di Frédéric Ieva
A proposito di: Lucien Febvre, Lavoro e storia. Scritti e lezioni (1909-1948), a cura di Fabrizio Loreto, Roma, Donzelli, 2020, pp. XLIV-124, € 18,00
In questi ultimi anni la casa editrice Donzelli ha proposto in traduzione italiana diversi scritti di Lucien Febvre. Lavoro e storia è una raccolta di sette saggi, la cui cifra comune è quella di affrontare tematiche inerenti la storia del lavoro e del movimento sindacale. Gran parte dei testi presentati sono inediti (il primo su Proudhon, gli altri sono quattro lezioni sulla storia del sindacalismo francese), mentre i restanti due erano già noti al pubblico italiano. Il primo di questi è la prefazione scritta da Febvre a Histoire du mouvement ouvrier di Édouard Dolleans, edito presso Armand Colin nel 1936, e tradotto da Rosa Pignatari col titolo Storia del movimento operaio (Roma, Edizioni Leonardo, 1946; ripubblicato da Sansoni, 1968). Il secondo è il saggio Lavoro: evoluzione di un termine (Travail: évolution d’un mot et d’une idée, dato per la prima volta alle stampe dalle Presses Universitaires de France nel 1948), già inserito nella raccolta di saggi Studi su Riforma e Rinascimento e altri scritti su problemi di metodo e di geografia storica pubblicata da Einaudi nel 1966, e riedito in Problemi di metodo storico (Torino, Einaudi, 1976), con traduzione di Corrado Vivanti.
Come spesso accade, nell’edizione Donzelli qui recensita si è presa la decisione di non dare il giusto rilievo ai traduttori. Infatti, in copertina, colophon e frontespizio non c’è traccia dei loro nomi, e per “scoprirli” occorre andare alla nota del curatore, dove si apprende che i testi inediti sono stati volti in italiano da Guillaume Alonge, e gli altri, come si è già detto, da Pignatari e da Vivanti (cfr. Nota del curatore, p. XLIII).
Poco dopo il presente volume è uscito il libro Lucien Febvre face à l’histoire, a cura di Marie Barral-Baron e Philippe Joutard (Rennes, Presses Universitaires de Rennes, 2019), in cui vengono pubblicate una serie di lettere inedite di Febvre risalenti soprattutto al periodo della sua formazione universitaria. Fabrizio Loreto, nella sua ottima introduzione che ha il merito di inquadrare bene il contesto in cui Febvre scrisse i testi di questa antologia, in parte aveva anticipato il contenuto di alcune di quelle missive. La pregevole contestualizzazione di Loreto avrebbe però tratto beneficio dallo studio di Joseph Pinard Lucien Febvre. Militant socialiste à Besançon 1907-1912 (Bésançon, Cêtre, 2011), che invece non è stato preso in esame. Può essere interessante, inoltre, segnalare che il primo testo, Une question d’influence: Proudhon et le syndacalisme contemporain (Una questione d’influenza: Proudhon e il sindacalismo contemporaneo), stampato in un fascicolo della «Revue de synthèse historique» (XIX, 1909, pp. 179-193), è stato incluso nella silloge Pour une histoire à part entière edita nel 1962 (Paris, SEVPEN) e riproposta nel 2009 nel volume Vivre l’histoire (Paris, Robert Laffont-Armand Colin).
Dal confronto tra i testi originali e i testi tradotti italiani non si può concordare del tutto con il curatore quando asserisce che Guillaume Alonge ha compiuto un «eccellente lavoro» (p. XLIII), in quanto le soluzioni traduttive adottate in alcuni passi destano qualche sorpresa. Iniziamo dal primo saggio, quello su Proudhon. Il traduttore ha scelto di utilizzare il testo apparso nel 1909 sulla «Revue de synthèse historique» e non quello del 2009. Lo si capisce confrontando i due testi francesi. Il periodo ce sera un plaisir pour eux d’en prendre connaissance et de goûter sans fatigue, en toute joie, les fruits d’un labeur patient et fécond (a p. 179 dell’originale del 1909), espunto nella riedizione del 2009 senza alcuna indicazione, è ben tradotto da Alonge: «sarà un piacere per i lettori prenderne conoscenza e assaporare appieno e con gusto i frutti di una fatica paziente e feconda» (p. 3).
La frase di poco successiva, C’est une esquisse nerveuse, sobre, qu’on sent faite de main d’ouvrier par un homme qui a beaucoup pratiqué Proudhon (pp. 179–180 dell’originale), Alonge la traduce «è uno schizzo nervoso, sobrio, fatto – lo si percepisce bene – con mano d’operaio da un uomo che ha molto frequentato Proudhon» (p. 4). Ci sembra efficace la scelta di tradurre qu’on sent con «– lo si percepisce bene – », un po’ meno quella di rendere pratiquer con «frequentare». Sulla base di queste osservazioni si propone la traduzione seguente: «è uno schizzo nervoso, sobrio, fatto – lo si percepisce chiaramente – con mano d’operaio da un uomo che conosce bene Proudhon» (in corsivo le mie varianti).
Si segnala poi un’omissione. La frase Lentement, l’effort d’organisation et d’émancipation ouvrières reprend (p. 182 dell’originale), che sarebbe dovuta essere a pagina 7, non è stata tradotta («riprende lentamente lo sforzo di organizzazione e di emancipazione operaie», traduzione mia). Inoltre, qualche perplessità suscita la resa del termine esprit con «spirito». Sur l’esprit, sur le caractère de Proudhon (p. 179 dell’originale) viene reso da Alonge con «Riguardo allo spirito, al carattere di Proudhon» (p. 3). La frase seguente è egualmente significativa: Il y a dans le moindre de ses ouvrages, une telle «fourmillière de pensées», une telle abondance d’idées, une telle fécondité d’esprit que toute cette richesse trop prodiguement offerte disperse et surcharge l’attention du lecteur (p. 179 dell’originale), resa in italiano con «In ogni suo scritto vi è un tale “brulichio di pensieri”, una tale abbondanza d’idee, una tale fecondità di spirito che tutta questa ricchezza, troppo generosamente offerta, finisce per disperdere e sovraccaricare l’attenzione del lettore» (p. 4). All’inizio la versione italiana («In ogni suo scritto») perde una sfumatura insita nel testo originale che si poteva tentare di mantenere traducendo, per esempio, «Nei suoi scritti, anche in quelli più brevi». Più convincente appare invece la soluzione fourmillière/brulichio, mentre fécondité d’esprit, anziché «fecondità di spirito», si poteva rendere come «feconda intelligenza». Come osservazione generale, ci sembra di poter dire che ci troviamo, per dirla con Newmark, di fronte a una strategia “ipertraducente” che privilegia la dimensione comunicativa a discapito di quella semantica.
Ben più arduo è invece valutare la versione italiana delle quattro lezioni sul sindacalismo francese perché si tratta di testi non rifiniti da Febvre in vista di un’eventuale pubblicazione e che quindi presentano alcune incertezze testuali che rendono non facile il compito del traduttore. Per giunta Jean Lecuir, il curatore francese di questi inediti di Febvre pubblicati per la prima volta nel 2012 sulla rivista «Le mouvement social», ha precisato che si tratta di testi redatti nel 1919 e parzialmente rivisti e risistemati nel 1920: quindi non disponiamo nemmeno delle stesure definitive delle quattro conferenze (J. Lecuir, L’originalité du syndacalisme français selon Lucien Febvre (1919-1929), «Le mouvement social», n. 238, 2012, pp. 3-15). È questa una premessa doverosa che consente di spiegare l’atteggiamento ipertraducente, non sempre condivisibile, adottato da Alonge nel tentativo di restituire al meglio le articolazioni delle idee di Febvre nella sua ricostruzione delle vicende del movimento sindacale francese dalla seconda metà dell’Ottocento agli anni iniziali del primo Dopoguerra.
Ma vediamo altri casi. In un passo, Febvre riflette sulla difficoltà di scrivere una storia del movimento sindacale perché mancano i testi, che i sindacalisti non si preoccupano di conservare e che non vengono raccolti nemmeno dalle grandi biblioteche: Leure excuse, c’est peut être que ces documents [sont] imprimés sur [du] papier de chandelles (p. 18 dell’originale). La traduzione italiana recita «a loro parziale discolpa, si può forse sottolineare che nella maggior parte dei casi quei documenti sono stati stampati su carta di cattiva qualità e di difficile conservazione» (p. 25). In corsivo sono state indicate le aggiunte inserite nella versione italiana che, a parere mio, fanno assumere un significato un po’ diverso rispetto a quello che Febvre voleva dire.
In un’altra occasione, Febvre enumera la bibliografia essenziale per avvicinarsi a questo argomento. Una delle sue tesi è che le dottrine sindacaliste abbiano dei punti di contatto con quelle socialiste, ma che i due movimenti, pur essendo vicini, siano due realtà autonome. A p. 19 del testo originale si leggono le parole seguenti: Sur l’histoire, voisine, du socialisme, che sono state tradotte con «sulla storia, recente, del socialismo» (p. 26). La scelta di rendere voisine con «recente» non convince molto, in quanto nel testo originale si voleva sottolineare, secondo chi scrive, che il socialismo aveva dei tratti comuni con il sindacalismo, che il socialismo è contiguo al sindacalismo. Parimenti, ci sembra che non si rispecchi a pieno il senso dato da Febvre alle sue parole quando scriveva les quelques travaux à citer sont (p. 18 dell’originale), frase volta in italiano con «i lavori da citare sono». In questo caso non era opportuno omettere quelques (più corretto ci sembra «i pochi lavori da citare sono») perché più avanti Febvre asserisce, alla fine dell’elenco bibliografico, che tout cela est bien mince (p. 19 dell’originale), reso «tutto ciò è ben poca cosa» (p. 28) senza restituire il corsivo presente nell’originale, del quale tra l’altro non sempre si rispettano gli a capo.
Un’ultima osservazione. Nel parlare criticamente di un volume, Febvre afferma: Grave défaut: textes de toute date et de toute provenance, utilisés pour une question arbitraire (p. 19 dell’originale). La frase è stata tradotta con «grave difetto: vi si ritrovano testi di ogni data e di ogni provenienza messi assieme in modo arbitrario e artificioso (p. 27). Perché non tradurre semplicemente «utilizzati per una costruzione arbitraria»?
Che queste righe tuttavia non suonino come una messa alla berlina della traduzione, bensì come riflessioni ulteriori che traggono spunto dalla prosa di Lucien Febvre, così penetrante e ricca di sfumature. Non mancano infatti ottime soluzioni traduttive. La frase on ne sait comment exposer un sujet qui chevauche sur les années d’avant et les années d’après 1914 (p. 20 dell’originale) è stata resa con «non si sa più come presentare un argomento a cavallo tra gli anni prima e dopo il 1914» (p. 29). La trasposizione di parti del discorso (verbo in francese/sostantivo in italiano) è stata una scelta felice. Condivisibile inoltre appare la strategia impiegata nella resa dei termini bourse/boursier. Nel descrivere le tre accezioni che il dizionario di Émile Littré attribuiva nel 1873 al vocabolo syndicat (p. 22 dell’originale), «sindacato» (p. 32), Febvre spiega che la parola può indicare il sindaco o la durata della funzione del sindaco; il termine, ricorda Febvre, ha anche una terza accezione: terme de bourse: réunion de capitalistes intéréssés dans une même entreprise et mettant leurs titres en commun pour en opérer la vente sans en altérer le prix (p. 22 dell’originale), ben tradotto con «termine finanziario: unione di capitalisti interessati, all’interno di una medesima impresa, a mettere i loro titoli in comune per attuarne la vendita senza alterarne il prezzo» (p. 33). Poco oltre, Febvre osserva come la parola sindacato, così invisa alla classe borghese, originariamente indicasse ben altro, poiché ne servait à désigner que des boursiers dans l’exercice de leurs fonctions financières (p. 22 dell’originale), frase che viene tradotta in maniera coerente con «non serviva ad altro che ad indicare degli azionisti nell’esercizio delle loro funzioni finanziarie» (p. 33).
Si potrebbero citare molti altri passi tradotti sia in maniera convincente, sia in modo meno efficace. Questo è dovuto in parte al modo di scrivere di Febvre, con la sua prosa viva e ricca di immagini. Siamo di fronte a uno degli aspetti che accomunano Febvre e Marc Bloch: entrambi producevano testi ardui da tradurre. Una difficoltà, questa, in cui si cimentò anche Carlo Ginzburg quando tradusse I caratteri originali della storia rurale francese di Marc Bloch (Les Caractères originaux de l’histoire rurale française, Oslo, Aschehoug, 1931), e lo fece così bene che un redattore dell’Einaudi gli scrisse: «Sono lieto di dirle che lei ha superato brillantemente la prova (tanto più brillantemente in quanto il testo è difficile)» (Archivio di Stato di Torino, Archivio Einaudi, Corrispondenza con autori e collaboratori Italiani, mazzo 94, fasc. 1457, Mitt. sconosciuto a Carlo Ginzburg, Torino 11 febbraio 1959, 1r).