L’onda anomala del giallo nordico

di Catia De Marco

In un suo celebre articolo sulla world literature (Conjectures on World Literature, apparso nel 2000 su «New Left Review»), Franco Moretti suggeriva che una delle metafore fondamentali per descrivere la diffusione di un modello, una forma o uno strumento da una cultura all’altra fosse quella dell’onda: l’onda del cinema hollywoodiano che travolge il mondo intero (e poi torna indietro come la risacca trasformata in Bollywood, aggiungerei io), o quella della lingua inglese che sostituisce le lingue locali perfino nelle università. L’onda dell’uniformità che sommerge le iniziali differenze, insomma, contrapposta alla seconda metafora fondamentale proposta da Moretti, quella dell’albero dalle molte fronde che rappresenta invece il passaggio dall’unità alla diversità: il differenziarsi dell’indoeuropeo nelle lingue moderne, o l’evoluzione filogenetica delle specie. Ma, sempre secondo Moretti, i due modelli di sviluppo racchiusi in queste metafore si compenetrano a vicenda. Lo sviluppo del romanzo moderno, per esempio, è certainly a wave […] but a wave that runs into the branches of local traditions, and is always significantly transformed by them (Moretti 2000, 67: senz’altro un’onda […] ma un’onda che si infrange sui rami delle tradizioni locali e ne risulta sempre profondamente trasformata – tutte le traduzioni delle citazioni sono mie).

La metafora morettiana dell’onda, a mio parere, è adatta anche a descrivere – e tentare di spiegare – la diffusione senza precedenti del giallo scandinavo in Italia e nel resto del mondo. Fino a pochi anni fa, solo una manciata di affezionati del genere avrebbe saputo identificare come nordici, nel calderone fondamentalmente anglofono dei gialli Mondadori o Garzanti, i romanzi degli svedesi Sjöwall & Wahlöö o del finlandese Mika Waltari, tradotti non a caso proprio dall’inglese. Oggi, e già da qualche anno, gli scaffali delle librerie, le classifiche dei libri più venduti e i blog di lettori traboccano di proposte e suggerimenti identificati esplicitamente come «nordici» o «scandinavi», per non parlare dei canali televisivi, più recentemente invasi da produzioni danesi o svedesi come Forbrydelsen e Bron/Broen (trasmesse in Italia con i titoli inglesi The Killing e The Bridge). Lasciando da parte il complesso discorso sull’opportunità o meno di attribuire caratteri “nazionali” (o, in questo caso specifico, sovranazionali) alle letterature – per il quale rimando, restando in ambito nordico, all’interessante saggio di Siri Nergaard sulla «costruzione» della cultura norvegese in Italia (Nergaard 2014) –, bisogna ammettere che in effetti questi testi, pur nella loro varietà, hanno numerosi elementi in comune, per esempio una «ben dosata alternanza fra la quotidianità e i grandi avvenimenti, fra i dettagli più piccoli e i paesaggi sconfinati, in cui è inserita l’intima indagine dell’animo umano e della società contemporanea nel suo decadimento», come ben argomenta Andrea Ferrari in un post su «Nazione Indiana» (Ferrari 2012b).

Un’onda che nasce da lontano

L’onda del giallo nordico ad ogni modo nasce da lontano, prima di quanto ci si aspetti, e certamente molto prima della sua trasformazione nello tsunami che è stato Stieg Larsson con la Millennium Trilogy (Uomini che odiano le donne, La ragazza che giocava con il fuoco e La regina dei castelli di carta, pubblicati da Marsilio rispettivamente nel 2007, 2008 e 2009 nella traduzione di Carmen Giorgetti Cima). Secondo alcuni storici del genere, infatti, la palma di primo giallo della storia – inteso come racconto in cui c’è un delitto su cui indagare – benché generalmente attribuita a I delitti della Rue Morgue (1841) di Edgar Allan Poe spetterebbe in realtà ad alcuni testi scandinavi: Præsten i Vejlbye (1829, Il pastore di Vejlbye) del danese Steen Steensen Blicher, Skällnora Qvarn (1838, Il mulino di Skällnora) dello svedese Carl Jonas Love Almqvist e Mordet på Maskinbygger Roolfsen (1839, L’assassinio dell’Ingegner Roolfsen) del norvegese Maurits Hansen. Il secondo in particolare – en mustig historia från uppländska landsbygden med ingredienser som giftmord, lögner, mordförsök och drunkningsdöd (Olaisen 2003, 8: una succosa storia ambientata nella campagna dell’Uppland, con ingredienti come avvelenamenti, menzogne, tentati omicidi e morti per annegamento) – vede anche esordire la figura dell’investigatore privato, qui nei panni di narratore in prima persona senza nome, che funge anche da deus ex machina salvando la protagonista femminile da una morte certa sotto la sega circolare azionata dal mulino. Primato a parte, una simile prossimità temporale (difficile ipotizzare che Poe potesse aver letto i racconti di alcuni oscuri, quantomeno in America, scrittori scandinavi), sembra suggerire che qualcosa – un’onda? – stesse nascendo contemporaneamente in tutto il mondo occidentale. Secondo i critici sociali del giallo (Giovanni Petronio, per esempio, o Ernest Mandel), il genere è nato come effetto collaterale della seconda rivoluzione industriale, con l’imborghesimento della società che ne è conseguito e il crescente timore di vedersi portare via quanto conquistato. Se i crimini e la loro rappresentazione letteraria sono antichi come l’uomo, tanto che alcuni arrivano a identificare nella Bibbia o nei miti edipici gli antesignani del genere (Scaggs 2005, 8 ss.), la letteratura gialla propriamente detta nasce con il tentativo di rispondere al bisogno di sicurezza di un sempre più vasto pubblico di lettori borghesi, offrendo loro «la rassicurazione finale sulla forza vittoriosa del bene» (Petronio 1985, 29), in Svezia così come in America o in Gran Bretagna.

Dopo questi esordi precoci, però, per più di un secolo la letteratura gialla del nord seguì piuttosto fedelmente, anche se con uno sfasamento temporale di un paio di decenni, gli sviluppi dei modelli anglosassoni. La principale differenza sta nel fatto che la Scandinavia intraprese fin dall’inizio un’opera di “democratizzazione” dei contenuti letterari che recepiva dall’estero, mostrando «una spiccata attenzione verso la tematica sociale, che non circoscrive l’azione ai salotti eleganti ma la porta, se non già all’aperto e nelle strade, quantomeno nelle aule dei tribunali, nelle scuole, negli uffici» (Ferrari 2012a, 372). A prevalere è il modello britannico del classico whodunit alla Doyle, le cui opere erano diffusamente tradotte e apprezzate, spesso dagli stessi autori che poi ne producevano di autonome, non di rado sotto pseudonimo inglese. Questa tendenza si prolungò ben oltre la cosiddetta “golden age” del giallo britannico, che viene generalmente fatta coincidere con il periodo tra le due guerre, mentre in Svezia l’età d’oro del pusseldeckare (termine locale per il giallo a enigma) copre gli anni cinquanta e sessanta, con nomi come Stieg Trenter e Maria Lang, celeberrimi in patria ma pressoché sconosciuti all’estero. La tradizione hard boiled americana di Chandler, Hammet e Spillane ebbe invece un impatto molto più relativo, anche perché «i detective hard boiled americani sono culturalmente incompatibili con l’attitudine moderata della mentalità nordica, che prontamente mitiga l’indole dei propri eroi, rendendoli più nostalgici che aggressivi, più riflessivi che brutali, più rassegnati che iracondi» (Ferrari 2012a, 377). L’influenza dei nuovi autori americani si esaurisce in un’ambientazione più realistica, spesso cittadina, e nell’accentuarsi della vocazione democratica già accennata fin dagli esordi, soprattutto in autori norvegesi attivi attorno alla seconda guerra mondiale.

Ma di tutto ciò al di fuori della Scandinavia si sa ben poco. Una delle rare eccezioni è costituita dalla breve fiammata di interesse per i gialli nordici, e in particolare danesi, verificatasi in Italia nei primi anni quaranta, quando la situazione politica rese impossibile continuare a pubblicare autori di paesi “nemici” come gli Stati Uniti e l’Inghilterra, fino ad allora (e in realtà anche in seguito) le principali fonti di testi polizieschi. Per trovare materiali alternativi, tra il 1942 e il 1943 Mondadori prese in esame ben dieci romanzi di tre autori danesi (Karl Andersen, Hans Peter Jacobsen e Niels Meyn), anche se poi ne pubblicò soltanto due, Appuntamento all’albergo del lido e Il treno scomparso di Niels Meyn (Wegener 2018, 40ss; Berni 2012, 69s). Altri, tra cui alcuni titoli dello stesso Andersen, uscirono presso un editore milanese specializzato in romanzi ‘popolari’ e fumetti, le Edizioni Economiche Italiane, poi Edizioni Alpe: Una radio chiama a mezzanotte di Otto Schrayh, Un colpevole ci deve essere e La vendetta di Jens Anker e Testamento di guerra, Il mistero della fattoria e Il terzo sparo, tutti di Karl Andersen.Una volta eliminate le restrizioni geografiche, i giallisti scandinavi tornarono nell’ombra, almeno fino agli anni settanta, quando Garzanti tradusse dall’inglese alcuni romanzi della coppia (nella vita così come nella scrittura) composta da Maj Sjöwall e Per Wahlöö.

Il primo, vero contributo nordico alla storia del giallo mondiale si ha infatti con Sjöwall & Wahlöö, autori tra il 1965 e il 1975 di dieci volumi riuniti sotto il titolo comune di Romanzo di un crimine, che vedono protagonista il commissario Martin Beck e la sua squadra. Dal punto di vista della trama e della struttura in realtà la serie non rappresenta una novità assoluta, essendo chiaramente ispirata ai police procedural dell’87° distretto di Ed McBain, del quale la coppia svedese aveva tradotto diversi libri. Il loro contributo personale sta nell’aver messo al centro dell’attenzione, deliberatamente e programmaticamente, la società “a partecipazione statale” delle socialdemocrazie scandinave:

Dess grundidé är att i en långroman på cirka tretusen sidor, uppdelad i tio fristående delar eller, om man så vill, kapitel, ge ett längdsnitt genom ett samhälle av viss aktuell struktur, att analysera kriminaliteten som social funktion och dess relation till både det tidigare nämnda samhället och de moraliska livsformer av olika slag som omger samhället ifråga (Wahlöö 2007, 85)

l’idea di base è di avere un lungo romanzo di circa tremila pagine diviso in dieci parti, o capitoli indipendenti, in cui dissezionare una società con una struttura contemporanea, analizzare il crimine come funzione sociale e la sua relazione sia con la suddetta società sia con le varie forme di vita morale che la compongono (traduzione mia)

scrive uno dei due autori in un breve saggio del 1967, recentemente ripubblicato in un’antologia.

Dopo la morte prematura di Wahlöö, i due autori sono diventati in patria an almost untouchable and sanctified legend (Tapper 2014, 102: una leggenda consacrata e praticamente intoccabile). Ma anche all’estero non c’è storia del giallo nordico che non li identifichi come i “padri fondatori” del genere, con il sostegno delle dichiarazioni, e dei testi stessi, di autori come Henning Mankell e Leif G. W. Persson. La fama di Sjöwall e Wahlöö valicò presto i confini nazionali, grazie soprattutto all’Edgar Allan Poe Award ricevuto nel ’71 per Den skrattande polisen (Il poliziotto che ride), come miglior romanzo giallo pubblicato negli Stati Uniti. Un’interessante analisi quantitativa delle traduzioni di gialli svedesi (Olaru 2019) mostra come i gialli svedesi “classici” precedenti a Sjöwall e Wahlöö avessero prodotto 897 traduzioni per un totale di 976 edizioni domestiche (con un tasso di “traduttività” – perdonate il neologismo – del 91,9%), mentre alle 194 edizioni svedesi dei loro dieci romanzi corrispondono ben 729 traduzioni straniere (equivalenti a un tasso del 375%). Tra i paesi più presenti, dopo Germania, Paesi Bassi e Gran Bretagna, figura un po’ a sorpresa (ma non troppo, vista l’adesione al partito comunista svedese dei due autori) la Cecoslovacchia, mentre l’Italia si posiziona al sesto posto. Sette dei dieci romanzi vennero infatti pubblicati da Garzanti (tradotti dall’inglese) tra il 1973 e il 1976, mentre Sellerio ha intrapreso la ripubblicazione dell’intera serie, in una nuova traduzione dallo svedese di Renato Zatti, nel 2005, ovvero un paio d’anni prima che lo “tsunami Larsson” colpisse l’Italia. L’onda evidentemente stava già montando, come testimoniato dal picco di ritraduzioni dei romanzi di Sjöwall e Wahlöö in tutta Europa, e soprattutto dal successo sempre maggiore di alcuni autori come il danese Peter Høeg e lo svedese Henning Mankell.

    

Prove generali di successo planetario

Il primo giallo nordico a diventare un fenomeno mondiale fu Il senso di Smilla per la neve di Peter Høeg, che in Italia uscì nel 1994 tradotto da Bruno Berni dall’originale danese del 1992. Il successo fu immediato e planetario: pubblicato in più di trenta paesi, nel 1993 venne dichiarato libro dell’anno sia da «Time» che da «Entertainment Weekly», oltre a restare per sei settimane nella classifica americana dei libri più venduti, e nel 1997 approdò al cinema come film diretto dal regista danese Bille August. Anche in Italia il suo successo fu clamoroso, con oltre un milione di copie vendute prima ancora dell’uscita del film, in diversi formati ed edizioni, compresi classici ricettacoli di bestseller come il Club degli editori e la collana supereconomica «I Miti». Eppure l’effetto trascinamento non ci fu, e Smilla rimase un caso isolato, almeno in apparenza.

In realtà la diffusione della letteratura nordica, sdoganata anche da un secondo bestseller uscito in contemporanea al romanzo di Høeg, ovvero Il mondo di Sofia di Jostein Gaarder, continuò a un livello più sotterraneo. Il passo successivo, anche se più contenuto nei numeri e più graduale nelle modalità di diffusione, è rappresentato da Henning Mankell, portato in Italia nel 1998 da Marsilio grazie a Francesca Varotto, responsabile della narrativa straniera della casa editrice, che lo aveva “scoperto” in Germania, dove la serie del commissario Wallander era già un fenomeno. Pur iniziando in sordina, i dieci volumi della serie avrebbero totalizzato un milione di copie vendute. Con Mankell Marsilio iniziò un percorso nordico che sarebbe sfociato nel 2006 (nota bene: un anno prima della pubblicazione di Uomini che odiano le donne di Stieg Larsson) nel marchio GialloSvezia, con autori come Åsa Larsson (prima pubblicazione italiana nel 2004), autrice della serie sul procuratore Rebecka Martinsson, il criminologo svedese Leif G. W. Persson (2004), autore di una pregevole trilogia in cui dà la sua personale (e non inverosimile) versione del delitto Palme, Arne Dahl (2006), con i suoi romanzi sulle indagini particolari del Gruppo A, e il norvegese Kjell Ola Dahl (2006), con la sua serie sui delitti di Oslo, fino ad arrivare, nel 2007, a Stieg Larsson.

  

«The ineliminable serendipity of trade publishing»

Quando la casa editrice Norstedt, nel 2004, iniziò a proporre all’estero i diritti di una trilogia gialla scritta da un giornalista al suo esordio nella narrativa – che di lì a poco sarebbe morto prematuramente, senza nemmeno vedere uscire il primo volume in Svezia nel 2005 –, niente lasciava supporre che si sarebbe trattato di un fenomeno di vendite paragonabile alla serie di Harry Potter. Sarebbe passato oltre un anno prima che i diritti fossero acquistati all’estero, con la francese Actes Sud a fare da apripista nel 2006 e Marsilio a seguire nel 2007. Emilia Lodigiani, fondatrice e direttrice editoriale di Iperborea, che dal 1988 deteneva una sorta di monopolio ideale della letteratura nordica in Italia, e dunque destinatario perfetto dell’offerta di Norstedt, all’epoca non contemplava l’idea di pubblicare romanzi polizieschi: posizione che in seguito avrebbe commentato con il rimpianto di non aver capito che quello del giallo nordico non era un fenomeno esclusivamente commerciale, mitigato tuttavia dalla consapevolezza che Iperborea non era la casa editrice più adatta ad accogliere progetti come Millennium. Dopo un inizio forte ma non al di fuori dell’ordinario, le vendite di Larsson si impennarono ovunque: in un opuscolo del 2012 intitolato Sweden beyond the Mıllennıum and Stıeg Larsson, lo Svenska Institutet – l’ente per la promozione culturale della Svezia all’estero – riporta un totale di oltre 64 milioni di copie vendute in più di cinquanta paesi del mondo:

 

Stati Uniti: 16.000.000

Gran Bretagna: 11.750.000

Germania: 6.800.000

Francia: 4.200.000

Spagna: 4.100.000

Italia: 3.400.000

Paesi Bassi: 2.500.000

[…]

Cina: 115.000

 

Secondo gli ultimi dati rilasciati da Marsilio, in Italia la serie Millennium ha totalizzato 4.500.000 copie, compresi i tre sequel ad opera di David Lagercrantz. Sono cifre che vanno oltre i normali bestseller e che giustificano l’inclusione nella categoria dei megaseller: per l’Italia, i libri che superano il milione di copie, contro le 100.000 dei bestseller.

Ma cosa fa di un libro un best/megaseller? Secondo John B. Thompson, un ruolo fondamentale è giocato dalla ineliminable serendipity of trade publishing (Thompson 2010, 191: ineliminabile serendipità del mercato editoriale). Lo stesso Thompson però si affretta ad aggiungere che, per fortuna degli editori, non tutto è serendipità (Thompson 2010, 211). Pur non potendo garantire il successo, gli editori hanno a disposizione una serie di strategie per spingere le vendite di un libro o di un autore. Per questo, negli anni successivi alla pubblicazione di Larsson, gli uffici diritti degli editori prima, e gli scaffali delle librerie italiane e mondiali poi, sono stati invasi da tutta una serie di promesse quali «l’erede di Stieg Larsson» (Camilla Läckberg), «il nuovo caso Stieg Larsson» (Jens Lapidus), «la risposta danese alla trilogia di Stieg Larsson» (Mikkel Birkegaard), fino ad arrivare al recentissimo paradosso del «nuovo noir scandinavo»… coreano.

Questa promozione selvaggia – e la speranza di bissare il boom di vendite messo a segno da Marsilio – ha fatto sì che dopo Larsson molte case editrici italiane salissero sul carro vincitore del giallo nordico, da Einaudi – che con la solida impostazione di «Stile Libero» già incentrata sui gialli di qualità si è aggiudicata alcuni tra gli autori migliori, come i norvegesi Jo Nesbø e Anne Holt e il duo svedese Roslund & Hellström – a Longanesi (Lars Kepler), Mondadori (Jens Lapidus), Guanda, che ha rafforzato un filone già iniziato in precedenza con lo svedese Håkan Nesser e l’islandese Arnaldur Indriðason, e alla stessa Marsilio, che ha consolidato la propria posizione con altri autori di bestseller come Camilla Läckberg, Liza Marklund, Jussi Adler-Olsen e Jesper Stein. Per qualche anno perfino Iperborea, pur con il suo catalogo incentrato sulle letterature nordiche “alte”, ha avuto una collana gialla, «Ombre», in cui peraltro ha recuperato eccellenti classici del genere, passati del tutto inosservati negli anni precedenti, di autori come i danesi Dan Turèll e Anders Bodelsen o il norvegese Gunnar Staalesen.

«Waves are what markets do»

Fino alla comparsa di Larsson lo sviluppo del giallo nordico aveva seguito un percorso fondamentalmente standard, con alcuni picchi (Sjöwall & Wahlöö, Høeg, Mankell) alternati a cali e/o periodi di stasi. In fondo il giallo, per la sua natura popolare e transnazionale – Crime fiction is a travelling structure, applicable everywhere and thereby a world literature par excellence (Hedberg 2017, 21: il romanzo giallo è una struttura itinerante, applicabile ovunque e quindi world literature per eccellenza) –, ha sempre prodotto bestseller internazionali: basti pensare che, secondo l’Index Translatorum, Agata Christie è l’autrice più tradotta al mondo e Conan Doyle il quattordicesimo (Bassnet 2017, 144). Il fenomeno Larsson però ha due caratteristiche particolari: le dimensioni che trascendono quelle del normale bestseller per entrare nella già citata categoria del megaseller, e il fatto che in questo caso l’onda si sia originata in periferia invece che al centro (quando parlo di centro e periferia in questo articolo, mi riferisco alla distinzione introdotta da Heilbron, basata sul numero di traduzioni da una data lingua nel mercato mondiale; secondo il sociologo, l’inglese risulta lingua iper-centrale, con francese, tedesco e russo come lingue centrali e una decina di altre lingue, variabili a seconda degli anni presi in analisi, in posizione semi-periferica; Heilbron 1999, 439). Entrambe le circostanze sono, a mio parere, riconducibili principalmente a dinamiche di mercato. Gli indubbi meriti dei volumi, addotti da critici e giornalisti per giustificare il successo di Millennium – la complessità degli intrighi, la profondità dei personaggi, i forti legami con la realtà, la qualità della scrittura di Larsson –, non bastano infatti a spiegare il fenomeno: altri prima di lui avevano esposto le magagne della società moderna (Sjöwall & Wahlöö), altri eccellono come o più di lui nella scrittura o nell’introspezione psicologica (Håkan Nesser, Åsa Larsson), altri hanno la sua stessa capacità di intessere intrecci e dipingere personaggi forti (Jo Nesbø), eppure nessuno (tra i giallisti nordici) ha venduto e vende come lui.

Secondo Ann Steiner, curatrice di un interessantissimo volume dedicato ai bestseller e alla cultura letteraria (Hype), a bestseller does not appear out of thin air and […] has to be understood as a part of a complex system in which the particular work of fiction, serendipity, and clever marketing are equally important (Steiner 2014, 41: un bestseller non appare dal nulla e […] dev’essere visto come parte di un complesso sistema in cui l’opera stessa, la serendipità e un’abile strategia di marketing sono ugualmente importanti). Se i bestseller possono ancora essere analizzati in termini testuali e strutturali come genere, stile e rilevanza tematica (Steiner evidenzia come in gran parte appartengano alla cosiddetta “letteratura di genere” – gialli, fantasy, romance – e siano caratterizzati oltre che da un alto livello di transmedialità anche da un forte legame con temi di attualità come la violenza sulle donne o l’identità di genere), per i megaseller come i romanzi di Dan Brown, la serie Twilight di Stephenie Meyer, il ciclo di Harry Potter o quello di Millennium le forze da analizzare sono piuttosto le relazioni industriali, le campagne di marketing e i materiali paratestuali.

Il termine chiave qui è hypeextravagant or intensive publicity or promotion; a deception carried out for the sake of publicity è la definizione on line dell’Oxford Dictionary of English (promozione o pubblicità intensa o eccessiva; operazione ingannevole a fini pubblicitari) –, inteso come strategia mirata a creare interesse per un titolo o una serie di titoli in più media diversi, filling the semiotic sign of the title (or series title) with a promised reading experience (Helgason, Kärrholm & Steiner 2014, 15: attribuendo al segno semiotico del titolo, o del titolo della serie, la promessa di un’esperienza di lettura). Un concetto simile a quello di hype, ma relativo alla ricezione, è il buzz, il passaparola tra i lettori amplificato a dismisura dalle nuove piattaforme social, oltre che da strumenti più tradizionali come le classifiche dei libri più venduti. Quindi i lettori producono buzz, creando nuovi lettori, mentre gli editori sviluppano hype. E questo è esattamente quanto hanno fatto gli editori e gli agenti scandinavi inondando il mercato dei diritti di trilogie destinate a surclassare il successo di Millennium, spesso non ancora pubblicate nemmeno in Svezia. Karl Berglund (2014 e 2017) riporta due casi di aste milionarie alla fiera di Francoforte, Strindbergs stjärna di Jan Wallentin nel 2010 (pubblicato in Italia da Marsilio con il titolo La stella di Strindberg) e Den andalusiske vännen di Alexander Söderberg nel 2012 (uscito per Piemme come La trafficante). Entrambi i libri furono venduti in oltre venti paesi sulla base di poche pagine di traduzione inglese e di una stringata sinossi, ed entrambi si rivelarono un fallimento commerciale, persino in Svezia, confermando il ruolo della serendipità nella nascita di un bestseller.

Nel caso del mercato scandinavo, poi, un ruolo di grande rilievo è giocato dagli agenti letterari (Berglund 2014 e 2017), soprattutto quelli svedesi, particolarmente attivi e aggressivi nelle loro strategie. A differenza di quanto avveniva già da tempo negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, in Svezia fino al 1990 le agenzie letterarie erano virtualmente sconosciute e le questioni di diritti (e denari) erano trattate direttamente da editori e autori. Il boom di vendite anche all’estero di molti autori di gialli ha improvvisamente cambiato gli equilibri in campo: da un lato gli scrittori (almeno quelli di successo) sentivano di avere maggior potere e pretendevano royalties più alte, tanto che alcuni di loro hanno fondato case editrici di proprietà (è il caso di Liza Marklund e Jan Guillou con la Piratförlaget e di Henning Mankell con la Leopard); dall’altro, il florido mercato dei diritti esteri ha portato alla nascita di sempre nuove agenzie letterarie – ben dodici tra il 2000 e il 2014 (Berglund 2014, 73) – attivando così una sorta di circolo virtuoso o vizioso, a seconda dei punti di vista. Il successo dei gialli nordici e la domanda di prodotti simili hanno cioè creato un nuovo mercato per gli agenti letterari, mentre questi a loro volta con la loro proattività hanno contributo al successo degli autori che rappresentavano.

Già nel 2000 Moretti affermava che waves are what markets do (Moretti 2000, 67: le onde sono un prodotto dei mercati), aggiungendo però che il trasferimento di modelli e contenuti dal centro verso la periferia era di gran lunga più frequente, mentre quello dalla periferia verso il centro era più raro, benché non del tutto insolito (Moretti 2003, 76s). Come accennato sopra, il caso del giallo nordico rappresenta proprio una di queste rare occasioni in cui l’onda nasce non dal centro ma dalla periferia. Anzi, secondo Berglund (2017, 85), le caratteristiche periferiche e “locali” del giallo nordico sono state usate come strumento di marketing. L’ambientazione “esotica” fatta di paesaggi innevati, boschi sconfinati, laghi inondati da luci boreali, ma anche di lampade di design e maglioni islandesi (elementi citati esplicitamente dallo studioso in riferimento alle serie televisive richiamate in apertura), è stata spesso indicata come uno dei maggiori elementi di fascino sul lettore italiano o comunque non nordico. Non a caso, come evidenzia Louise Nilsson nel suo saggio dedicato alla caratterizzazione in chiave nordica delle copertine delle edizioni straniere, anche quando l’edizione domestica fa ricorso a tropi generici della categoria (corpi di vittime, armi, sagome minacciose, paesaggi urbani), i grafici europei li sostituiscono con immagini che evocano immediatamente l’idea di nord (Nilsson 2017, 124).

Anche alcuni autori sembrano inserire appositamente nella trama elementi (strade, edifici, cibi, abitudini) che rendono ancora più evidente la specificità regionale delle loro storie. Per riuscire a penetrare dalla periferia verso il centro (e una volta che i diritti di un potenziale bestseller sono acquisiti da un editore di un paese centrale è automatico che vengano acquistati anche da una dozzina di paesi periferici o semi-periferici) sembra quindi necessario far ricorso alle proprie specificità locali, dando vita a una sorta di paradosso: una letteratura apparentemente molto locale scritta apposta per un mercato globale, ovvero una delle due strategie del “glocalismo” descritte da David Damrosch (Damrosch 2009, 109). Anzi, secondo Hedberg, il giallo è il genere in cui questa strategia si applica con maggior efficacia e naturalezza, combinando le cosmopolitan patterns del genere con i vernacular themes dell’ambientazione (Hedberg 2017, 21: strutture cosmopolite, temi locali). Malgrado il rischio che questo “mercato dell’esoticismo” trasformi i libri in una sorta di Disneyland culturale, resta il fatto che le nuove dinamiche editoriali basate sull’hype hanno profondamente alterato, anche se forse solo temporaneamente, le relazioni tra centro e periferia. Come afferma Karl Berglund nella conclusione del suo saggio, the periphery can end up being the center (Berglund 2017, 86: la periferia può ritrovarsi al centro).

Il ruolo delle traduzioni

È evidente che in questo movimento di testi, strutture e temi tra centro e periferia un ruolo fondamentale, oltre che dagli autori e dagli editori, è svolto dai traduttori. Pascale Casanova ha sottolineato la funzione di accumulation de capital della traduzione (Casanova 2002, 10: accumulazione di capitale): per entrare nel mercato mondiale della letteratura, gli scrittori delle aree dominées («dominate», termine con cui Casanova indica le lingue qui definite «periferiche» o «semi-periferiche», mentre utilizza il termine dominantes, «dominanti», per indicare quelle centrali) devono accumulare capitale simbolico traducendo dalle lingue dominanti. In effetti, come abbiamo visto, in una prima fase gli autori di gialli nordici sono spesso stati anche traduttori di romanzi polizieschi inglesi o americani, come nel caso dei whodunit dei primi del Novecento o dei police procedural degli anni sessanta. In una fase successiva, la traduzione da una lingua dominata a una dominante costituisce l’une des voies de l’autonomisation du champ mondiale: elle permet l’apparition et le renforcement de pôles autonomes dans les champs nationaux dominés (Casanova 2002, 13: una delle modalità di autonomizzazione del campo mondiale: consente che appaiano e si consolidino poli autonomi nei campi nazionali dominati): in altre parole, con la traduzione in una lingua centrale, l’autore periferico ottiene la “consacrazione” sia nel proprio campo nazionale sia, successivamente, in quello internazionale. Come già emerso dalle parole di Moretti riportate sopra, e come sottolinea anche Casanova, gli squilibri del campo letterario mondiale condannano gli scrittori delle lingue dominate alla “prigione” delle loro letterature nazionali: Pour un écrivain dominé, lutter pour l’accès à la traduction, c’est en effet lutter pour son exixtence même en tant que membre légitime de la république mondiale des lettres (Casanova 2002, 14: per uno scrittore dominato, lottare per l’accesso alla traduzione equivale di fatto a lottare per la propria esistenza di membro legittimo della repubblica mondiale delle lettere). È qui che si inserisce un ulteriore elemento che ha facilitato agli scrittori scandinavi, di gialli e non, l’accesso al mercato internazionale, ovvero un efficientissimo sistema di enti statali a sostegno delle letterature nazionali: il Norla in Norvegia, la Danish Arts Foundation in Danimarca e lo Swedish Arts Council in Svezia. Tutti questi enti sovvenzionano traduzioni all’estero, organizzano seminari e incontri per traduttori ed editori stranieri, producono materiale informativo e partecipano alle principali fiere mondiali. Insomma, costituiscono un forte elemento di facilitazione nella “lotta per l’esistenza” evocata da Casanova. Il caso italiano offre un esempio emblematico: malgrado l’aumento del numero di mediatori causato dalla convergenza tra aumento della domanda (da parte degli editori) e dell’offerta (di corsi universitari in lingue scandinave), la disponibilità di traduttori non basta a coprire le esigenze del mercato post-Larsson. Lo Swedish Arts Council, primo tra gli enti scandinavi, ha allora deciso di intervenire direttamente nella formazione, finanziando tra il 2013 e il 2016 alcuni seminari per giovani traduttori svedesi tenuti da colleghe più esperte (Laura Cangemi, Maria Cristina Lombardi e la sottoscritta; cfr. <https://strademagazine.wordpress.com/2013/03/20/seminario-di-specializzazione-di-traduzione-per-ragazzi-dallo-svedese/>,<https://rivistatradurre.it/2017/11/otto-traduttori-e-una-curatrice-in-cerca-di-una-voce/>,<http://www.assosvezia.it/la-svezia-italia-assegnato-il-premio-promotore-della-svezia-dellanno-2014/>), incrementando significativamente il numero di traduttori attivi.

Dopo lo tsunami

A quattordici anni dall’uscita svedese del primo romanzo di Larsson e dodici da quella italiana, possiamo presumere che lo tsunami sia passato. Nuovi romanzi scandinavi continuano a spuntare in libreria, compresa la prosecuzione della serie Millennium ad opera di un altro scrittore, David Lagercrantz, ma i numeri sono calati e ci si concentra per lo più su nomi noti. Tirando le somme, credo si possa concludere che, come ogni fenomeno acuto, il boom nordico innescato dal successo improvviso e imprevisto di Stieg Larsson ha avuto effetti positivi e negativi insieme: negativi per l’eccessivo peso degli elementi legati al mercato – di cui peraltro la “Larsson-mania” è stata più un effetto che una causa – e per la qualità non sempre eccelsa di ciò che è stato pubblicato nei momenti più frenetici; positivi perché attraverso la porta spalancata da Larsson è maturata una più vasta consapevolezza del valore e dell’interesse di una letteratura – o un gruppo di letterature – affascinante e preziosa come quella della Scandinavia. Come osservava un’agente letteraria citata da Karl Berglund, now it’s a hard fact that Swedish literature is out there in the world to stay (Berglund 2017, 87: ormai è un dato di fatto che la letteratura svedese ha un suo posto nel mondo, e intende mantenerlo).

Riferimenti bibliografici 

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