Adottare una nomenclatura

di Isabella Vaj

adottar una nomenclaturaUn articolo di Marco Filoni sulla Vita agra del traduttore italiano, uscito su «Il venerdì» di «La Repubblica» il 26 luglio 2013, termina con una citazione che Gioia Guerzoni trae da Gesualdo Bufalino: «Il traduttore è con evidenza l’unico autentico lettore di un testo […] il critico è solamente il corteggiatore volante, l’autore il padre e marito, mentre il traduttore è l’amante» (Filoni 2013).

Che l’autore sia il padre (o la madre) del testo non c’è dubbio – non mi è chiaro invece il suo ruolo come marito (o come moglie). Che il critico sia un corteggiatore volante è opinabile. Che il traduttore sia definito l’amante del testo mi irrita. Nell’accezione comune il vocabolo “amante”, peraltro obsoleto, allude inevitabilmente a una moglie (o un marito) tradita e non vedo perché coinvolgere il traduttore in un tradimento. Sono ormai secoli che, a partire dalle belle infedeli, la traduzione evoca metafore sessuali che nulla hanno a che vedere con l’investimento erotico indispensabile per affrontare una traduzione. Non un’amante, mi sento, ma una madre adottiva, pronta ad accogliere emozioni, immagini e parole che la creatura altro da me mi regalerà. Tornerò su questa metafora.

L’estate scorsa ho seguito un corso sulla legatura dei manoscritti mamelucchi. Le docenti erano Kristine Rose del Fitzwilliam Museum (Cambridge) e Alison Ohta della Royal Asiatic Society, coadiuvate da Gaia Petrella, restauratrice di beni librari. Uno degli aspetti più affascinanti del corso era la composizione degli allievi: conservatori e restauratori di beni librari di musei con importanti fondi di manoscritti islamici e storici dell’arte come Sheila S. Blair e Jonathan M. Bloom. Compito di ciascun allievo era realizzare la legatura in pelle di un libro secondo la tecnica impiegata dai legatori mamelucchi (seconda metà XIII-inizio XVI sec.).

Il corso era tenuto in inglese. Ancora una volta ho dovuto constatare l’inadeguatezza del mio italiano: capivo esattamente di cosa stessero parlando le docenti, ma non avrei avuto il lessico preciso con cui riferire le mie nuove acquisizioni.

Nell’apprendere qualcosa di nuovo, come ho imparato sin dal liceo, ciascuno di noi amplia il proprio vocabolario di nuovi termini e allo stesso tempo arricchisce di valori nuovi il patrimonio lessicale di cui già dispone (Schick 1960, 305). Da qui la mia caparbietà nel voler apprendere la terminologia italiana della legatura dei manoscritti islamici. Questa piccola ricerca ha comportato qualche mese di letture. Il traduttore italiano può permettersi una simile distrazione dal proprio lavoro? Internet può accelerare il processo, ma se non si conosce l’argomento si corre il rischio di non individuare eventuali errori e imprecisioni.

Le case editrici italiane non retribuiscono i loro traduttori con una quantità d’oro pari al peso del libro tradotto, come invece si tramanda facesse nel IX sec. il califfo al-Ma’mun con il suo traduttore dal greco Hunayn Ibn Is’haq (Cassarino 1998, 82), quando nella Casa della Sapienza di Baghdad – il circolo letterario più importante dell’impero abbaside – i traduttori, oltre a essere pagati a peso d’oro, avevano un ruolo sociale e politico di grande rilievo. La cultura islamica stessa si è forgiata sulle traduzioni, soprattutto di testi greci e persiani, al punto di essere definita «cultura della traduzione» (Touati 2006, 143, 271).

Si ripresenta l’annosa questione della terminologia tecnica. A questo proposito la codicologa Marilena Maniaci osserva che la nozione di «lessico tecnico del manoscritto» comprende «una grande quantità di termini che, in sé, non hanno nulla di tecnico, avendo mantenuto la medesima accezione che avevano e hanno nella lingua ordinaria» (Maniaci 1998, 6).

È un lessico che da un lato si applica nella quasi totalità anche alla legatura dei libri a stampa, dall’altro può rientrare in testi di narrativa nei quali il manoscritto è protagonista della finzione. Mi si presentano alla mente due titoli: Il manoscritto di Samarcanda di Amin Maaluf sullo scomparso manoscritto delle quartine di Omar Khayyam (Maaluf 1994) e I custodi del libro di Geraldine Brooks, in cui una restauratrice ricostruisce, dai minuti reperti che raccoglie tra le pagine della Haggadah di Sarajevo, la storia del celebre manoscritto ebraico, fortunosamente messo in salvo dai bombardamenti serbi, negli anni novanta, dal custode musulmano della biblioteca (Brooks 2008).

Sono seicentomila i manoscritti islamici conservati nelle biblioteche di tutto il mondo (Bloom 2001, 93) e molte migliaia sono patrimonio di biblioteche italiane, dall’Ambrosiana di Milano alla Nazionale di Firenze, dalla Marciana di Venezia alla Apostolica Vaticana, per non citare che le più note.

L’Islam è una civiltà della parola, sia orale sia scritta. La scrittura è uno degli elementi caratteristici della sua cultura visiva e il libro ne è la forma d’arte suprema. Nell’Islam medievale i collezionisti nutrivano per i libri una passione analoga a quella di cui in genere sono oggetto le donne e parlavano dei loro volumi usando gli stessi aggettivi riservati alla bellezza femminile (Touati 2006, 34-41). Più “bello” è il libro, più il collezionista lo desidera, lo ama, lo ostenta. Si tratta di eudemonismo librario.

Su alcuni manoscritti si legge l’invocazione al kabikaj perché protegga il libro dai vermi. Invocazione molto opportuna vista la quantità di microorganismi e insetti che insidiano i libri distruggendoli (Maniaci 1996, 420-422). Curiosa è la storia di come questa preghiera si sia trasformata nel tempo in una formula talismanica: si era persa la memoria che il kabikaj era un ranuncolo asiatico le cui foglie erano ritenute velenose e lo si era interpretato come un genio benevolo, una sorta di re delle blatte (Canova 2006, 67). Bakr al-Ishbīlī nel suo Libro delle facilitazioni sull’arte della legatura consiglia anche un altro sistema per proteggere i libri da insetti e tarli, golosi di colle e di cuoio: fumigarli bruciando penne di upupa (Gacek 1990-1991, 207).

Soprattutto nell’VIII-IX secolo, con l’introduzione nei paesi islamici orientali della carta come materiale scrittorio, possedere una ricca biblioteca è segno non solo di cultura, ma anche di ricchezza, di prestigio sociale, di potere. Non c’è sovrano, visir, dignitario che non esibisca una biblioteca con decine di migliaia di codici. Mentre in Occidente le biblioteche dei monasteri contavano qualche centinaio di manoscritti – il monastero di Bobbio ne possedeva seicentocinquanta (Bloom 2001, 116) – quelle dei paesi islamici arrivavano a contenere centinaia di migliaia di volumi. La Casa della Conoscenza o Casa dei Libri, forse la più importante biblioteca abbaside, fondata a Baghdad nel 991 dal visir di Baha al-Dawla, poteva vantare oltre diecimila volumi. Si dice che l’omayyade al-Hakam II (X sec.) avesse nella sua biblioteca di Cordova quattrocentomila volumi. Il palazzo dei fatimidi del Cairo conteneva quaranta biblioteche; al-Afdal, il potente visir del califfo fatimide, alla sua morte nel 1121 lasciò mezzo milione di volumi. Nei secoli IX-XI la biblioteca diventa un simbolo di autorità ed è desiderio di ogni sovrano realizzare la biblioteca universale, come emblema dell’appropriazione islamica del mondo intero (Bloom 2001, 120 ss.).

Della biblioteca di al-Hakam si è salvato un unico manoscritto e della collezione fatimida sono giunti sino a noi solo due volumi. Uno degli episodi più noti di distruzione di manoscritti si verificò nel 1068, quando, in un momento di grave crisi economica dell’Egitto, la soldataglia cenciosa assalì le biblioteche e il cuoio delle legature venne usato per farne suole di scarpe (Touati 2006, 162). È destino dei libri essere rubati o distrutti, per cui ogni reliquia che ci è giunta dal passato è preziosa. Saper parlare con accuratezza di queste sopravvivenze non è ozioso e certamente dà occhi per vedere e godere della grande bellezza degli antichi codici islamici.

Cartai, copisti, decoratori e legatori erano tenuti in grande considerazione nella civiltà islamica: sono professioni che richiedono grande abilità, al limite del virtuosismo, come apprendiamo nel dettaglio dai cinque manuali di legatura che sono giunti sino a noi e che coprono un lungo arco di tempo, dal IX al XVII secolo (Fani 2008, 205).

Il Corano raggiunge dimensioni monumentali nel XV secolo nell’Egitto mamelucco, quando la legatura diventa una vera e propria opera d’arte. Ed è proprio in Egitto, sembra, che l’arte della legatura si esprime con il massimo della diversità (Guesdon 2001, 139).

L’artigiano che rilega i libri ne permette la conservazione e dà loro una forma aggraziata. Egli deve padroneggiare l’arte del mestiere e applicarsi con serietà, non sbagliando l’ordine dei fascicoli, non confondendo volumi e rispettivi proprietari, onorando i tempi di consegna. Deve fare attenzione a non utilizzare quali fogli di sguardia carte contenenti espressioni coraniche. Nella decorazione della coperta non è lecito usare oro e argento. È opportuno che il rilegatore rifiuti di operare su libri quali la Torah, il Vangelo, i Salmi, contenenti scritture celesti contraffatte. Egli deve astenersi dal rilegare qualsiasi opera in siriaco o ebraico. Da parte sua, il committente è tenuto ad accordarsi preventivamente con il rilegatore su materiali e costi» (Canova 2008, 224).

Inutile osservare che le severe prescrizioni di Ibn al-Hajj furono spesso disattese. Infatti, numerose sono le legature ornate con i metalli preziosi proibiti: il manoscritto era una merce sul mercato librario e come tale poteva subire le pratiche riservate a qualsiasi altro oggetto, comprese le falsificazioni (Touati 2006, 183 ss.).

La legatura è l’elemento esteriore con cui il libro si presenta: è un’opera d’arte in sé che rende desiderabile il possesso del codice, ma la sua bellezza formale deve essere il riflesso di una bellezza superiore, quella dell’opera. Le legature più sontuose sono perciò riservate ai testi religiosi (Corano, il Libro per eccellenza, e hadith, detti e fatti del Profeta).

Vogliamo qui studiare la nomenclatura essenziale che ci permette di parlare della legatura di un codice islamico, tralasciando la complessità lessicale relativa a supporto scrittorio (papiro, pergamena, carta), calligrafia, ornamentazione, miniatura e illustrazione, ciascuno un universo artistico a sé.

Tenendo presente che il manoscritto islamico si apre da sinistra a destra, ecco il lessico essenziale per parlare della sua legatura. Riferimenti bibliografici costanti per la nomenclatura italiana saranno il vocabolario codicologico (Vocabulaire codologique 2002-2003), Maniaci (1998) e Macchi (2002).

structure_of_the_islamic_book

  1. binding, legatura. Operazione con cui si confeziona un libro cucendo dapprima i fascicoli l’uno all’altro, quindi legando il blocco delle carte alla coperta. Alla lettera la rilegatura è il rifacimento di una legatura precedente.
  2. casing, legatura come risultato dell’operazione sopra descritta.
  3. leather binding, legatura in cuoio (cammello, montone, capra o gazzella).
  4. textblock, corpo del testo (o del libro), blocco delle carte, compagine. È costituito dalla serie dei fascicoli i cui fogli sono cuciti, con un numero di fori variabile, nella piegatura al centro.
  5. quire o gathering, fascicolo. Costituisce l’unità strutturale del corpo del libro e consiste in una serie di fogli piegati in due, propriamente bifogli, inseriti e fissati l’uno dentro l’altro dalla stessa cucitura con filo di seta (ma anche di lino, cotone o canapa).
  6. folio, foglio o carta. Ciascuna delle due metà di cui è composto un bifoglio; a sua volta ciascuna carta si compone di due pagine.
  7. page, pagina. Ciascuna delle due superfici opposte di una carta. Si distingue un recto e un verso.
  8. endleaf, guardia o carta di guardia. Carta di protezione appartenente al primo e/o all’ultimo fascicolo o aggiunta all’inizio e/o alla fine del volume. Esistono varie strutture di carte di guardia sia nella tradizione europea sia in quella islamica, in relazione al tipo di cucitura o legatura realizzata.
  9. fore-edge o outer edge, taglio anteriore. È la superficie del blocco dei fogli opposta al dorso.
  10. head e tail, testa e piede. Termini che indicano in modo generico il taglio superiore e inferiore del volume.
  11. cover, coperta. Il termine si applica anche al rivestimento in cuoio (nei manoscritti mamelucchi) applicato ai piatti e al dorso per proteggere il corpo del testo e, più in generale, l’insieme degli elementi di cui si compone il codice.
  12. cover board, piatto. La faccia interna è detta contropiatto, inner cover.
  13. upper cover e lower cover, coperta anteriore e coperta posteriore. L’uso di superiore e inferiore dipende dal fatto che nelle biblioteche islamiche i libri erano sistemati di piatto sullo scaffale con il taglio inferiore, su cui è scritto il titolo, rivolto verso il lettore (cfr. la bella copertina di Touati 2006). Le coperte sono sempre decorate con disegni geometrici o floreali, impressi a stampo oppure incisi, quindi dipinti, spesso in oro.
  14. board, quadrante. Rettangolo di legno – cedro, pioppo, pino, fico, lauro, tamerice (Fani 2008, 209) – o di cartone, uso che si generalizza a partire dal XII sec.
  15. pasteboard, cartone (Macchi 2002 e dizionario codicologico s.v. pasteboard). In realtà con pasteboard si intende il quadrante realizzato con carte – spesso di riuso – incollate le une sulle altre, molto più flessibile rispetto al quadrante in cardboard, cartone (una pasta di fibre di carta pressate), o in legno. A questo punto dell’elaborazione del lessico della legatura da parte degli studiosi italiani, il prestito sembra inevitabile.
  16. joint, cerniera. Linea di giunzione tra labbro interno del piatto e il blocco del testo che permette l’articolazione dell’apertura del libro. Per non sottoporre la cerniera a uno sforzo eccessivo, nel mondo islamico il leggio (book support, book stand o cradle) non consente di aprire il codice a centottanta gradi.
  17. doublure, fodera. Può essere in pelle, tela, pergamena, carta o seta e riveste i contropiatti. Deve essere stesa in modo che aderisca perfettamente ai quadranti senza formare bolle, dice il legatore Al-Ishbīlī (Gacek 1990-1991, 110). Anche il dorso è rivestito da una fodera, più larga del dorso stesso, i cui bordi sono fissati ai contropiatti per renderli solidali con il corpo del testo.
  18. hinge, tallone. Striscia di pelle piegata in due nel senso della lunghezza e incollata, in corrispondenza della cerniera, alla fodera del piatto e al corpo del testo.
  19. spine, dorso. La superficie costituita dalla piegatura dei fascicoli del corpo del testo. A differenza dei manoscritti medievali europei, che hanno il dorso a profilo convesso, il dorso dei manoscritti islamici tende a essere piatto, perché il volume con la sua legatura deve costituire un parallelepipedo perfetto.
  20. endcap, cuffia. L’orlo della coperta che protegge i capitelli. Si distingue una cuffia di testa e una cuffia di piede (Macchi 2002 parla di headcap, s.v.).
  21. endband, capitello. La cucitura che rinforza e conferisce coesione al corpo del testo. Talvolta è ancorata ai quadranti di legno. Nella forma più semplice, in genere è realizzata con due fili di colore diverso avvolti intorno a un’anima. Al-Ishbīlī descrive quattro tecniche di tessitura del capitello, la più complessa delle quali è una vera e propria esibizione di virtuosismo: i fili del capitello scrivono il titolo del codice (Gacek 1990-1991, 209).
  22. endband core, anima del capitello. Si tratta di una strisciolina di cuoio sulla quale si avvolgono i fili che cuciono le estremità dei fascicoli per formare il capitello.
  23. fore-edge flap, ponte. Elemento rettangolare che si articola a destra con il piatto posteriore e a sinistra con la ribalta.
  24. flap, ribalta o risvolto. È un elemento che compare nel XII sec., mentre precedentemente i codici erano conservati in una sorta di scatola (Fani 2008, 207). I manoscritti mamelucchi sono tutti forniti di ribalta. Di forma pentagonale, la ribalta si articola al ponte per mezzo di una cerniera. A libro chiuso il ponte protegge il taglio anteriore. A differenza di quanto avviene nei codici occidentali, nei quali si chiude sopra il piatto anteriore, nei manoscritti islamici la ribalta si chiude sul corpo del testo, sotto il piatto anteriore (Guesdon 2001, 140). Gaia Petrella mi informa che molti codici islamici sono stati danneggiati nel tentativo di forzare la ribalta a chiudersi sopra il piatto superiore. Resa rigida da un’anima di cartone e rivestita in pelle, tela o carta, la ribalta poteva servire anche da segnalibro (Gacek 1990-1991, 106).
  25. turn-in, rimbocco. Lembo del rivestimento dei piatti e della ribalta ripiegato verso l’interno del volume e incollato sul bordo interno di ogni elemento della coperta.

Tradurre la nomenclatura relativa alla legatura di un manoscritto islamico è un’operazione ben diversa dal tradurre un testo letterario. Mi sono limitata alla terminologia della legatura perché esiste tra gli studiosi anglofoni un lessico condiviso, mentre per altri aspetti del codice islamico – soprattutto per la decorazione e la miniatura – il lessico attende ancora una formulazione unanimemente accettata (Hepworth-Baydar 2007). Nell’ambito codicologico italiano invece non esiste una nomenclatura universalmente condivisa (Macchi 2002, XXI), per cui nelle traduzioni di testi dall’inglese vige una grande anarchia terminologica: nel capitolo sulle legature safavidi contenuto in A caccia in Paradiso (2004, 155-201) il piatto è chiamato «quadrante» e il ponte «dorso del risvolto»; la legatura è chiamata «rilegatura» e la coperta dei piatti «copertina», mentre per la fodera è mantenuto il termine doublure – definita impropriamente «parte interna della copertina» – che l’inglese ha mutuato dal francese (Splendori a Corte 2007, 43, 75).

Ho affrontato questa ricerca lessicale con lo spirito di un genitore che sceglie di dare il proprio amore a un figlio adottivo, con rispetto della sua personalità, della sua cultura originaria, della sua lingua in particolare. Nello scambio le mie conoscenze e quindi il mio italiano si sono arricchiti di valori insospettati. Per la mia formazione archeologica è stata una vera rivelazione scoprire che capitello è la cucitura che lega i fascicoli del corpo del testo in testa e al piede del dorso, oggi ancora usata per grossi volumi come dizionari ed enciclopedie.

Non escluderei che l’immagine del traduttore come genitore adottivo mi sia stata suggerita, per contrasto, da Nila, forse il personaggio più interessante, per quanto non simpatico, del recente romanzo di Khaled Hosseini, ovvero una donna che ha letteralmente comprato una bambina per mettere a tacere la frustrazione per la propria sterilità e che è narcisista al punto di rifiutare la figlia quando questa rivendica il suo diritto a una vita propria, non corrispondente alle aspettative materne (Hosseini 2013).

Nell’adottare una nomenclatura è necessario fare appello alla modestia, con spirito di servizio al testo, una virtù indispensabile per tenere a bada il proprio narcisismo letterario, anche quando si traduce un romanzo.

Bibliografia

Bloom 2001: Jonathan M. Bloom, Paper before Print. The History and Impact of Paper in the Islamic World, Library of Congress Cataloging-in-Publication Data, 2001

Brooks 2008: Geraldine Brooks, I custodi del libro, Vicenza, Neri Pozza, 2008 (traduzione italiana di Massimo Ortelio da People of the Book, New York, Penguin USA, 2008)

Canova 2006: Giovanni Canova, Un’invocazione araba per proteggere il libro dagli insetti, in «Charta», 85, 2006

– 2008: Giovanni Canova, Considerazioni di Ibn Al-Hağğ sull’etica di lavoro di cartai, copisti, rilegatori e decoratori di libri (XIV secolo), in «Quaderni di studi arabi», n. s. 3, 2008, pp. 219-234

Cassarino 1998: Mirella Cassarino, Traduzioni e traduttori arabi dall’VIII all’XI secolo, Roma, Salerno editrice, 1998

Fani 2008: Sara Fani, Manuali arabi sulle tecniche di legatura dei libri (sec. XI-XVII), in «Quaderni di studi arabi», n.s. 3, 2008, pp. 201-216

Gacek 1990-1991: Adam Gacek, Arabic Bookmaking and Terminology as Portrayed by Bakr al Ishbīlī in His Kitāb al-taysīr fī sinā‛at al-tasfīrin, in «Manuscripts of the Middle East», 5, 1990-1991, pp. 106-113

Guesdon 2001: Marie-Geneviève Guesdon, Reliures, in L’Art du livre arabe. Du manuscript au livre d’artiste, Paris, Bibliothèque nationale de France, 2001 (catalogo della mostra tenuta a Parigi il 9 ottobre 2001-13 gennaio 2002)

Hepworth-Baydar 2007: Paul Hepworth and Nil Baydar, Islamic Manuscript Conservation and Its Vocabulary, www.islamicmanuscript.org, 2007

Hosseini 2013: Khaled Hosseini, E l’eco rispose, Milano, Piemme, 2013 (traduzione italiana di Isabella Vaj da And the Mountains Echoed, New York, Riverhead, 2013)

Maaluf 1994: Amin Maalouf, Il manoscritto di Samarcanda, Milano, TEA, 1994 (traduzione italiana di Emanuela Fubini da Samarcande, Paris, Éditions Jean-Claude Lattès, 1988)

Macchi 2002: Federico Macchi e Livio Macchi, Dizionario illustrato della legatura, Milano, Edizioni Sylvestre Bonnard, 2002

Maniaci 1998: Marilen Maniaci, Terminologia del libro manoscritto, Milano, Bibliografica, 1998

Schick 1960: Carla Schick, Il linguaggio. Natura, struttura, storicità del fatto linguistico, Torino, Einaudi, 1960

Splendori a Corte 2007: Splendori a Corte. Arti del mondo islamico nelle collezioni del museo Aga Khan (traduzione italiana di Linguexecutive, Verona), Milano, Edizioni Olivares, 2007 (catalogo della mostra tenuta a Parma il 31 marzo-3 giugno 2007)

Tanindi 2004: Zeren Tanindi, Legature safavidi, in Sheila R. Canby e Jon Thompson (a cura di), A caccia in Paradiso. Arte di corte nella Persia del Cinquecento (traduzione italiana di Paola Cordera), Milano, Skira, 2004, pp. 155-201 (catalogo della mostra tenuta a Milano il 10 marzo-27 giugno 2004)

Touati 2006: Houari Touati, Biblioteche di saggezza. Libro e collezionismo nell’Islam, Milano, Edizioni Sylvestre Bonnard, 2006 (traduzione italiana di Cristina Rognoni da L’armoire à sagesse. Bibliothèques et collections en Islam, Paris, Editions Flammarion, 2003)

Vocabulaire codologique 2002-2003: Institut de recherche et d’histoire des textes, Vocabulaire codologique. Répertoire méthodique des termes français rélatifs aux manuscrits avec leur équivalents en anglais, italien, espagnol, par Denis Muzerelles (Edition hypertextuelle – Version 1.1. 2002-2003: http://vocabulaire.irht.cnrs.fr/)