di Anna Battaglia
autrice di Claude Debussy, Monsieur Croche. Tutti gli scritti, a cura di Enzo Restagno, Milano, Il Saggiatore, 2018 (da Claude Debussy, Monsieur Croche et autres écrits, Introduction et notes de François Lesure, édition revue et augmentée, Paris, Gallimard, 1987 (prima edizione 1971)
Il Monsieur Croche del Saggiatore è la prima traduzione italiana dell’edizione del 1987, la raccolta integrale, in ordine cronologico e senza rettifiche, di tutti gli articoli del Debussy giornalista e critico musicale, apparsi su periodici tra il 1901 e il 1914, e di quasi tutte le interviste da lui concesse.
Alla concentrata e asettica raccolta del 1921 succede la versione grezza senza revisioni di tipo stilistico o ideologico (e senza nessuna censura su un serpeggiante nazionalismo, indubitabilmente all’altezza dei tempi, hélas!). Cronache musicali ancorate agli eventi di quegli anni e testimonianza di una visione estetica programmaticamente soggettiva.
Debussy scrive sull’onda delle sue reazioni e delle sue idiosincrasie, che sono molte. Tradurlo ha voluto dire misurarsi, oltre che con le sue qualità eccelse, con le pecche di una scrittura immediata, spontanea, senza peli sulla lingua, indifferente alla correttezza della forma, e che alterna ritmi e tonalità diversi con la volontà costante di dire senza esitazioni ciò che si pensa.
Mi sono trovata di fronte a molti enigmi da sciogliere, cosa non sempre possibile, anche perché le note del curatore francese sono volutamente rare e scarne. La «grosse dame… incaricata al sentimentalismo presso il Casino di Suresnes» alla quale Debussy associa i «portamenti di voce» dei tromboni diretti da Nikisch, è rimasta tale e quale, priva di un qualunque plausibile referente (p. 60).
Non erano pochi neanche i difetti da salvare: ripetizioni di lunghi passaggi da un articolo all’altro, “frasi trascurate”, approssimazione nella sintassi. La tendenza a concentrare in frasi ellittiche le realtà più diverse (lo zeugma è una delle figure retoriche predilette da Debussy).
In special modo ho lottato contro il rischio di fargli parlare una lingua paludata e didascalica, e di neutralizzare così la sua originalità, di spegnerne la discorsività, il registro colloquiale e la concisione.
Ho dovuto individuare e salvare l’ironia sottesa, spesso caustica, l’ammicco, il sarcasmo, l’implicito; non “correggere” le sue audacie, non disattivare le marcature stilistiche, come per esempio le frasi scisse o le inversioni inconsuete («…incubo del nostro nazionale Conservatoire»; «Una curiosità sono gli spettatori che frequentano la Schola: lì stanno gomito a gomito l’aristocrazia, la tranquilla borghesia della rive gauche, artisti e rudi artigiani, e il pubblico non ha più quell’aria spersa che troppo spesso si riscontra in luoghi più celebri. Si ha l’impressione che capisca…»).
Il lessico musicale di Debussy è preciso e privo di tecnicismi: per la terminologia presente, per i generi musicali mi sono avvalsa della consulenza del curatore italiano, Enzo Restagno.
L’idea fissa in questo lavoro è stata quella di rendere in italiano lo sconcerto prodotto in francese da certi registri linguistici, da certi eccessi, sperando che di questo sconcerto non si accusasse il traduttore…
Una bella collaborazione c’è stata con l’editor. La sua rilettura capillare ha generato uno scambio intenso nei margini dei file su cui lavoravamo. Un sollievo per me nell’ossessione di quel lettore immaginario, giudice impietoso. Ho accettato la trasformazione del “voi” in “lei”, anche se il primo mi sembrava più consono.
A volte ho dovuto rinunciare alla resa di un tono ritenuto troppo colloquiale, qualche anacoluto eccessivo, ma perlopiù le scelte rischiose sono state avallate, o solo leggermente modificate, la responsabilità condivisa.