Una voce femminista dalla Romania del passato

di Luisa Valmarin

autrice di Sidonia Drăgușanu, La signora dagli occhiali neri, Roma, Elliot, 2020 (da Doamna cu ochelari negri, Nuvele, Timișoara, Hyperliteratura, 2017; I ediz.: București, Editurs pentru Literatură, 1974)

Quando mi è stato proposto il volume di novelle di Sidonia Drăgușanu, a convincermi non è stato solo il loro intrinseco valore letterario, ma anche il fatto che l’autrice è stata parte di un piccolo, ma vivace manipolo di scrittrici femministe capaci di far sentire la loro voce sonora e agguerrita in un ambiente non propriamente emancipato come la Romania degli anni quaranta prima e del periodo postbellico poi. La prima sfida che ho dovuto affrontare è stata quella di mettere in risalto con la traduzione l’attualità di queste pagine: di qui, l’esigenza di aggiornarne stile e lingua, talora inevitabilmente datati, attraverso risonanze odierne e di privilegiare un lessico attuale rispetto a termini ed espressioni oggi ormai desueti nella stessa lingua di partenza, talora superando la difficoltà di stabilirne anche in rumeno l’esatto valore. Mi limito a questi casi: il termine sindrofie, di cui oggi si usa quasi esclusivamente il sinonimo petrecere, in un italiano equivalente sarebbe dovuto diventare un non usuale «convito», «agape», ma ho privilegiato i sinonimi «ricevimento», «festa», che oggi usiamo correntemente. Ho dovuto “aggiornare” anche dei francesismi, in voga nel periodo interbellico e oggi non più utilizzati. Cito solo cazanier, nemmeno introdotto nei dizionari di cui disponevo e di cui solo con l’aiuto del Larousse ho capito il significato: «sedentario», «casalingo»; mariaj ormai sinonimo raro di căsătorie, dovrebbe avere come equivalente «maritaggio», ma è stato naturalmente reso con «matrimonio».

A questa va aggiunta la difficoltà di trasferire alcuni elementi specifici della morfologia da una lingua all’altra. Mi limito a un unico esempio illustrativo: riguarda i pronomi personali e più esattamente quelli di cortesia con cui ci si rivolge a un interlocutore. In italiano disponiamo del familiare «tu» e del rispettoso «lei» («voi» nei dialetti centro meridionali). Il rumeno accanto a tu e a dumneavoastră, equivalente a «lei» (letteralmente «la signoria vostra», non dissimile dal «vossia» siciliano), dispone di una forma intermedia, dumneata (parafrasando la forma precedente «la signoria tua»), assolutamente intraducibile perché inesistente in italiano: è la forma di cortesia che – fino a non molti anni fa – si usava in relazioni che, pur amichevoli, non consentivano comunque l’uso, ritenuto intimo, del tu. Ad esempio nel rapporto professore-studente, anziano-giovane il pronome dumneata usato dal primo elemento rispetto al secondo suggerisce una distanza interpersonale minore di quella evidenziata da dumneavoastră, mentre al contrario tra figli e genitori dumneata invece del semplice tu è indice del rispetto dei primi nei confronti dei secondi. In italiano questa sottigliezza nel precisare le relazioni interpersonali si perde inevitabilmente, costringendo a scegliere fra un «tu» familiare e un più formale «lei» a seconda del contesto in cui tale scelta si inserisce. Per altro, è da mettere in rilievo come l’autrice utilizzi argutamente l’uso di questo pronome anche per delineare il carattere di un personaggio. È il caso della novella Marea pasiune, «Una grande passione», dove nel contrasto tra suocera e genero, la prima apostrofa il secondo con un dumneata che intende essere un insulto: îți închipui că ești la dumneata acasă?… Doamna Manolescu făcea parte din persoanele care la furie folosesc “dumneata” ca o invectivă che in italiano diventa «Lei si immagina di essere a casa sua?… La signora Manolescu faceva parte delle persone che, se si infuriano, usano il pronome “lei” come un’invettiva». Nella traduzione, per marcare comunque la furiosa distanza interpersonale, non si può che ricorrere al «lei», ma così si perde l’ironia della notazione caratteriale e il colore pittoresco di un uso prossimo all’ingiuria.

Molti sarebbero ancora gli elementi – morfologici, lessicali e fraseologici – che mettono in difficoltà il traduttore impossibilitato a salvare la ricchezza espressiva e lo spirito della lingua romena, di cui il lettore italiano molto spesso è ignaro.