Ruggiero Romano, l’uomo delle «Annales» in Italia

di David Bidussa

Premessa

Circa trent’anni fa François Dosse ha ricostruito la metamorfosi dell’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales (d’ora in poi EHESS) – fino al 1975 VIe Section dell’École Pratique des Hautes Études (EPHE) – tra anni cinquanta e anni ottanta (Dosse 1987 e 1988) In quel quadro Ruggiero Romano (1924-2002) svolge un ruolo inizialmente centrale, poi sempre più marginale, come si vede in una raffigurazione grafica per cerchi centro/periferia (Dosse 1988, 168).

Per certi aspetti può dunque apparire una forzatura il titolo di questa comunicazione, perché, alla fine, il successo in Italia delle linee di ricerca dell’EHESS coincide abbastanza precisamente con questa progressiva marginalizzazione di Romano. Eppure, a mio avviso, proprio questo aspetto le rende ulteriormente interessanti, perché quel processo illumina anche delle strade e dei percorsi (di temi, di categorie, di pratiche…) che descrivono non solo la storia di un gruppo, ma anche alcuni dei vettori della storiografia italiana nella seconda metà del Novecento: di quelli che accoglie, ma soprattutto delle resistenze e, alla fine, dei percorsi mancati o non accolti e, forse, allusivi di uno dei motivi della sua crisi attuale (Pivato M., Pivato S. 2021, 18-30).

Ruggiero Romano (1923-2002) è infatti l’uomo delle «Annales» in Italia per un certo periodo, almeno fino al 1971. Allievo di Cantimori e Chabod, Romano si era trasferito a Parigi nel 1947, approdando alla Sorbona e inserendosi nel gruppo delle «Annales». L’occasione che sancisce il suo distacco è l’organizzazione del convegno per i settant’anni di Braudel, organizzazione sia pratica sia di impostazione scientifica. Romano vi svolge un ruolo marginale, rispetto agli assi strutturali proposti da chi organizza il Colloque, ovvero Jacques Le Goff e François Furet. A partire da quella data si consuma una rottura che in parte non emerge immediatamente, almeno in Italia, ma che è irreversibile. Editorialmente la rottura è segnata dalle due antologie edite per Laterza (Braudel 1973 e 1974) che di fatto consegnano alla discussione in Italia un profilo della scuola storiografica francese diverso da quello proposto da Romano e seguito fino a quel momento. Tuttavia, c’è una rottura cha avviene all’inizio di quel decennio, i cui gli effetti si vedranno alla fine, ma che è essenziale.

I temi della rottura

Nel 1983 l’università di Ginevra organizza un convegno per i sessant’anni di Ruggiero Romano. Nell’autoritratto che scrive per quell’occasione, lo studioso traccia un bilancio dell’operato del gruppo di cui sapeva essere stato parte ma di cui non si sentiva più di condividere le scelte. Vi tocca tutti i temi, sia quelli personali che quelli professionali: la sua biografia culturale, la sua storia professionale, i rapporti con Braudel; il suo giudizio sullo “stato di salute” dell’accademia, il senso del suo impegno editoriale come organizzatore di cultura e di opere complessive (Romano 1983a).

In quella occasione Romano, polemizzando con quanto sostenuto da François Furet (1981), ricostruisce l’inizio del suo lavoro con Febvre e Braudel e poi con Ernest Labrousse, Franck Spooner, Frederic C. Lane, Gino Luzzatto, Eliyahu Ashtor, Ugo Tucci, per fissare le questioni di metodo e di merito proprie del rapporto tra storia ed economia. Nel 1949, allorché era nato il Centre de Recherches Historiques, il progetto di lavoro a cui Braudel si dedicava non era fondato su uno schema teorico, bensì su uno pratico (Romano 1983a, 17-18). In altre parole, non si trattava di verificare un modello astratto, ma di descrivere e ordinare serie di dati su cui poi eventualmente costruire un profilo storico. Romano quindi torna a precisare come, a proposito del rapporto tra storia ed economia e della distinzione tra storia economica ed economia storica, la sua preferenza esclusiva era verso per la prima (Romano 1973, XXXIX).

Se volessimo limitarci a un riferimento filologico, potremmo osservare che Romano in questo passaggio non fa altro che citare Braudel indirettamente (Braudel 1950). In realtà, occorre sottolineare che non si limita a citarlo, ma usa questa citazione per polemizzare con lui e con gran parte dell’EHESS. Questa polemica ha il suo centro nell’indagine sulla rilevanza del “fatto economico”, una questione che Romano ritiene fondamentale perché definisce il ruolo dei comportamenti economici degli individui nella storia nel suo complesso, e quindi il nesso tra storia economica e storia politica e sociale. La rottura da parte di Romano con le linee di rinnovamento storiografico dell’EHESS (Revel 1996) era già avvenuta infatti all’inizio degli anni settanta quando erano usciti i tre volumi di Faire de l’histoire (Le Goff, Nora 1974) e riguardava: il metodo, gli oggetti e, infine, il concetto stesso di quantità, così come Furet lo definisce (Furet 1971).

Quella di Romano non è una impressione o una valutazione esagerata. Per comprenderla occorre considerare i due tratti costitutivi essenziali della storiografia che, partendo da Bloch e da Febvre, è assunta da Braudel e fatta propria da Romano. Ovvero: 1) la storia economica come disciplina costruttivista che inventa e crea le sue fonti, le analizza e le critica (il riferimento è al programma proposto da François Simiand nel 1903 – ora in Simiand 1960 – e poi significativamente riproposto nel 1960 da Braudel nelle «Annales»); 2) la scelta di realtà economiche e sociali antecedenti la rivoluzione industriale, ossia di realtà “lente”, come oggetto di studio. A quell’impianto, a cui aveva aderito e che aveva sposato all’inizio del suo “garzonato” parigino, Ruggiero Romano ritorna alla fine degli anni settanta, quando propone il progetto del confronto tra Europa e America in età moderna, tema che esula dalla trattazione di questo contributo ma che – come vedremo –va colto proprio in continuità con quella preoccupazione che lo aveva accompagnato nei trenta anni precedenti.

Ruggiero Romano, nel periodo precedente la rottura, non è stato solo uno storico economico e un organizzatore di cultura, un ideatore e regista di grandi progetti editoriali per la casa editrice Einaudi (La Storia d’Italia e gli Annali ad essa collegati, ma anche l’Enciclopedia, tanto per limitarsi a quelli più noti).  È stato anche un innovatore nella ricerca storica. Per farlo ha seguito due procedure: ha proposto sue ricerche, ma soprattutto ha stimolato e promosso la traduzione verso l’italiano di un’ampia produzione storiografica.

Qui non ricostruirò nel dettaglio questa attività, che necessita ancora di molti scavi e della messa in serie di molti documenti –  una prima lettura di insieme su tutto il periodo è stata delineata con precisione da Walter Barberis (2017) -, ma proporrò di considerare e di intrecciare una riflessione storiografica, in gran parte legata alla storia economica, o meglio alla storia dell’economia, con un’attività editoriale e di promozione di ricerche che ha avuto nell’America iberica uno scenario significativo. Mi concentrerò prevalentemente sugli anni sessanta, il periodo che precede la costruzione delle “grandi opere” einaudiane dirette e ideate da Romano. Di quel periodo vedremo il profilo delle proposte editoriali e la riflessione storiografica che muove la ricerca di Romano a fondamento delle proposte di traduzioni che propone tra anni sessanta e anni settanta a Giulio Einaudi editore. Quel profilo ha poi un momento significativo (vi accennerò solo nella parte conclusiva) a partire dai temi e dai problemi che solleva con l’annuario «Nova Americana» (n. 1, 1978 – n. 5, 1982), pubblicato da Einaudi e diretto da Romano insieme con Marcello Carmagnani. Quei temi vengono condensati in un primo saggio storiografico su che cosa si debba intendere per feudalesimo e se questa sia una condizione specifica del quadro europeo o se invece sia estendibile anche ad altri contesti geoumani (per esempio l’America iberica) (Romano 1984). Le questioni vengono poi riprese e riarticolate nel suo saggio comparativo sul Seicento americano e il Seicento in Europa (Romano 1992). Si tratta non solo di questioni oggetto del suo laboratorio di ricerca bensì di temi volti a definire un profilo storiografico intorno a cui costruire un gruppo di lavoro.

Ruggiero Romano nel laboratorio editoriale di Einaudi

L’avvio del rapporto tra Ruggiero Romano e la casa editrice Einaudi, nel 1954, avviene ancora in maniera incerta. Romano è, agli occhi dei consulenti di storia di Einaudi (Cantimori soprattutto), un uomo di Braudel e rappresenta una linea storiografica guardata con sospetto, con diffidenza, come Romano non manca negli stessi mesi di constatare (Romano 1955).

Si tratta di una diffidenza di lunga data: risale al 1949. Il confronto a distanza è soprattutto con Delio Cantimori, il quale allora non solo aveva dato parere contrario alla versione verso l’italiano de La Méditerranée (Cantimori 1991, 795-796), ma si era espresso negativamente anche sulla proposta di Norberto Bobbio di una edizione a cura di Ruggiero Romano dei Pensieri politici di Vincenzio Russo (Mangoni 1999, 588-590). Il suo giudizio negativo riguardava sia un saggio, ancora inedito (uscirà tre anni dopo: Romano 1952), che Romano aveva appena scritto su Russo e al quale Bobbio affidava il compito di introdurre i Pensieri politici, sia, più in generale, sulla figura dello stesso illuminista napoletano. Cantimori infatti non riteneva Russo sufficientemente significativo da pubblicare i suoi Pensieri in volume autonomo e nemmeno da prendere in considerazione nella storia economica e sociale del secondo Settecento napoletano. (Romano potrà pubblicare quel suo testo del 1952 solo a metà degli anni settanta – Romano 1976, 267-317). Per Cantimori, infatti, Russo è proponibile solo se inserito all’interno dei più vasto gruppo dei giacobini italiani, come dimostrerà poi con l’antologia Giacobini italiani curata per Laterza insieme con Renzo De Felice (1956). E’ questo uno dei tanti segnali che confermano a Romano che in quegli anni cinquanta in Italia non ci sia ancora spazio non solo per Braudel, ma nemmeno per ciò che rappresenta l’EPHE; e gli confermano che, nello specifico, la Einaudi non è il luogo dove poter provare a inserire temi, problemi e proposte di ricerca o progettare piani editoriali volti a innovare la proposta storiografica.

Tuttavia Romano avanza alla casa editrice un’altra proposta: un’antologia degli scritti di Lucien Febvre. Lucien Febvre “italiano”, fino a quel momento, in libreria è presente solo con la traduzione di Giorgio Zampa della sua vecchia monografia su Martin Lutero, risalente al 1928 (Febvre 1949). Nell’elenco di titoli che Ruggiero Romano propone a Paolo Serini, responsabile per la produzione storiografica della casa editrice, l’11 maggio 1954 (AE, b. 178/1, f. 2611/1) compaiono i molti laboratori storiografici di Lucien Febvre: quelli rivolti alla definizione di un lessico storiografico per alcuni concetti su cui pensare la lunga durata (ovvero i saggi sul concetto di lavoro, sulla individualità, sull’idea di civiltà, sulla storia delle tecniche); quelli relativi al Rinascimento (con particolare attenzione al tema dell’etica, ma anche della mentalità, della incredulità, con le pagine su Margherita di Navarra e su Rabelais), per finire col tema delle ricerche collettive e dunque dell’avvenire della produzione storiografica.

Solo in parte questi aspetti confluiranno dieci anni dopo nell’antologia che per la prima volta in Italia propone una porzione della produzione storiografica di Lucien Febvre (Febvre 1966). E mancheranno ancora, o comunque solo con difficoltà arriveranno, i temi legati alle ricerche di geografia umana (Febvre 1922), che in Italia verranno pubblicati solo nel 1980 (per poi scomparire e mai più essere riproposti) o allo studio sui confini, che Febvre aveva esposto per la prima volta già alla fine degli anni venti con uno studio (Febvre 1928), ancora oggi inedito in Italia, in base al quale aveva poi costruito con il geografo Albert Demangeon la ricerca sul Reno (Febvre, Demangeon 1935), che in Italia arriverà solo nel 1998 (Febvre 1998).

Il progetto riguardante Lucien Febvre indica che Romano avverte la necessità di immettere nell’ambito del confronto tra storici in Italia temi, procedure, campi di indagine sostanzialmente ancora inesistenti o poco articolati. E’ il profilo disciplinare che in gran parte si ripete con il progetto di storia dei prezzi, per il quale il primo suggerimento di Romano è quello di riprendere in mano un testo di Luigi Einaudi (1940, poi in Romano 1967, 507-517). Già in una lettera del 19 marzo 1955 a Serini, Romano definisce quel testo fondamentale per un suo studio in corso. Quando, nel 1961, torna sul tavolo editoriale la costruzione dell’antologia di storia dei prezzi (Romano 1967), quel saggio einaudiano ne risulta essere ancora il testo generativo.

Ecco quanto dichiarava Luigi Einaudi:

Lo storico dell’economia che cosa chiede invero allo storico dei prezzi? Egli non si interessa molto di conoscere per sé le variazioni nel tempo del rapporto fra un quintale di frumento e il grammo d’argento fino. […]. Quel che importa soprattutto allo storico dell’economia, è sapere se mentre il prezzo del frumento variava […], il prezzo dell’acciaio variava; e come variavano i prezzi delle scarpe dei vestiti e degli altri beni e servizi acquistati dall’uomo. Lo storico dell’economia a ciò si interessa, perché la nozione gli offre modo di conoscere come siano variati i gusti degli uomini, come siano stati diversamente superati gli ostacoli che la natura oppone all’acquisto delle diverse specie di beni, come lo spirito inventivo e gli avanzamenti tecnici abbiano favorito, diminuendo i costi relativi, la produzione del frumento, ovvero quella dell’acciaio o delle scarpe o della carta. […] Quel che, insomma, cerca lo storico non è la nozione del variabile rapporto fra l’unità di misura di tutti gli altri beni e servigi e l’unità di misura del bene argento; ma è la nozione del variabile rapporto, nell’apprezzamento dei contemporanei, di tutti i beni e i servigi fra loro (Einaudi 1940, 48-49; poi in Romano 1967, 513-514).

È chiaro dove sta il punto della riflessione di Einaudi che preme a Romano: da una parte la connessione tra economia naturale ed economia monetaria, dall’altra una suggestione che si incrocia con quanto Karl Polanyi sta scrivendo in quegli anni (Polanyi 1947 e 1957). Di Polanyi infatti Romano propone già nel 1961 di tradurre The Great Transformation (1944), testo che in Italia arriverà solo nel 1974, sempre da Einaudi (Polanyi 1974). Ma anche, insieme a quella dei prezzi, una storia dei salari (su cui Romano costruisce una sessione di discussione alla III Conferenza internazionale di storia economica, Monaco 23-27 agosto 1965 – vedi Il problema 1966), ove si intende il salario non tanto come forma del contratto individuale, bensì come reddito famigliare: a contare sono le relazioni economiche, i marginali e i vagabondi, le forme dello scambio, le relazioni di dipendenza personale.

A partire dal 1962, sulla scorta della storia dei prezzi, cominciano a presentarsi sul tavolo di Giulio Einaudi editore altri autori proposti da Ruggiero Romano. Ernest Labrousse, prima di tutto. Il testo proposto è la relazione al X Congresso internazionale di scienze storiche (Labrousse 1955), che in Italia non avrà mai spazio, tant’è che bisognerà attendere più di trenta anni perché finalmente anche qui inizino a circolare almeno i saggi fondamentali dello storico economico francese (Labrousse 1989). Altre proposte hanno per oggetto il saggio sulla storia dei prezzi a cui Braudel e Spooner stavano  attendendo allora, e che uscirà in prima edizione nel 1967, e quello di Wilhelm Abel sulle crisi agrarie (Abel 1935).

Il discorso riprende dunque con la costruzione del volume sulla storia dei prezzi (Romano 1967). Il contratto con Einaudi è del febbraio 1961 e l’indice del volume viene presentato alla fine del mese e accettato dall’editore poche settimane dopo (AE, b. 178/1; f. 2611/1). Alla fine del 1962 Romano consegna il volume. Dovrà attendere cinque anni perché esca in libreria (forse a tutto questo non è nemmeno estranea la morte di Cantimori). Tuttavia, da quel momento può dirsi aperto il laboratorio Ruggiero Romano presso Einaudi.

Romano lavora in due direzioni. La prima direzione è favorire una produzione di storia economica come storia dell’economia vista attraverso le categorie dell’azione economica, secondo la lezione di Gino Luzzatto (1936 e 1956). La seconda è proporre la traduzione di testi che hanno la funzione di allargare e innovare la storiografia.

Per quanto riguarda la prima direzione ciò significa classificare l’economia per categorie quali, per esempio: «Politica doganale», «Agricoltura», «Storia delle dottrine economiche», «Statistica economica», «Congiuntura, crisi», «Trasporti», «Ferrovie», «Assicurazioni», «Politica agraria», «Teoria della moneta», «Lavoro», «Migrazioni», «Bilancia dei pagamenti», «Statistica economica», «Economia di guerra», «Prezzi», «Dinamica economica», «Statistica demografica». Sono questi i temi su cui comincia già nel 1963 a lavorare presentando nel giugno del 1963 a Corrado Vivanti, che è il suo interlocutore nella casa editrice, un piano editoriale costituente il primo schema di lavoro che conduce alla definizione della Storia d’Italia, soprattutto ai temi e ai problemi che costituiranno il quinto volume dell’opera (I documenti) (AE, b. 178/1, f. 2611/1). Di qui discendono le linee di costruzione del progetto editoriale, che in concreto riguardano autori e testi che si occupano di tre contesti diversi:

Francia e Italia tra XIV e XVIII secolo;

Sviluppo economico industriale tra XV e XVII secolo in Europa;
America iberica (ovvero da Messico a Terra del Fuoco nel periodo storico aperto dalla Conquista).

Gli autori che Romano promuove sono molti. Ci sono nell’archivio della casa editrice Giulio Einaudi 194 sue schede di lettura in cui si propongono libri, collazioni di testi, profili di autori. Ne ricordo qui solo quelli che Romano propone progressivamente a partire dal 1963 e che sono stati tradotti in Italia presso case editrici diverse ma spesso su iniziativa diretta sua:

Reiner Tom Zuidema, The Ceque system of Cuzco. The social organization of the capital of the Inca, Leiden. E.J.Brill, 1962 (ed. it. Reiner Tom Zuidema, Etnologia e storia, Cuzco e la struttura dell’impero inca, trad. di Antonio Marazzi e Maria Vittoria Malvano Introduzione di Nathan Wachtel, Einaudi «Nuova Biblioteca Scientifica», 1971);
Joseph A. Schumpeter, Business Cycles. A Theoretical, Historical and Statistical Analysis of the Capitalist Process, abridged, with an introduction, by Rendigs Fels, New York McGraw-Hill Book Company, 1964 [I ed. 1939] (ed. it. Joseph Schumpeter, Il processo capitalistico. Cicli economici, introduzione di Augusto Graziani, trad. di Giovanna Ricoveri, Torino, Boringhieri, 1964);
Jean-Pierre Vernant, Les origines de la pensée greque, Paris, Presses universitaires de France, 1962 (ed. it. Jean-Pierre Vernant, Le origini del pensiero greco, trad. di Fausto Codino, Roma, Editori Riuniti, 1976);
Celso Furtado, Formação economica do Brazil, Rio de Janeiro, Editôra Fundo de Cultura, 1959 (ed.it. Celso Furtado, Formazione economica del Brasile, prefazione di Ruggiero Romano, trad. di Leone Iraci, Torino, Einaudi «Piccola Biblioteca Einaudi»)
Barrington Moore Jr., Social origins of dictatorship and democracy, Boston, Beacon press, 1967 (ed. it. Barrington Moore jr, Le origini sociali della dittatura e della democrazia. Proprietari e contadini nella formazione del mondo moderno, trad. di Domenico Settembrini, introduzione di Ruggiero Romano, Torino, «Einaudi Paperbacks»,  1969);
Alfred Métraux, Les Incas, Paris, Ed. du Seuil, 1962 (ed. it, Gli Inca, introduzione di Ruggiero Romano, traduzione di Mariolina Romano, Torino, «Einaudi Paperbacks», 1969);
Maurice Godelier, Rationalité et irrationalité en économie, Paris, Maspero, 1966 (ed. it Razionalità e irrazionalità nell’economia: logica dialettica e teoria strutturale nell’analisi economica, introduzione e traduzione di Alessandro Casiccia e Mario De Stefanis, Milano, Feltrinelli «I fatti e le idee,» 1970);
Tulio Halperin Donghi, Historia contemporánea de América Latina, Madrid, Alianza Editorial, 1969 (ed. it., Storia dell’America latina. tr. di Cesare Colombo e Gabriella Lapasini, Torino, «Piccola Biblioteca Einaudi», 1968);
Karl Polanyi, The Great Transformation, New York-Toronto, Farrar & Rinehart, 1944 (ed. it. La grande trasformazione, introduzione di Alfredo Salsano, tr. di Roberto Vigevani, Torino, «Einaudi Paperbacks», 1974);
Karl Polanyi, Primitive, archaic and modern economies, Garden City, N.Y, Anchor Books, 1968 (ed. it. Karl Polanyi, Economie primitive, arcaiche e moderne, tr. it. di Nanni Negro, Torino, «Einaudi Paperbacks», 1980);
Jacques le Goff, La civilisation de l’Occident médiéval, Paris, Arthaud, 1964 (ed. it. La civiltà dell’Occidente medievale, trad. di Adriana Menitoni, Firenze, Sansoni «Le grandi civiltà», 1969);
José Luis Romero, Latinoamérica: las ciudades y las ideas, Buenos Aires, Siglo XXI Editores, 1976 ( tr. it. La città e le idee. Storia urbana del nuovo mondo, trad. di Marco Cipollini, Guida, Napoli 1989 );
Frederic Chapin Lane, Venice. A maritime republic, Baltimore, Johns Hopkins University Press, 1973 (Lane 1978);
Witold Kula, Teoria ekonomiczna ustroju feudalnego. Próba modelu, Warszawa, Państwowe Wydawnictwo Naukowe, 1962 (ed. it. Teoria economica del sistema feudale. Proposta di un modello, tr. di Benedetto Bravo e Krzysztof Zaboklicki, Torino, «Piccola Biblioteca Einaudi», 1970)
Emmanuel Le Roy Ladurie, Histoire du climat depuis l’an mil, Paris, Flammarion 1967 (Le Roy Ladurie, 1982);
Nathan Wachtel, La vision des vaincus. Recherches sur les sociétés indigènes d’Amérique au temps de la Conquête espagnole, 1530-1570, Paris, Gallimard, 1971 (ed. it. Nathan Wachtel, La visione dei vinti. Gli indios del Perù di fronte alla conquista spagnola, trad. di Gabriella Lapasini, Torino, «Einaudi Paperbacks», 1977);
Paul Bairoch, Révolution industrielle et sous-développement, Paris, SEDES, 1963 (ed. it. Rivoluzione industriale e sottosviluppo, prefazione di Ruggiero Romano, tr. di Alessandro Fontana, Torino, «Nuova Biblioteca Scientifica Einaudi», 1967).

Da dove nascono queste proposte? Nell’ottobre del 1966 Romano consegna a Giulio Einaudi e a Corrado Vivanti, nel momento stesso in cui inizia a prendere corpo e fisionomia quella che poi sarà la Storia d’Italia, il progetto di una collana di storia economica (AE, b. 178/1, f. 2611/2). La collana in quanto tale non avrà mai una sua realizzazione, ma va rilevato che una parte delle questioni indicano il percorso che Romano avrebbe voluto intraprendere in Italia, sulla scorta delle suggestioni di tema, di metodo ma anche di disciplina su cui si è costruita la sua esperienza alla VIe Section dell’EPHE tra 1950 e 1965 (Romano 1995, pp. 67-87).

La collana dovrebbe presentare al pubblico italiano (e dietro il pubblico italiano è possibile intravedere anche talune élites di lingua spagnola) le opere europee ed extra-europee che, nel campo della storia economica, si presentano all’avanguardia ovvero lavori che, divenuti ormai classici, conservino ancora una fresca vitalità. Dovrebbe trattarsi di:

storie economiche di paesi,
storie economiche di periodi storici;
storie economiche di settori economici;
storie economiche di “problemi” economici ed anche non economici (politici, culturali, etc., ovviamente collegantisi per qualche aspetto con l’economia).

A questa prima griglia, Romano pensa di aggiungere poi

a) Tutte le opere che, pur essendo strettamente di tema economico presentano tuttavia delle solide basi e dei forti interessi storici (così per esempio Schumpeter, Business Cycles)
b) Saggi di storia delle dottrine economiche;
c) Taluni – rari – libri di sociologia e antropologia economica.

Infine aggiunge anche opere che, pur non essendo di storia economica stricto sensu, si ricollegano, per avvicinamenti personali e metodologici degli autori, a posizioni d’avanguardia nella storia economica (p.e, Le Goff 1964, che non riesce a far tradurre per Einaudi).

I libri prescelti non avrebbero mai carattere monografico. Ogni volume sarebbe preceduto da un’introduzione per “collocare” autore ed opera; in taluni casi si potrebbero ripubblicare in appendice le due o tre recensioni più significative apparse in merito all’opera presentata.

Vanno rilevati gli scopi che Romano affida a questa proposta editoriale. Lo studioso sottolinea che «una qualsiasi collana di pubblicazioni non può essere vista prescindendo dal pubblico al quale essa intende rivolgersi». Pertanto precisa che gli scopi di questa «Collana di storia economica» debbono essere fissati essenzialmente in funzione del pubblico italiano. Un pubblico per il quale il vero problema è quello dell’affermarsi d’una disciplina con le sue tecniche, le sue possibilità di sviluppo, le sue capacità di “suggerire”. Questo perché, sostiene Romano, seguita a mancare il senso della storia economica nelle sue più recenti formulazioni e, per mettere in luce questa carenza, afferma che, a suo avviso, «l’italiano medio sa leggere le pagine politiche del suo quotidiano anche perché a scuola ha studiato la storia politica (e solo politica e nient’altro che politica), ma non sa leggere la pagina economica di quello stesso giornale anche perché la storia economica seguita ad essergli estranea».

Perciò, sottolinea, per quanto sia legittimo supporre che questa collana potrà costituire una sorta di polo di sviluppo, mettendo a disposizione di gruppi di studiosi opere che fino ad oggi sono sfuggite sia al grosso pubblico che agli stessi specialisti, poi si tratta di costruire un’“operazione editoriale”

a) presentando opere capaci d’introdurre – o, almeno d’estendere – tematiche nuove;
b) spezzando, per la storia economica strettamente intesa, taluni monopoli intellettuali, detenuti da gruppi (in particolare quello cantimoriano che si oppone alla categoria della “rifeudalizzazione”) che non è certo possibile – da nessun punto di vista – considerare all’avanguardia;
c) presentando infine tecniche nuove (di statistica, archeologia, pedologia, aerofotografia, etc.) capaci di risposte nuove a problemi nuovi e vecchi.

Se si guardano gli autori suggeriti, complessivamente ci troviamo di fronte allo stesso quadro e allo stesso bilancio che Romano proporrà ai suoi uditori a Ginevra nel 1983. Editorialmente essi corrispondono ai contenuti di una collana che avvia in Einaudi ma di cui escono in tutto sei titoli. La collana è «Nodi», e lì si propongono alcune discipline connesse alla storia come l’antropologia e l’etnologia. Inaugurata con una raccolta di scritti di Karl Polanyi (1977), vi confluiscono alcuni autori che hanno fatto il loro ingresso in Einaudi attraverso l’esperienza dell’Enciclopedia (per esempio José Gil, che nell’enciclopedia Enciclopedia stende le voci Corpo, Costituzione, Giustizia, Nazione, Potere, Responsabilità).

La crisi della Giulio Einaudi editore obbliga Romano a chiudere quella collana. Su quello stesso cantiere continuerà a lavorare, ma il flusso editoriale che ne aveva garantito i percorsi, anche se accidentati, nei quindici anni precedenti di fatto si chiude. Quella che era stata la sua funzione iniziale, all’ingresso in Einaudi, è ora proposta e “gestita” da altri storici (da Le Goff in prima battuta, e poi in parte da Pierre Nora), in corrispondenza con quel processo di confronto e di sotterranea disputa per l’eegemonia culturale che si consuma tra anni settanta e primi anni ottanta, in seguito al quale Ruggiero Romano si trova sempre più emarginato all’interno dell’EHESS. Irrompono infatti nuove categorie: l’immaginario, la storia del clima, la “storia immediata”; e lo spazio geografico della storia è in gran parte rappresentato dall’Europa. Scompare l’America iberica, che invece a lungo è stato il terreno di riflessione di Romano, mentre un posto sempre meno rilevante hanno i diversi percorsi di indagine intorno all’azione economica o all’antropologia economica.

Il suo cantiere personale rimane aperto, però. Troviamo le linee di ricerca di Romano ancora nel progetto di «Nova Americana», l’annuario di storia dell’America iberica da lui diretto, insieme con Marcello Carmagnani (in tutto ne usciranno 5 fascicoli) tra 1978 e 1982 per la Einaudi. In quella sede nascerà la proposta intorno alle ricerche di John Murra sull’economia andina, o il progetto di ricerca su produzione, distribuzione e consumo della coca (Romano 1981, 1982 e 1983b). Più in generale, Ruggiero Romano inaugura, a partire da «Nova Americana», un nuovo percorso di storia economica che però non sviluppa con Einaudi, ma troverà forma solo in parte in Italia attraverso l’impegno di Carmine Donzelli, prima presso Marsilio e poi con la propria casa editrice. Di quel percorso, per esempio, in Italia non è arrivata finora tutta l’indagine che in parte Romano ha condensato nel volume da lui curato con Ugo Tucci su economia naturale ed economia monetaria (Romano, Tucci 1983) e in quello dedicato al tema della pseudo moneta (Romano 1998a), da cui pure aveva preso origine la silloge sulla storia dei prezzi nel 1967.

Tornano gli autori di cui Ruggiero Romano non è riuscito a promuovere l’edizione italiana – Alphonse Dupront e, soprattutto, Labrousse – ed entrambi rispondono alla logica di contrastare la linea, che lui chiama della «Storia novella» (Romano 1995), promossa da Le Goff-Nora a partire dagli anni settanta. Una parte di quella stessa funzione di promozione in materia di storia economica e di America iberica Romano la riprende nel suo periodo messicano. Si possono portare a esempio le suggestioni e le letture proposte tanto con il confronto intorno alle dinamiche della crisi del Seicento, sintetizzate in Opposte congiunture (Romano 1992), quanto con l’analisi della vita economica delle aree coloniali di dipendenza spagnola e portoghese, con particolare attenzione all’America, un testo che verrà pubblicato postumo (Romano 2006): entrambi di fatto passano sotto silenzio.

Conclusione

Nei fatti quel cantiere che aveva ancora molte suggestioni (di temi come di ricercatori) si interrompe lì. E’ significativo del resto che l’ultimo contributo che di Romano esce in Italia non susciti risposte. Lo ricordo qui proprio per sottolineare quel discorso sospeso. All’inizio del 1998 Ruggiero Romano pubblica su «Belfagor» un saggio in cui presenta cinque temi di ricerca storica. Quei temi, a suo giudizio, sono rilevanti perché indicano il precario “stato di salute” della storiografia. Si tratta di: feudalità; crisi; città; sviluppo/crescita; protoindustrializzazione (Romano 1998b).

Il primo tema rinvia a un silenzio sul problema della transizione; il secondo richiama il venir meno di una storia dei prezzi e dunque si sofferma su un vuoto sia dell’idea di congiuntura sia di quella di ciclo economico; il terzo sottolinea la sopravvenuta irrilevanza che avrebbe il nesso città-campagna negli studi economici; il quarto denuncia l’incertezza nella storiografia dominante tra crescite numeriche di dati economici e comprensione di che cosa rappresenti un articolato processo di sviluppo; il quinto, infine, indica come a quell’incertezza si accompagni anche la confusione concettuale tra il termine «industria rurale» – che secondo Romano indica un’attività complementare per le popolazioni contadine per le quali centrale rimane l’attività agraria – e il termine «protoindustrializzazione», con il quale egli ritiene si debba intendere regressione dell’attività agraria di fronte all’avanzare dell’attività produttiva industriale.

Romano compone quelle pagine soprattutto per sottolineare lo stato di crisi in atto nella ricerca storica e, in particolare, nell’ambito della storia economica (Romano 1998b, p.54). Che cosa deve essere la storia economica?, si chiede. E così risponde in un testo di poco successivo:

Il solo e semplice trattamento della storia dei fatti economici? Sicuramente […] Ma deve ridursi a questo la storia economica? Non credo. Lo studio delle strutture economiche (di produzione, distribuzione, relazione) costituisce certamente un presupposto, ma in nessuna maniera deve essere fine a se stesso; solo un presupposto per la osservazione degli aspetti economici delle strutture sociali, politiche, religiose, giuridiche e culturali. Che piaccia o no c’è un collegamento (imbricación) tra questi diversi aspetti e la economia. Intendiamoci. Dico collegamento e non egemonia di una struttura sulle altre. […] Il principale obbiettivo della nostra disciplina deve essere la ricostituzione dei meccanismi del fatto economico, il quale non ha meno dignità del fatto politico (Romano 1999, 18 e 20).

Ruggiero Romano proseguiva così la stessa battaglia culturale e storiografica che era all’origine di quel progetto di innovazione, «pensando libri», che si era aperto a Torino quasi quaranta anni prima.

Fonti archivistiche e bibliografia

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