Le “mie” montagne russe

di Matteo Lefèvre

autore di Nicanor Parra, L’ultimo spegne la luce, Milano, Bompiani, 2019 (El último apaga la luz, Barcelona, Lumen, 2017)

Il cileno Nicanor Parra è senza dubbio uno dei poeti di lingua spagnola più originali e longevi della scena novecentesca e di questo primo scorcio del nuovo millennio. L’ultimo spegne la luce è una corposa antologia italiana della sua opera che ha inaugurato la nuova collana di poesia internazionale di Bompiani, «CapoVersi».

Ciò che dell’opera del poeta colpisce da sempre generazioni di lettori e critici è la straordinaria originalità della sua scrittura, che lo ha portato a ideare e perseguire il genere dell’«antipoesia», cioè una poesia prosaica, lontanissima dalle atmosfere, dai motivi e dallo stile della lirica più nota e celebrata nel mondo ispanico. Da qui la suggestione delle «montagne russe», metafora privilegiata dall’autore, allegoria dei voli iperbolici, del gusto eversivo e del sabotaggio culturale che i suoi versi introdussero nell’universo sudamericano: «Durante mezzo secolo / la poesia è stata / il paradiso del sommo cretino. / Finché non giunsi io / e costruii le mie montagne russe. / Salite, se vi va, / non sarà colpa mia se scenderete / sputando sangue da bocca e narici».

La sfida del traduttore dunque è stata altrettanto “sperticata”. Da un punto di vista metrico, per esempio, lo scrittore cileno propone un ampio campionario che va dal settenario all’ottonario, dall’endecasillabo all’alessandrino, per approdare nei componimenti più lunghi a un cursus più vicino alla prosa che alla lirica. Nelle versioni italiane, pertanto, ho cercato di riprodurre proprio la varietà ritmica dei testi di partenza, ma ho dovuto sorvolare, salvo che in pochi casi emblematici, sull’apparato di assonanze e rime, che pure in alcuni testi sono fitte, per riuscire a rendere piuttosto la vivacità del linguaggio e della rappresentazione. In Disordine nel cielo, a tal proposito, ho conservato il costante ritmo ottosillabico, ma “sacrificato” perlopiù le assonanze: «Cristo Gesù non si compra / Con offerte o con denaro / […] Tra gli umani tu hai vissuto / Della paura dei malati / Vendendo patacche false / E croci da cimitero» (Cristo Jesús no se compra / Con mandas ni con dinero / […] Viviste entre los humanos / Del miedo de los enfermos / Vendiendo medallas falsas / Y cruces de cementerio», Desorden en el cielo ).

In generale, quindi, ho dovuto mediare tra l’istanza sonora proposta dai testi e quella figurale, giacché la corrosività e l’eterodossia antipoetica viene trasmessa proprio attraverso immagini curiose, simboliche e surreali, triviali o degradanti, la cui efficacia risiede anche nel lessico utilizzato per illustrarle. Si veda il caso dei vari “autoritratti” del poeta, in cui Parra si descrive, oltre ogni ordinarietà, come il «docente di un liceo oscuro» (profesor en un liceo obscuro), che ha «perduto la voce a far lezione» (perdido la voz haciendo clases), con il «viso pesto» (cara abofeteada) e il «naso marcio» (nariz podrida); un uomo che invecchia male dietro a una «deprimente cattedra / abbrutito dall’aspra cantilena / di cinquecento ore a settimana» (mesón inconfortable / Embrutecido por el sonsonete / De las quinientas horas semanales), «né troppo furbo né scemo completo / […] un insaccato d’angelo e di bestia!» (Ni muy listo ni tonto de remate / […] ¡Un embutido de ángel y bestia!).

Il tutto, condito da una tendenza al sarcasmo e all’antifrasi, il cui coefficiente di (dis)gusto, irreligiosità e provocazione ricerca anche nell’italiano della traduzione lo stesso effetto suscitato dal poeta cileno nel pubblico originale. È con uno di tali esempi che vogliamo chiudere: «Padre nostro che sei nei cieli / pieno di ogni tipo di problemi / […] Devi renderti conto / che una divinità non è infallibile / e che noi perdoniamo tutto quanto» (Padre nuestro que estás en el cielo / Lleno de toda clase de problemas […] Tienes que darte cuenta / De que los dioses no son infalibles / Y que nosotros perdonamos todo).