte pubblicate negli anni trenta per le Edizioni di Solaria e dalla frequentazione delle avanguardie fiorentine.

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