di Pietro Deandrea
autore di Per terra e per mare. Poesie per chi è in cerca di rifugio, di AA. VV., Leicester, CivicLeicester, 2020 (ed. orig. Over Land, Over Sea: Poems for Those Seeking Refuge, a cura di Kathleen Bell e altri, Nottingham, Five Leaves, 2015)
Da qualche anno organizzo un seminario facoltativo per gli studenti del corso di letteratura inglese magistrale in traduzione, al Dipartimento di lingue dell’Università di Torino. Il relativo corso è già piuttosto seminariale, visto che la traduzione letteraria non si può insegnare in modo completamente frontale e necessita di riflessione collettiva attraverso uno scambio reale (cosa che la didattica a distanza non potrà mai davvero sostituire). Ma il seminario lo batte: ci si mette a tradurre il testo prescelto come se dovesse uscire domani, ma su certe parole si rimane a discutere anche per mezzora.
Dopo i pochi incontri, per dare maggiore concretezza al lavoro, sono determinato a far sì che il testo venga pubblicato davvero, menzionando tutti quelli che vi hanno lavorato. In questo modo, e con il supporto del Dipartimento, sono finora usciti un testo teatrale di Abi Morgan e una raccolta poetica di Moniza Alvi. Su Per terra e per mare ho lavorato con studenti (92 in tutto) nel 2017 e nel 2019, nell’ambito del progetto internazionale Journeys in Translation. Scopo del progetto era di sensibilizzare scrittori, traduttori e lettori del testo originale sul tema dei profughi, cercando di far tradurre la raccolta in più lingue possibili.
La cornice del progetto era proprio quello che stavo cercando: anche per la mia formazione postcolonialista, volevo un testo capace di far emergere l’aspetto più umanamente articolato del fenomeno migratorio, oltre le coperture mediatiche inevitabilmente riduttive. E tutto ciò attraverso la riflessione su varie sfumature linguistiche delle poesie.
La traduzione di but one country («un unico paese») di Rod Duncan è stato un inizio decisamente in salita; se la prima metà della poesia dà voce a uno xenofobo, nella seconda i versi vengono disposti esattamente in ordine capovolto per rivelare la prospettiva di una persona solidale. In questa struttura a specchio ogni modifica traduttiva creava scompiglio nell’altra metà che doveva essere identica ma capovolta – spostare costantemente il proprio punto di vista non è forse virtù cardinale del traduttore letterario, oltre che dell’essere umano?
Con altre poesie abbiamo apprezzato il valore (spesso amaramente ironico) di una metafora estesa, e la necessità di mantenerla in traduzione. Ad esempio, il vocabolario del turismo per la migrazione forzata: The fare quoted included all taxes, gratuities and bribes, / Port transfers, a shared cabin and a swift pantechnicon to Calais («La tariffa prevista include ogni tassa, indennità e mazzetta, / Transfer al porto, cabina condivisa e un rapido camion traslochi per Calais»; Richard Devereux, Promises). Oppure, l’ospitalità di casa per l’accoglienza ai confini: We are sorry for our neighbours, / those of them that do not know / the way to show a welcome; / they have read the book of doors / but forgotten how they open («Ci dispiace per i nostri vicini, / per quelli che non sanno / come dare il benvenuto; / hanno letto il libro delle porte / ma dimenticato come si aprono»; Lydia Towsey, Come In). Inoltre il lavoro su una raccolta di autori vari ha portato a misurarsi con svariati registri: la poesia narrativa e quella giornalistica, per cui il lirismo in traduzione è reato; la filastrocca di Joanne Limburg So Many Set Out («Così tanti in cammino»), con i suoi vincoli di rima e ritmo, e la sua triste conclusione: A hundred were stories / with no proper ending, / thousands undone, and a million pending («Cento erano storie / senza il finale atteso, / migliaia distrutte, e un milione in sospeso”).
Indipendentemente dal successo di queste traduzioni, sia quelle svolte in gruppo sia le altre che ho tradotto io per completare il volume, in questi seminari ho visto quanta empatia sia necessaria per raggiungere certe profondità e per trattare tematiche complesse come il fenomeno delle migrazioni; per citare Patrizia Cavalli, «Pensiero che non sente / non pensa veramente.»