di Giuseppe Giovanni Allegri
autore di Ali Bécheur, I domani di ieri, Milano, Francesco Brioschi Editore, 2019 (da Les lendemains d’hier, Tunis, Éditions Elyzad, 2017)
I domani di ieri è un romanzo in memoria di un padre ingombrante dal quale l’autore si è allontanato per poter finalmente diventare adulto: i capitoli alternano il racconto del figlio scrittore alla biografia del padre Omar, avvocato difensore durante la lotta per l’indipendenza della Tunisia, che Bécheur ricostruisce attraverso indizi e scarse memorie (vere o fittizie all’occorrenza). Man mano i due racconti si fondono in un unico memoriale fatto di ricordi comuni corredati da eventi d’epoca.
Flusso di coscienza dettato da emozioni presenti e passate, il testo di Bécheur, al lettore – come al padre – chiede una sola cosa: un ascolto empatico (Ali, riferendosi al defunto: Mais c’est à mon tour de parler maintenant. Bien obligé de m’écouter…, «Ora però tocca a me parlare. Farà la cortesia di stare ad ascoltare…»). L’intento dichiarato in epigrafe è erigere un monumento letterario e, fin dalla prima lettura, la scrittura è apparsa, in effetti, molto densa, intima ed espressiva, più vicina a uno stile poetico che narrativo. È stato necessario intensificarlo, quell’ascolto, per tradurre e salvaguardare i livelli di lettura, primo fra tutti l’analogia tra il rapporto padre-figlio e madrepatria-protettorato.
La sfida si è concentrata quindi su stile, lingua, rimandi interni ed esterni al testo, aspetti tematici. Sul tema dominante, ad esempio, la parola scandale, per la sua posizione rilevante nell’incipit e per contrasto con l’aggettivo inéluctable, attiva un’isotopia tematica sulla morte costruita lungo tutto il primo capitolo. Sostituire il traducente «scandalo» con uno più parlante (es. «disgrazia») o neutro (es. «batosta») ci avrebbe allontanato dall’originale.
La scrittura di Bécheur è fatta di ellissi, frasi giustapposte, altre sintatticamente complesse, registri linguistici diversi, dislocazioni sintattiche e temporali. E poi richiami alla cultura francese (Proust, Apollinaire, Piaf, Truffaut…) con citazioni palesi e dissimulate che s’incarnano nel testo a prendere nuova vita. Quando leggiamo: Mon enfance est un cimetière où sont enterrés… («La mia infanzia è un cimitero dove sono sepolti…»), emerge l’eco di uno Spleen di Baudelaire (Je suis un cimitière abhorré par la lune…), sonetto ripreso in parte anche più avanti: J’ai plus de souvenirs que si j’avais mille ans («Ho dentro più ricordi che se avessi mill’anni»).
Quanto ai ricordi, il titolo I domani di ieri è significativo. Riferimento a un presente che si rinnova, legato a una storia e una memoria – soggettiva e collettiva – per Bécheur non sempre affidabile, pronta a deflagrare, come nel suo caso, con una semplice telefonata (a ognuno la sua madeleine…). La diegesi procede per flashback e anticipazioni secondo una sequenza emotiva degli eventi, con riferimenti che incastonano la vicenda nella Storia tunisina. Una Storia soggettiva, per lo più accennata, il cui punto di vista è sempre personale.
Tanto personale quanto la lingua usata: ricca, colta, che galleggia fra due culture, che impiega un lessico coloniale talvolta intraducibile (bougnoule, bicot…) e mantiene parole ed espressioni arabe dal sapore unico, tant’è che, con la redazione e la curatrice per la parte araba, si è deciso di evitare le note il più possibile, stilando glossari di supporto. È un testo di un autore bilingue che sceglie di esprimersi nella lingua dei coloni. E non è casuale poiché il francese rappresenta un elemento di emancipazione che non sostituisce la lingua madre, ma le dà un valore aggiunto. Ha permesso a Omar di diventare un difensore dei diritti nonostante le umili origini, è servito a Bourguiba da grimaldello per l’indipendenza, e soprattutto ha fatto scoprire ad Ali la scrittura e altri mondi possibili.