di Angela Albanese
A proposito di: Letterature comparate, a cura di Francesco de Cristofaro, Roma, Carocci, 2014, pp. 334
Una ispirazione veramente umanistica non si spaventa davanti alla molteplicità delle risposte a una stessa domanda e certo sa che ognuna di esse ha le sue motivazioni determinate, che le contraddizioni non sono motivo di negazione, ma solo segno che il problema è in inquietudine; sa che certe prospettive rivivono in nuovi contesti con particolari connotati; mentre non ignora tra l’altro che nessuna di queste prospettive può pretendere di allargare i suoi tentacoli fino a proporre una definitività e una universalità davvero esaurienti (Anceschi 1989, 31).
Così scriveva Luciano Anceschi nel suo Gli specchi della poesia, ponendo l’accento sulla natura irrequieta dei testi letterari e sulla conseguente necessità che il discorso critico non si risolva in un unico paradigma astratto, in un pensiero “col dito alzato” che pretenda di esaurirne in via esclusiva il senso e le motivazioni, ma sappia porsi invece come riflessione aperta alle esplorazioni e sollecitazioni, disposta a seguire la “cosa” nella consapevolezza di una sua irrequietezza irriducibile, come esperienza dinamica e non normativa di aggiornamento continuo del dialogo dei testi con la storia.
Il richiamo di Anceschi ad un metodo non prescrittivo ma aperto e plurale, capace di guardare agli eventi da un’angolatura più larga e lontana da ogni pretesa di esaustività, può essere forse un’utile premessa a questo recente volume collettaneo. L’appello a un modello di studio e di confronto critico che sappia andare in più direzioni, quanto mai necessario per la comparatistica, è suggerito già dal titolo del libro: un titolo programmatico che, con un minimo ma significativo scarto rispetto alla precedente e pur apprezzabile manualistica italiana – basti qui citare almeno i volumi Letteratura comparata (a cura di Armando Gnisci, Mondadori, 2002), Letteratura comparata: metodi, periodi, generi (Nicola Gardini, Mondadori, 2002), Letteratura comparata (Raffaella Bertazzoli, La Scuola, 2010) – diventa plurale, proprio a voler annunciare sin da subito l’intenzione del curatore e degli autori di adottare «un tono dialogico e uno sguardo obliquo» sulle questioni complesse messe in campo dalla disciplina, della quale si intende assecondare il «carattere duttile», «dinamico e in continua trasformazione» (p. 11).
Se il titolo del libro è già indizio importante del metodo aperto di indagine che ispira e orienta i diversi contributi, la breve premessa del curatore Francesco De Cristofaro e il denso capitolo introduttivo di Massimo Fusillo ne chiariscono con efficacia, insieme all’impostazione metodologica, anche l’impianto teorico, verificato costantemente nei diversi capitoli attraverso un serrato e diretto confronto con i testi.
Il contributo di Fusillo, dal titolo Passato presente futuro, si presenta subito decisivo sia nel delineare con lucidità un argomentato percorso teorico e una storia critica della comparatistica, sia nel tessere in maniera convincente trame di continuità e di reciproca contaminazione fra la letteratura comparata e altri campi del sapere e fenomeni culturali che ne hanno ampliato progressivamente l’oggetto di studio. La comparatistica, argomenta Fusillo, «ha bisogno sempre di più di specchi multipli, per poter comprendere o solo assecondare questo movimento frenetico. Ha bisogno soprattutto di un sapere aperto, che non segua canoni, gerarchie di valori, sistemi organici, e sia sempre cosciente della precarietà e della provvisorietà di ogni valutazione estetica e di ogni interesse scientifico. Per arrivare a questo risultato occorre superare definitivamente le concezioni lineari e teleologiche che hanno tanto caratterizzato il Novecento» (p. 13). Viene in mente la bella immagine di Enzensberger, per il quale, come l’impasto della sfoglia durante la lavorazione del fornaio è fatto di strati di pasta che, sovrapposti e spianati di nuovo, si ricombinano per riapparire in punti imprevedibili e mai nella stessa identica posizione, così si può immaginare il tempo storico e il tempo della vita dei testi, vale a dire come «un sistema dinamico» in cui «non potrà mai ripetersi una situazione del tutto identica» (Enzensberger 1999, 114). Allo stesso irrequieto impasto della sfoglia somiglia non solo la storia, ma anche la relazione fra i testi e le loro irradiazioni in altri generi, culture, epoche: in rapporto non lineare o gerarchico con l’originale, ma storico nel senso di Enzensberger, ogni loro nuova riformulazione e «rimediazione»(Bolter e Rusin 2002) in forme e codici differenti sembra corrispondere ai singoli «punti saltellanti» della sfoglia di cui rimescola l’impasto originario facendolo riemergere «sempre in un ambiente trasformato» (Enzensberger 1999, 116, 117) e secondo traiettorie inaspettate. «Credo – chiarisce Fusillo – che questo sia un punto fondamentale per il futuro della comparatistica: capire che i confronti vanno fatti in tutte le direzioni, non solo in quella classica e storicistica dell’influsso di un modello sulle sue riscritture, ma anche quella in senso contrario, vale a dire come le riscritture successive diventino parte non secondaria della vita di un testo» (p. 28). Proprio per seguire queste diverse traiettorie e partendo dal concetto goethiano di Weltliteratur, letteratura mondiale, da intendersi non tanto come «unificazione progressiva di un mondo sempre più omogeneo», ma come «continua tensione fra il locale e l’universale» (p. 15), Fusillo ricostruisce i tre assi principali – geografico, culturale e mediale – lungo i quali la letteratura comparata si è espansa, smontando progressivamente, nel confronto con l’altro da sé, le gerarchie tradizionali «fra primario e secondario, fra testo originale e suoi derivati, fra creazione e riscrittura» (p. 28). Si ripercorrono allora gli incroci fecondi della disciplina con studi culturali, gli East and West studies, i temi, le forme e i miti di altre letterature del mondo, l’estetica camp e la teoria queer, le arti visive e i visual studies, la traduzione, le riscritture teatrali e gli adattamenti cinematografici, preparando nel contempo un fertile terreno teorico al quale si legano saldamente e con coerenza gli altri capitoli del volume, dedicati all’approfondimento di ciascuna di queste relazioni e non scevri da frequenti e sollecitanti interferenze reciproche che bene esemplificano proprio quella dimensione dialogica del sapere che il volume teorizza.
Se il secondo capitolo, di Francesco De Cristofaro, dedicato a Le forme e i generi, prende le mosse da una puntuale e documentata ricostruzione delle trasformazioni spazio-temporali delle forme e dei generi letterari – dalla forma breve della fiaba e del racconto all’epica al romanzo – per arrivare a rilevare, con il sostegno di numerosi e sollecitanti esempi, che il tratto dominante della contemporaneità sembra essere un «indebolimento dei generi» e un «rafforzamento delle forme che pare giunto a un punto di non ritorno nella “modernità liquida” e nella “società trasparente” che tutti abitiamo» (p. 45), il terzo capitolo, di Chiara Lombardi, affronta il tema del dialogo intertestuale, da intendersi non come mera «disamina delle fonti e delle sicure genealogie tra testi» (p. 88), ma come spazio fecondo di intersezione fra i testi e di loro continua e inedita risignificazione. Un legame di tipo dialogico tiene insieme le opere e le loro riscritture, secondo quel concetto di intertestualità che Julia Kristeva ha elaborato per prima, traendo sollecitazione da Bachtin e dalle sue riflessioni altrettanto pregnanti sul concetto di dialogicità degli eventi letterari. All’idea di Bachtin, per il quale «il testo vive soltanto venendo a contatto con un altro testo» e solo «nel punto di questo contatto di testi si accende una luce che illumina avanti e indietro e rende un testo partecipe al dialogo» (Bachtin 1988, 118), fa appunto riscontro la ben nota definizione di intertestualità formulata da Kristeva, secondo cui «ogni testo si costituisce come mosaico di citazioni» (Kristeva 1978, 121). Accogliendo appunto le definizioni di Bachtin e di Kristeva, Lombardi ripercorre con dovizia di esempi un’idea di intertestualità come rete di rimandi più o meno espliciti fra le opere, che può dispiegarsi nelle più disparate forme di disseminazione: dalla traduzione in senso stretto, alle riscritture, alle parodie, agli adattamenti, alla citazione, all’allusione ironica, fino alle espressioni postmoderne dell’intertestualità, da considerarsi ormai «fenomeno endemico della letteratura» (p. 95). Ed è una nozione importante, quella di dialogo intertestuale e interdisciplinare con cui l’autrice si confronta, capace di andare oltre la dimensione puramente testuale e di porsi anche a fondamento di un dialogo interculturale, critico e civico fra le moderne democrazie (p. 103).
Il quarto capitolo, Temi, motivi, topoi, di Emilia Di Rocco, approfondisce lo stato dell’arte della critica tematica, proponendo un’utile e aggiornata rassegna appunto dei temi, dei motivi e dei topoi che ne costituiscono l’oggetto di studio, senza trascurare di evidenziare la confusione terminologia con cui spesso le analisi teoriche provano a definirli.
Alle riscritture e agli studi inter artes sono dedicati rispettivamente il quinto e il sesto capitolo. Il contributo di Irene Fantappiè ci porta nel cuore della questione delle riscritture, chiarendone subito la natura di «ripetizione che necessariamente comporta variazione, persino in assenza di intenzionali modifiche del testo» (p. 138) e rimandando, fra gli altri, alle tassonomie di Genette (1997) e agli studi di Hermans (1985) sulla manipolazione letteraria. L’esempio più eclatante, ben noto e ricordato anche da Fantappiè, rimane quello di Pierre Menard, il protagonista eponimo del racconto di Borges, che pur riscrivendo parola per parola il dettato del Don Chisciotte di Cervantes, lo fa da una prospettiva del tutto diversa, che è quella di un francese del ventesimo secolo. La conseguenza è che la riscrittura contemporanea del testo di Cervantes, sua replica perfetta in apparenza, assume invece una differente intenzionalità, generando effetti di significato del tutto inediti in funzione del nuovo contesto di arrivo. Il concetto di riscrittura è assunto da Fantappiè nell’accezione più ampia teorizzata da André Lefevere, che vi include ogni forma di riformulazione del testo di partenza: e così, la traduzione, la parodia, l’antologizzazione, il resoconto storiografico, il commento critico, la revisione editoriale, gli adattamenti televisivi, cinematografici, teatrali, musicali e gli altri possibili modi di trasposizione intersemiotica rientrano nel concetto generale di riscrittura e sono tutti fenomeni di «rifrazione» dei testi letterari (Lefevere 1998, 10).
Il sesto capitolo, di Elisabetta Abignente, affronta invece il rapporto fra la letteratura comparata e le altre arti – pittura, musica, teatro, cinema, architettura, fotografia – e ne ricostruisce le resistenze, gli sconfinamenti, le contaminazioni reciproche. Limitando la riflessione alle arti figurative, è indubbio che, già dal romanticismo in poi, la pretesa di Lessing di una radicale separazione del codice letterario da quello figurativo sia stata costantemente smentita tanto dalla prassi artistica e letteraria, quanto dalla riflessione estetica, antropologica e filosofica. Basti pensare all’apporto che alla comparatistica è arrivato dalla visual culture [cultura della visualità], grazie a lavori fondamentali come quelli di Hans Belting (curatore Bilderfragen. Die Bildwissenschaft im Aufbruch [Questioni di immagine. La scienza delle immagini al suo sorgere], München, Wilhelm Fink Verlag, 2007), di Gottfried Bohem (Wie Bilder Sinn erzeugen. Die Macht des Zeigens [Come le immagini portano senso. La potenza dei segni], Berlin University Press, 2007), di W.J.T. Mitchell (Picture Theory. Essays on Verbal and Visual Representations [Teoria dell’immagine. Saggi sulle rappresentazioni verbali e visive], The University of Chicago Books, 1994) e, in area italiana, di Michele Cometa (almeno La scrittura delle immagini. Letteratura e cultura visuale, Milano, Raffaello Cortina, 2012), contributi fondanti del cosiddetto visual turn [svolta verso la visualità] degli studi culturali novecenteschi, su cui Abignente non manca di soffermarsi.
«Il problema di un ascolto attento dell’altro è centrale» (p. 195). Quello con cui esordisce Camilla Miglio nel settimo saggio del volume, dal titolo Letteratura mondo. Oriente/Occidente, in cui si approfondiscono i rapporti fra East and West studies, non è solo l’appello a un criterio conoscitivo e metodologico plurale e aperto all’alterità, ma diventa anche imperativo morale per una nuova comparatistica che sappia essere «policentrica, relazionale, transnazionale non polarizzata secondo gli schemi centro-periferia, Europa-non Europa» (p. 221). La stessa dizione riportata nel titolo Oriente/Occidente, e non Oriente-Occidente o Oriente Occidente, che Miglio accoglie da David Palumbo-Liu (Asian/American. Historical Crossing of a Racial Frontier [Asiatico/americano. Storico attraversamento di una frontiera etnica], Standford, Standford University Press, 1999), vuole ribadire il «margine mobile tra Occidente e Oriente e tra Oriente e Occidente» (p. 220), «lo statuto di parità» che al contempo «li unisce e li separa» (p. 221). «Nel pensiero ottocentesco lasciato in eredità al Novecento, chiarisce Miglio, non si esce dalle dicotomie. Ma se osserviamo bene la realtà nella quale oggi ci muoviamo, sarà difficile separare in zone coerenti e localizzabili i “centri” e le “periferie” della storia, della letteratura, del mercato, delle stesse lingue. Si potrà fare più utilmente ricorso a discontinui modelli relazionali, rinegoziati di volta in volta. La svolta relazionale consente una visione più dinamica e aperta» (p. 200).
In perfetta continuità e consonanza con il saggio di Miglio si pongono i due successivi capitoli, che affrontano due argomenti in stretto dialogo e dagli evidenti intrecci, vale a dire la questione del canone e gli studi culturali. All’utile e documentato contributo di Antonio Bibbò (Canone e canoni) che, partendo della nozione classica di canone, pone l’attenzione su alcune questioni centrali – per esempio le connotazioni politiche del termine, il giudizio sulle opere e gli autori ritenuti canonici, il rapporto tra canone letterario ed estetica, il rapporto fra canone e censura, il ruolo nevralgico del dibattito statunitense sul canone negli anni sessanta e settanta del Novecento – si affianca, integrandolo, il saggio di Giulio Iacoli dal titolo La dimensione culturale dei testi. Ricostruito il polisemico e intricato complesso di significati racchiusi nel termine “cultura”, Iacoli procede a ridefinire il raggio d’azione degli studi culturali nei quali, secondo la prospettiva dialogica, antigerarchica, plurale e democratica assunta, rientrano a pieno diritto nuove categorie come il pop, il camp, gli Afro-American studies, i «border studies, rivolti a interrogare l’idea di confine e la sua importanza in termini geopolitici, storici, artistici» (p. 264), la geocritica, le inedite pratiche di rilettura dell’antico, i queer studies. Il lettore troverà per ciascuna categoria passata in rassegna abbondanti modelli testuali, che si rivelano preziose esemplificazioni di un discorso teorico che Iacoli, come del resto gli altri autori, sottopone di continuo alla prova dei testi.
Il decimo e ultimo capitolo, Le teorie e i metodi di Ugo M. Olivieri, si lega circolarmente al primo intervento di Fusillo, passando in rassegna le prospettive teoriche e metodologiche attraverso cui il Novecento ha guardato ai fatti letterari e tenendo come spartiacque la grande stagione strutturalista. Il contributo non manca infine di dischiudere la riflessione teorica a nuovi nodi problematici intorno ai quali la comparatistica non potrà, anzi già non può, fare a meno di confrontarsi, primo fra tutti un necessario ripensamento del ruolo e degli strumenti delle teorie letterarie nel tempo della globalizzazione. Nella società globale, secondo Olivieri, la letteratura «sembra aver perduto anche l’esclusiva nella percezione artistica comune: altre forme artistiche o para-artistiche sembrano più potentemente agire in tal senso. La teoria e la critica dovrebbero saper interrogare queste nuove dimensioni della percezione e del rapporto tra l’esperienza comune e il fare estetico» (p. 307).
Sono insomma tante, tutte sollecitanti e foriere di ulteriori indagini e interrogativi le questioni messe in campo dagli autori del volume, di cui si può senz’altro confermare, come era negli intenti del curatore, la natura di efficace strumento «fruibile sin dai primi anni dei corsi universitari» (p. 11), alla cui utilità didattica concorre anche un valido Glossario finale curato da Ida Grasso e Ornella Tajani.
Riferimenti bibliografici
Anceschi 1989: Luciano Anceschi, Gli specchi della poesia. Riflessione, poesia, critica, Einaudi, Torino, 1989
Bachtin 1988: Michail Bachtin, L’autore e l’eroe. Teoria letteraria e scienze umane, a cura di Clara Strada Janovič, Torino, Einaudi, 1988 (tr. it. da Estetika slovesnogo tvorčestva, Moskva, Iskusstvo, 1979)
Bolter e Rusin 2002: Jay David Bolter and Richard Rusin, Remediation. Competizione e integrazione tra vecchi e nuovi media, a cura di Alberto Marinelli, Guerini, Milano, 2002 (traduzione di Benedetta Gennaro da Remediation. Understanding new media, Cambridge (Mass.), MIT Press, 1999)
Enzensberger 1999: Hans Magnus Enzensberger, Zig zag. Saggi sul tempo, il potere e lo stile, Torino, Einaudi, 1999; tr. it. di Daniele Zuffellato da Zickzack. Aufsätze, Suhrkamp, Berlin 1999
Genette 1997: Gérard Genette, Palinsesti. La letteratura al secondo grado, Torino, Einaudi, 1997 (tr. it. di Raffaella Novità da Palimpsestes. La Littérature au second degré, Paris, Seuil, 1982)
Hermans 1985: Theo Hermans (ed.), The Manipulation of Literature. Studies in Literary Translation, London, Croom Helm, 1985
Kristeva 1978: Julia Kristeva, Semeiotike. Ricerche per una semanalisi, Milano, Feltrinelli, 1978 (trad. it. di Piero Ricci da Semeiotike. Recherches pour une semanalyse, Paris, Seuil, 1969)
Lefevere 1998: André Lefevere, Traduzione e riscrittura. La manipolazione della fama letteraria, a cura di Margherita Ulrych, Torino, Utet, 1998 (trad. it. di Silvia Campanini da Translation, rewriting, and the manipulation of literary fame, London and New York, Routledge, 1992)