Cambiare verso

SI PUÒ TRADURRE IN UNA LINGUA DIVERSA DALLA PRIMA LINGUA MADRE? OVVERO: DELLA “DIREZIONALITÀ”

di Barbara Ivancic

Andrey Remnev, Arrow , 2015, olio su tela

Con il termine directionality si indica, negli studi traduttologici più recenti, la prassi di tradurre o interpretare verso una lingua che non corrisponde alla prima lingua o lingua madre di chi traduce (cfr. Pokorn 2011; Apfelthaler 2019). In realtà, il termine si riferiva originariamente in senso più ampio alla coppia linguistica nell’ambito della quale ha luogo il processo traduttorio, salvo poi subire in tempi recenti una sorta di restrizione semantica, per designare appunto esclusivamente la traduzione in una lingua seconda.

Un’interessante evoluzione semantica, questa, che dipende probabilmente – questa è almeno una delle possibili ipotesi – dall’esigenza di denominare qualcosa che esce dalla norma o che comunque viene percepito come particolare. Cosa che, allo stesso tempo, confermerebbe che la direzione dalla lingua altra alla prima lingua sia in fondo percepita come norma/le.

A ben vedere, questa presunta norma rappresenta una sorta di sottinteso, nel senso che nelle riflessioni sul tradurre la si dà generalmente per scontata. C’è chi sente l’esigenza di ribadirla, affermando l’unicità della lingua madre (cfr., per esempio, Petruccioli 2017, 43), e chi – ed è questo l’atteggiamento più frequente – nemmeno menziona la questione, non avvertendone evidentemente la necessità.

Ma c’è anche chi, soprattutto negli ultimi anni, dà voce a un altro sentire, mettendo in discussione quest’assioma più o meno implicito. Qualcuno lo fa con toni piuttosto forti, tanto da definire l’assioma un vero e proprio mother tongue dictate (Stoklosinski 2013: diktat della lingua madre) e ricondurlo a una visione semplicistica ed etnocentrica della prima lingua, che non dà conto della realtà multilingue e transculturale delle nostre società. Anche senza ricorrere a toni forti, ad apparire critico è soprattutto un aspetto della presunta esclusività della lingua madre o prima lingua, comunque la si voglia chiamare: quello di suggerire, in maniera più o meno esplicita, un nesso tra direzione e qualità. Se la direzione “giusta” è solo quella verso la prima lingua, ne deriva inevitabilmente che questa stessa direzione sia garanzia di una maggiore qualità della traduzione. Anche questo è, in fondo, un sottinteso piuttosto diffuso nelle riflessioni sul tradurre (cfr. Pokorn 2011, 37).

La studiosa Nike Pokorn lo critica e ne dimostra l’infondatezza attraverso uno studio comparativo che ha per oggetto le traduzioni inglesi delle opere di Ivan Cankar, un classico della letteratura slovena, che è stato tradotto e ritradotto in inglese sia da traduttori native speakers, ossia di madre lingua inglese, che da traduttori non-native speakers (cfr. Pokorn 2005). La sua analisi delle traduzioni, che include anche uno studio empirico relativo alla ricezione dei testi tradotti da parte di parlanti nativi della lingua d’arrivo, dimostra come non vi sia nessuna differenza di qualità attribuibile alla directionality e come, allo stesso tempo, lo status di native speaker non sia garanzia di maggiore competenza della lingua madre. La ricerca è interessante anche perché riguarda l’ambito della traduzione letteraria, che solo pochi studi sulla direzionalità toccano.

In linea con lo studio di Pokorn e con altre ricerche sull’argomento (cfr. Grosman et al. 2000), anche altri studiosi mettono in discussione l’idea che tradurre verso una seconda lingua incida sulla qualità della traduzione. Alcune di queste ricerche (cfr., per esempio, Stoklosinski 2013) avanzano, allo stesso tempo, la tesi che la prospettiva del parlante non nativo possa addirittura avere un effetto benefico sulla traduzione, nella misura in cui tiene il traduttore al riparo da quella tendenza alla standardizzazione che spesso si avverte nelle traduzioni letterarie e che Franca Cavagnoli in un suo recente articolo chiama la «spinta etnocentrica della naturalizzazione» (Cavagnoli 2019).

Comunque la si pensi, il tema della direzionalità è attualmente molto presente negli studi traduttologici, come dimostra la recente raccolta bibliografica di Apfelthaler (2018), che presenta un lungo elenco delle pubblicazioni che affrontano il tema sia dal punto di vista della traduzione sia da quello dell’interpretazione, la maggior parte delle quali risalgono agli ultimi dieci anni. Quest’interesse non può che provenire dalla necessità di affrontare la questione, che evidentemente tocca molti traduttori e intrepreti e che investe sempre di più anche la didattica della traduzione, come emerge dal citato elenco bibliografico.

In fondo, senza nulla togliere all’importanza delle ricerche traduttologiche, basterebbe forse anche solo guardarsi attorno o guardare indietro nel tempo per capire che il cambio di direzione non è poi così raro e così anomalo. E anche per capire che non si può circoscriverlo alle lingue cosiddette minori o periferiche, quelle lingue cioè che difficilmente vengono studiate come seconde (o terze) lingue e che pertanto devono affidare la propria letteratura ai parlanti nativi, che a loro volta la traducono in altre lingue. Questo vale indubbiamente per molte comunità linguistiche (cfr. Linn 2006), ma spiegare il fenomeno solo come una soluzione di emergenza suggerisce implicitamente più di qualche dubbio relativo alla qualità delle traduzioni che nascono in questo modo.

Guardandomi indietro nel tempo e limitandomi, per limiti miei, alla lingua tedesca, ricordo solo due nomi di grandi traduttori che hanno dato con le loro traduzioni un contributo fondamentale alla cultura tedesca, pur essendo entrambi di prima lingua non (o non solo) tedesca: Swetlana Geier e Karl Dedecius. La prima ha tradotto in tedesco gran parte dell’opera di Dostoevskij e molti altri autori russi, il secondo molta letteratura polacca e russa. Per nessuno dei due la scelta della lingua deriva da questioni di competenza, opportunità o simili, ma è qualcosa di ben più profondo e intimo.

Anche oggi, o forse soprattutto oggi, sono molti i traduttori e le traduttrici che, per i più svariati motivi, vivono in più lingue e traducono nell’altro verso, quello meno comune o meno scontato. Le loro voci possono indicarci altri modi di concepire la categoria della direzionalità. Siamo molto grati a Elvira – che le lettrici e i lettori italiani conoscono soprattutto come scrittrice (cfr., fra gli altri, Mujčić 2019, 2016, 2012), ma che è anche traduttrice di autori contemporanei dell’area ex-jugoslava, tra cui Slavenka Drakulić e Robert Perišić – per aver condiviso con noi le sue riflessioni sull’argomento con l’articolo L’Altra che presentiamo in questo stesso numero di «tradurre». Che la scrittura vada spesso di pari passo con la traduzione vale evidentemente anche per la seconda lingua.

Riferimenti bibliografici

Apfelthaler 2018: Matthias Apfelthaler, A Comprehensive Bibliography of Translating and Interpreting Directionality, online: https://doi.org/10.6084/m9.figshare.4960595

Apfelthaler 2019: Matthias Apfelthaler, Directionality, in Routledge Encyclopedia of Translation Studies, a cura di Mona Baker, Gabriela Saldanha, 3. ed., London, New York, Routledge, pp. 152–156

Cavagnoli 2019: Franca Cavagnoli, Traduzione come ospitalità, in «Alphabeta 2», 5.5.2019 (reperibile anche all’indirizzo https://www.alfabeta2.it/2019/05/05/traduzione-come-ospitalita/

Grosman et al. 2000: Meta Grosman, Mira Kadric, Irena Kovačić, Mary Snell-Hornby, Translation into Non-Mother Tongues, Tübingen, Stauffenburg

Linn 2006: Stella Linn, Trends in Translation of a Minority Language: The case of Dutch, in Sociocultural Aspects of Translating and Interpreting, edited by Anthony Pym, Miriam Shlesinger, Zuzana Jettmarová, Amsterdam-Philadelphia, John Benjamins, pp. 27-40

Mujčić 2012: Elvira Mujčić, La lingua di Ana, Castel Gandolfo, Infinito Edizioni

2016: Elvira Mujčić, Dieci prugne ai fascisti, Roma, Elliot

2019: Elvira Mujčić, Consigli per essere un bravo immigrato, Roma, Elliot

Petruccioli 2017: Daniele Petruccioli, Le pagine nere. Appunti sulla traduzione dei romanzi, Roma, La Lepre Edizioni

Pokorn 2005: Nike K. Pokorn, Challenging the traditional Axiom, Amsterdam, John Benjamins

2011: Nike K. Pokorn, Directionality, in Handbook of Translation Studies, a cura di Yves Gambier, Luc van Doorslaer, vol. 2, Amsterdam, Philadelphia, John Benjamins, pp. 37–39

Prunč 2000: Erich Prunč, Translation in die Nicht-Muttersprache und Translationskultur, in Translation into Non-Mother Tounges, a cura di Meta Grosman, Mira Kadric, Irena Kovačić, Mary Snell-Hornby, Tübingen, Stauffenburg, pp. 5-20

Stoklosinski 2013: Eduard Stoklosinki, Directions: Beyond the Mother Tongue Dictate, in Zwischentexte: literarisches Übersetzen in Theorie und Praxis, a cura di Claudia Dathe, Renata Makarska and Schamma Schahadat, Berlin, Frank & Timme, pp. 47-59