di Fulvio Ferrari, autore di
Cees Nooteboom, Tumbas, Milano, Iperborea, 2015 (da Tumbas, Amsterdam, Atlas, 2007)
«Chi giace nella tomba di un poeta?» Così ha inizio l’introduzione di Tumbas, e così ha inizio la fatica del suo traduttore. Perché se mi si chiede qual è la difficoltà specifica di tradurre Nooteboom – proprio lui, non un qualsiasi scrittore o poeta di lingua nederlandese – una prima risposta la si trova qui, già in queste prime righe, nella scrittura di un autore che continua a porsi domande e a cercare risposte mettendo sulla carta i propri processi di pensiero, soppesando ipotesi, scartandole, passando improvvisamente a pensieri nuovi che ritornano poi, dopo un lungo divagare, sulla domanda iniziale. Questo scrivere come se si stesse pensando, come se si stesse dialogando con se stessi, comporta da parte dell’autore una grande chiarezza e una grande eleganza. Ora, proprio questo è il punto: basta scivolare su una qualsiasi trappola della sintassi perché questa chiarezza e questa eleganza vengano compromesse. E siccome costituiscono il tratto stilistico fondamentale dell’autore, comprometterle significa vanificare in modo irreparabile la sua scrittura. Non c’è qui un incalzare della trama, un assassino da smascherare, una passione da soddisfare che sollevino il lettore al di sopra delle crepe della traduzione e gliele nascondano alla vista. La bellezza della scrittura consiste proprio nel tono del discorso, nelle ombre di amarezza o di ironia. Non sto naturalmente dicendo che, traducendo Nooteboom, io sia riuscito a ricreare tutto questo. Dico che traducendo Nooteboom questa è stata la mia preoccupazione principale, la mia fatica più grande.
Al secondo posto nella classifica delle difficoltà – più che mai in Tumbas, ma un po’ in tutta l’opera di questo autore erudito e innamorato della letteratura – c’è indubbiamente il suo gusto della citazione, non sempre esplicita e completa. Non solo c’è il problema di individuare e tradurre correttamente frasi o espressioni di cui l’autore dà per scontata la conoscenza, ma che non sempre sono immediatamente riconoscibili a chi non condivide la sua enorme enciclopedia culturale, c’è anche la questione delle sue riflessioni su opere che il traduttore dovrebbe avere ben chiare in mente per comprendere appieno commenti e allusioni. Un esempio: parlando di Nerval e della sua Sylvie, Nooteboom si interroga su come la struttura del racconto ne determini il significato, e nel farlo fa più volte riferimento a Umberto Eco. Ho avuto la fortuna di non avere tempi spaventosamente stretti per la consegna della traduzione, per cui ho potuto rileggere – dopo molti anni – sia il racconto di Nerval, sia il saggio di Eco e tornare quindi a Nooteboom con la relativa certezza di non fraintendere il suo gioco di citazioni e commenti. Un altro esempio: parlando di un viaggio a Berlino, Nooteboom narra della sua visita alle tombe di Brecht e di Hegel, poco lontane l’una dall’altra: «un duplice regno dello spirito che si allargava sotto le altre tombe e in cui Surabaya Johnny regnava insieme allo spirito del mondo, Mackie Messer ballava al Bill’s Tanzhaus di Bilbao con la Fenomenologia sotto il braccio, e una nave pirata tutta vele e cannoni rubava la dialettica e la portava su una costa dove dei soldati, per l’ultima volta, effettuavano il cambio della guardia marciando al ritmo dello Stato». Brecht, Hegel: per mia fortuna appartengo a una generazione che conosce (o conosceva) Brecht più o meno a memoria e che si è spaccata in giovinezza la testa su Hegel. Ma questi giochi Nooteboom li fa anche con poeti cinesi e giapponesi di epoche lontane, con autori estranei al canone, almeno al canone che abbiamo in mente noi italiani. E allora il traduttore dimentica ogni snobismo e benedice l’esistenza di internet e delle sue molteplici e labirintiche banche dati. Se la traduzione è anche un grande e impegnativo gioco enigmistico, questo è più che mai vero quando si tratta di tradurre un autore che, come Nooteboom, dell’enigma ha fatto uno dei suoi temi fondamentali, e che intorno agli enigmi si aggira con una scrittura, inevitabilmente, enigmatica.