di Alberto Prunetti
autore di D. Hunter, Chav. Solidarietà coatta, Roma, Edizioni Alegre, 2020 (da Chav Solidarity, 2018; Active Distribution, 2019)
Chav Solidarity di D. Hunter l’ho scoperto su Working Class Literature, un profilo twitter che diffonde contenuti sulla narrativa inglese della classe lavoratrice. Lo seguo con interesse per la mia collana editoriale dedicata alle scritture working class. Ho fatto qualche ricerca. Il libro era un’opera autoprodotta scritta da un coatto di mezz’età di Nottingham e parlava delle sue esperienze negli strati più bassi della catena alimentare del capitalismo, dove se l’era cavata con parecchie ammaccature vivendo in un’economia informale fatta di lavoro sessuale, spaccio e furti.
Ho acquistato una copia ebook direttamente dall’autore. Che mi ha mandato una copia corrotta, quindi ci siamo scambiati qualche mail prima di arrivare al pdf giusto. Alla fine, mi ha fatto gli auguri per la lettura, precisando che sarebbe stata tosta. Gli ho risposto, facendo il gradasso, che c’ero abituato alle cose pesanti. Mi sbagliavo. Il libro era più pesante di quanto pensassi.
Mi ha colpito duro e l’ho proposto all’editore Alegre che ha accettato di acquistare i diritti. Hanno fatto un contratto a Hunter. E lì è cominciato il mio lavoro di traduttore.
E anche i miei problemi. Nessun problema linguistico, a dire il vero. La lingua di Hunter è piana, simile al parlato ma senza gerghi e senza dialettismi. Non scrive come Irvine Welsh, per capirci, non sperimenta, non fa capriole linguistiche con le parole (eppure la struttura, quella sì, è molto ibridata). Ma le difficoltà che ho incontrato come traduttore erano di tipo emotivo. Forse è il libro più difficile che ho dovuto tradurre. Perché un conto è leggere di uno stupro. Un conto è scegliere le parole italiane per raccontare quello stupro. Devi trovare le alternative, bilanciare la pesantezza materica delle parole usate, accordare i registri a un’esperienza dolorosa che quasi senti di rivivere. Uno stupro che dura una pagina è un’esperienza di lettura di due minuti al massimo. Come traduttore, significa farla durare tutta la notte. Mi addormentavo con le parole di Hunter in testa, che mi facevano male, e continuavano a farmi male, dentro alla mia carne, incistandosi nei miei pensieri notturni, senza prendere sonno. Mi tornava in mente quell’augurio forse un po’ sarcastico di D. Hunter nella sua mail. Buona lettura. Da lettore l’avevo scampata, da traduttore era roba che faceva male.
I rari dubbi che ho avuto nel corso della traduzione li ho risolti grazie a un amico, redattore di Alegre, che si è consultato con dei suoi amici bilingui. Io quando ho dubbi traduttivi mi confronto con una signora un po’ anziana, un’amica, bilingue perfetta. Eppure stavolta il testo era così duro e i passi talmente violenti che non me la sono sentita di confrontarmi con lei. Non mi ci vedevo a spiegarle il contesto della traduzione.
L’ultimo dubbio che ho dovuto risolvere era sul titolo. L’opera originale di Hunter si intitola Chav solidarity. Fin dall’inizio ho pensato di renderlo in italiano come Solidarietà coatta. Perché il libro non è un memoriale vittimista. È un elogio della solidarietà come arma della working class per mitigare la durezza di una vita sotto i colpi di maglio del capitalismo e del patriarcato. Mi piaceva anche il senso di ambivalenza che in italiano ha l’espressione «coatta», intesa come «da coatto», da «sottoproletario», ma anche come «obbligata». La solidarietà come via obbligata per salvarsi le ossa. Alla fine la scelta finale l’ho fatta confrontandomi con il collega Wu Ming 4, lo scrittore a cui avevamo commissionato la scrittura della prefazione. A Wu Ming 4 il libro era piaciuto e lui proponeva di titolarlo con una sola parola: Chav. A quel punto «solidarietà coatta», che è insieme letterale e polisemico, è diventato il sottotitolo.
Così del libro abbiamo salvato le ossa e anche la polpa. E adesso godetevi la lettura. E sappiate che fa male, ma è fortissimo. Buona lettura, direbbe D. Hunter.