di Susanna Basso
A proposito di: Renata Colorni, Il mestiere dell’ombra. Tradurre letteratura, Milano, Edizioni Henry Beyle, 2020, pp. 170, € 70,00
A thing of beauty is a joy forever.
John Keats
«Ogni libro di Vincenzo Campo – scrive Matteo Codignola – è un esperimento sul corpo stesso dell’editoria». E aggiunge: «se si immagina ogni titolo di Vincenzo come una risposta, diventa spesso divertente, e interessante, cercare di capire quale sia stata la domanda».Nella stessa sede, il Catalogo 2009/2019 delle Edizioni Henry Beyle (2019), Stefano Salis ne descrive così i libri: «Formato piccolo, sobrietà massima, tipografia austera ma non triste, cura delle minuzie (che sono il sale dell’editoria), delle carte, dei risvolti, delle piegature, attenzione massima ai dettagli: alla porosità tattile, al colpo d’occhio estetico, al gusto della lettura, raggiunto solo dopo che la cura formale ha tutto predisposto al momento finale: l’incontro con l’autore, con il testo». A sua volta il fotografo Ferdinando Scianna parla di “militanza estetica” a proposito delle proprie collaborazioni con le Edizioni Henry Beyle. E Lorenzo Viganò riconosce all’editore Campo «lo sforzo di avvicinarci il più possibile al libro come l’autore l’avrebbe voluto, facendone emergere l’anima».
Non è possibile avere tra le mani un libro di questa casa editrice senza contemplarne la preziosa “cosità”. Da qui perciò vorrei cominciare a parlare de Il mestiere dell’ombra, di Renata Colorni. Dal piccolo libro, formato 15 x 15 realizzato in Tatami White, una carta dalla robusta consistenza materica, con sovraccopertina in granulosa carta Leathac di un color verde polpa di avocado. Applicato a mano sul quadrato della copertina è un piccolo quadrato color crema che riproduce quadrati in dimensioni decrescenti: uno studio di prospettive cartacee dall’inconfondibile eleganza del design di Enzo Mari.
E proprio Enzo Mari, insieme a Paolo Boringhieri, è tra i primi nomi che sfilano nel catalogo illustre della vita professionale di Renata Colorni. A Paolo Boringhieri va il merito lungimirante di aver affidato a una persona interna alla sua casa editrice la cura redazionale degli undici volumi delle opere di Freud, per la cura scientifica di Cesare Musatti. Un’impresa formidabile alla quale Renata Colorni dedicò sei anni di lavoro editoriale tra discussioni appassionate e l’immane responsabilità di ideare la lingua di una disciplina scientifica e al tempo stesso dell’opera di un grande narratore come Sigmund Freud. Con la disinvoltura dei grandi, Renata Colorni arriva ad affermare: «Se l’opera, come nel caso di Freud, è vasta e riccamente articolata, il lavoro del traduttore è paradossalmente più facile: una volta trovato il registro, la cifra, il tono che meglio corrispondono alla peculiare voce dell’autore, basta quella voce seguirla nei contenuti». Voilà. In caso ci fossimo chiesti come si riesce a non essere sopraffatti dall’impervia difficoltà che anche uno solo dei testi di Sigmund Freud rappresenta per un traduttore.
Raccontando il proprio percorso professionale, Colorni ricorda come l’immenso impegno di studiosa e interprete dei testi freudiani l’abbia condotta a una svolta esistenziale, a un dilemma: proseguire con l’attività editoriale, o intraprendere un corso di studi che l’avrebbe portata a dedicarsi alla psicanalisi?
Ed ecco inaugurare pagina 30, alla prima riga, un altro nome eccellente: a trarla d’impaccio fu infatti Roberto Calasso, il quale le propose la cura dei testi di narrativa tedesca per Adelphi, sostenuto nella scelta anche dalla valutazione di Luciano Foà, il quale riscontrava, nelle traduzioni di Colorni, «una notevole qualità letteraria».
A questo punto del racconto autobiografico ha inizio l’altro impressionante elenco, quello degli autori tradotti: Elias Canetti, Thomas Bernhard, Friedrich Dürrenmatt, Joseph Roth, Arthur Schnitzler, Franziska zu Reventlow, Franz Werfel. Ci sono accenni a qualche amore particolare, fra i tanti splendidi testi affrontati, ad esempio La lingua salvata e L’altro processo di Elias Canetti.
A intervalli raffinatamente irregolari si trovano nel libro pagine annunciate da un piccolo foglio di velina che scherma l’applicazione ora della copertina originale di un romanzo, ora di una pagina manoscritta dell’Introduzione al narcisismo. Ordinata e obliqua, tra guglie di consonanti puntute e vocali magre, la grafia di Freud affascina come un’illustrazione del testo che contiene, e di quello che andiamo leggendo sul mestiere del traduttore. Poi riprende il racconto e riprendono gli incontri, questa volta con la lingua e lo stile dei grandissimi autori tradotti: il carattere ossessivo e «il cupo vortice linguistico» della scrittura di Thomas Bernhard; la «profondità psicologica vertiginosa» di Arthur Schnitzler, la straordinaria complessità filosofica di Thomas Mann. A proposito di quest’ultimo e del suo Der Zauberberg Colorni afferma: «Quest’ultimo lavoro ha occupato ogni minuto del mio tempo libero per più di tre anni, regalandomi la fatica, il dolore, il piacere e l’emozione che si lega alle sfide intellettuali indimenticabili della vita.» E regalando a noi lettori, aggiungo io, il mirabile lavoro de La montagna magica.
Non potevano mancare infine alcune pagine dedicate al prestigioso e arduo incarico in Mondadori alla direzione della collana di classici italiani e stranieri «I Meridiani». Qualche luminoso assaggio del lavoro di traduzione di Colorni si trova nelle pagine di sinistra accanto alle immagini: poche righe in corsivo che ci invitano ad assaporare la varietà erudita e viva della lingua di un grande traduttore.
Chiudiamo il piccolo libro di Renata Colorni tornando all’affermazione di Matteo Codignola: «se si immagina ogni titolo di Vincenzo Campo come una risposta, diventa spesso divertente, interessante, cercare di capire quale sia stata la domanda». Ebbene, la mia domanda è: Che aspetto ha, come si può trasformare in oggetto il racconto di una vita passata a prendersi cura dei libri?
Così. Con questo libro.