Voci da Tunisi

UNA VERA LETTERATURA, NON SEMPLICE DOCUMENTO

di Yasmina Melaouah

Nel dicembre 2010 il corpo di un ragazzo brucia sulla piazza di Sidi Bouzid. Con quei resti ustionati che impiegano quindici giorni a morire comincia tutto. L’hanno chiamata la «rivoluzione dei gelsomini», dopo che il 14 gennaio 2011 il popolo tunisino ha cacciato a grido di dégage! (letteralmente: «smamma!») il presidente Ben Ali, l’ex-poliziotto   soprannominato président bac moins trois per la modestissima statura intellettuale e culturale. L’hanno chiamata «primavera araba», quando a febbraio e poi a marzo la rivolta è dilagata e si è estesa all’Egitto e alla Siria.

Ma tutto è cominciato lì, nel paese più piccolo e apparentemente più silenzioso del Maghreb, il paese in cui il lungo sonno della dittatura di Ben Ali sembrava avere tacitato ogni voce – politica, sociale, e letteraria. Proprio la vocazione realistica, l’attenzione ai problemi sociali e alla situazione politica che caratterizzava la narrativa della Tunisia indipendente – si vedano per esempio i racconti di Tahar Guiga (2000) – spiega forse la lunga latitanza del romanzo e in genere della prosa dopo una breve stagione iniziale: impossibile lavorare sulla forma romanzo quando la penna non può affondare liberamente nelle pieghe della società né descriverne i cambiamenti talora traumatici o le storture, quando la scrittura non può farsi fedele sismografo dell’io al cospetto del mondo.

Invece l’avvio di un processo democratico, con l’approvazione nel 2014 di una nuova costituzione – considerata oggi la più avanzata del mondo arabo – e il timidissimo emergere di una pur solida società civile hanno prodotto anche sul piano editoriale una piccola ma significativa primavera.

Senza alcuna pretesa di esaustività, con una breve passeggiata virtuale e parzialissima, vogliamo quindi dare alcuni accenni a quanto lì accade sul piano editoriale e alle voci narrative che forse meriterebbero da parte nostra uno sguardo meno distratto. Uno sguardo che – relativamente ai testi lì prodotti in lingua francese – sappia inoltre superare l’ormai obsoleta categoria di «francofonia» per leggere anche la letteratura tunisina nell’ottica più aperta di una «letteratura mondo» (Le Bris 2007). L’attenzione recente di alcuni editori italiani è un primo passo che si spera possa incoraggiare anche traduttori francesisti e arabisti a volgere l’occhio dalle parti di Tunisi, giacché in quel laboratorio qualcosa si muove e ci interpella.

Sono voci che parlano in arabo o in francese, ma che portano le tracce di una più ampia eredità multiculturale, un vasto patrimonio di influenze quasi unico nel Mediterrano, fatto di retaggio punico e berbero, romano, ebraico e arabo-musulmano, francese (il protettorato inizia nel 1881 per concludersi nel 1956), ma anche genovese e siciliano – la petite Sicile è infatti uno dei soprannomi della cittadina costiera di La Goulette, una specie di periferia portuale di Tunisi popolata sin dalla metà dell’ottocento da una consistente comunità italiana, perlopiù di origine siciliana (Pendola 2000) e sarda. Non sorprende quindi che partire dagli anni quaranta del Novecento, culturalmente la Tunisia sia, insieme al Libano, una delle sintesi più riuscite tra Oriente e Occidente (Ghazi 1970): alle traduzioni dal francese, si affiancano in quegli anni apporti orientali in una feconda simbiosi nella quale la scottante questione della scelta tra l’arabo e il francese come lingua letteraria non ha i contorni laceranti e l’enorme peso politico assunti nella vicina Algeria. Anche dopo la fine del protettorato francese, la formazione rimane infatti biculturale e bilinguistica, il retaggio plurale non è stato rimosso.

Dal lungo sonno degli ultimi decenni si risveglia quindi in tempi recenti una letteratura in cui hanno incubato semi antichi, tradizioni e culture, una insopprimibile vocazione civile e insieme il desiderio di uno svecchiamento non solo dei temi ma anche delle forme e dei generi. Ci soffermeremo in particolare su tre romanzi recentemene tradotti in italiano, la cui tenuta letteraria attesta una compiuta maturità della recente narrativa tunisina, e dedicheremo anche qualche parola al panorama editoriale del paese, quale stimolo per traduttori e editori a gettare uno sguardo in quel che si muove sul nostro più prossimo vicino del Maghreb.

Racconta una tradizione di dialogo e di pluralità di voci il ricco e bel catalogo della più interessante casa editrice tunisina, Elyzad (http://www.elyzad.com), fondata nel 2005 da Elisabeth Daldoul all’insegna dell’apertura agli influssi provenienti tanto dal nord del Mediterraneo quanto dal resto del continente africano: dialogo, scambio, e soprattutto investimento sulla forma romanzo, il genere più aperto, dalla vocazione più ibrida, più degli altri capace di registrare il pulsare del presente e non per caso quindi protagonista di una nuova primavera dopo i decenni in cui erano soprattutto la poesia e ancor più le scienze umane ad accaparrare l’interesse dell’esigua platea di lettori tunisina.

Spiccano, i libri di Elyzad, anche per l’estrema cura grafica e la raffinatezza della copertine. Il suo catalogo annovera una fra le più interessanti autrici contemporanee tunisine, Azza Filali, di cui Ouatann (Filali 2012) è stato tradotto in italiano da Maurizio Ferrara e pubblicato nel 2015 da Fazi. Se gran parte dei critici nostrani ha sottolineato, del romanzo, l’affresco che tratteggia della Tunisia corrotta e immobile alle soglie della rivoluzione dei gelsomini, vale la pena – anche forse per educarsi a uno sguardo meno “neo-orientalista” – rimarcare semmai la solida tenuta narrativa, la vividezza delle descrizioni, l’incastro ben congegnato dell’intreccio, lo spessore di personaggi a tutto tondo. Testimonianze di una ricezione attenta, capace di guardare oltre l’immediatezza dell’attualità politica, certo non mancano, ma si tratta il più delle volte di studiosi attivi in ambiti molto specialistici. Annamaria Clemente, per esempio, menziona il genere noir, come si farebbe di un qualsiasi romanzo americano o francese :«Un noir dall’atmosfera onirica, dai risvolti imprevisti, abitato da fantasmi e fuochi fatui, da speranze disattese e cocenti disillusioni, storia risolta in un intreccio perfetto grazie ad una scrittura simbiotica frutto di una calibrata compenetrazione tra  realtà e sogno» (Clemente 2015) e sottolinea poi il ruolo di Tunisi, città-personaggio, «tiranna crudele e regina dalla dimenticata bellezza» (ibidem). Intervistata da Fabio Gambaro, la stessa Azza Filali ha sottolineato l’autonomia della letteratura rispetto alla storia:

Il tempo della storia corre e non si ferma mai, mentre quello della letteratura procede lentamente, arrivando sempre dopo. Il vissuto dello scrittore ha bisogno di sedimentare. La letteratura infatti non deve essere la semplice messinscena della storia. La letteratura deve emanciparsi dalla storia (Gambaro 2015).

Grava infatti, sulla nostra ricezione della nuova letteratura tunisina – come peraltro talora di molte letterature cosiddette postcoloniali – il rischio di uno sguardo contraddistinto da una sorta di infantilizzazione delle attese, una semplificazione vagamente paternalistica per la quale si chiede alle opere di finzione di essere in fondo “testimonianze” sulla realtà del paese, sui rivolgimenti sociopolitici in atto, quasi un corollario appena un po’ finzionale delle notizie di cronaca estera che ci giungono dai media. Sicché lo sguardo che vorrebbe essere all’insegna dell’apertura, dell’ospitalità, dell’accoglienza dell’altro, del superamento degli stereotipi orientalisti, continua invece senza saperlo ad alimentare una forma di etnocentrismo: dell’Altro, in fondo, ci interessa quello che crediamo già di sapere, e quel che gli chiediamo è quindi soprattutto di soddisfare le nostre attese ideologiche e culturali. Vogliamo così che la Tunisia ci parli della rivoluzione dei gelsomini, che l’Algeria ci racconti all’infinito della guerra di indipendenza o del decennio del terrorismo, che l’Iran ci narri dei giovani insofferenti al regime degli ayatollah. In un certo senso continuiamo a chiedere all’Altro che scriva per NOI, pigro, moribondo ombelico del mondo che senza saperlo pretende di continuare a dettare i temi e le storie ai quattro angoli del pianeta. Poco importa che oggi non siano più le odalische o gli harem, ma le primavere arabe o la condizione femminile nei paesi islamici: resta, nel profondo, uno sguardo orientalista, uno sguardo paternalista. Lo stesso paternalismo della studiosa politicamente correttissima che a un festival internazionale di letteratura si indignava che uno scrittore nigeriano citasse fra i propri modelli un grande scrittore americano anziché un esponente della propria tradizione, della propria cultura. Come se la letteratura – al pari di tutte le altre espressioni artistiche – non fosse oggi realmente globale, una costruzione comune, una grande serbatoio di storie e di immaginario cui chiunque, ovunque attinge, cui chiunque, ovunque contribuisce. No, lo scrittore cosiddetto – da noi! – francofono, lo scrittore postcoloniale sembra avere le carte in regola solo se recita la parte che abbiamo previsto per lui.

Ed è purtoppo spesso questo sguardo viziato, questo paternalismo qui ne dit pas son nom a dettare le scelte editoriali nostrane. Si spera allora, per esempio, che due nomi interessanti del catalogo di Elyzad, quali Yamen Manai (Manai 2017), fresco vincitore del prestigioso Prix des cinq continents de la Francophonie 2017 con il suo L’amas ardent, e Ali Bécheur (Bécheur 2017) siano quanto prima accessibile ai lettori italiani anche se le loro storie, la loro scrittura, le loro influenze sfuggono a una facile identificazione, si sottraggono in apparenza a quell’imperativo di testimonianza che frettolosamente guida troppe scelte della nostra editoria.

Per svecchiare il nostro punto di vista e rimettere in discussione gli stereotipi neo-orientalisti di cui si diceva sopra, niente di meglio che gettare lo sguardo a un altro frutto del risveglio editoriale tunisino. La vivacissima casa editrice Pop Libris punta sulla letteratura popolare. La sfida alla crisi e alla disaffezione alla lettura nel paese passa anche attraverso rivendicazione di un’idea di romanzo come intrattenimento. Così i tre fondatori presentano sul sito la loro avventura editoriale:

<CM> Loin de toute prétention, ils avouent sans complexe leur préférence pour une littérature populaire, de genre.  Pop Libris est donc née de la volonté de promouvoir une littérature tunisienne aleternative, une littérature de divertissement et donnant la chance à de jeunes (ou moins jeunes) auteurs encore inconnus. […]la ligne éditoriale de la maison est trouvée: Un contenu original et divertissant de préférence de genre (Thriller, policier, SF, épouvante, fantastique, mais pas que…), un format léger et pratique -le Poche- avec un packaging alléchant et un soin particulier pour la couverture, véritable miroir du livre et enfin, un prix étudié à la portée de toutes les bourses pour un but unique: réconcilier le lecteur avec le livre tunisien. (http://poplibris.wixsite.com/accueil/about) </CM>

Privi di qualunque presunzione, (i fondatori) ammettono senza complessi la preferenza per una letteratura popolare e di genere. Poplibris nasce quindi dalla volontà di promuovere una letteratura tunisina alternativa, una letteratura di intrattenimento che dia un’opportunità a giovani (o meno giovani) autori ancora sconosciuti. […] La linea editoriale della casa editrice è quindi definita: un contenuto originale e divertente, preferibilmente di genere (thriller, poliziesco, fantascienza, orrore, fantasy ma non solo…) un formato leggero e maneggevole – il tascabile – con un packaging accattivante e una cura particolare per la copertina, vero specchio del libro, e infine un prezzo a portata di tutte le tasche con un unico scopo: riconciliare il lettore con il libro tunisino (traduzione mia).

Citiamo fra gli autori in catalogo Jihène Charrad e il suo Diva Motherfucker, che, globalisation oblige, è una sorta di Sex and the City alla tunisina nato a partire da un blog tenuto dalla giovane scrittrice. A riprova che oggi l’immaginario globale è davvero, come racconta Enard nel suo Bussola, una costruzione comune che Oriente e Occidente condividono, riciclando e rielaborando un tessuto condiviso.

Ha invece un profilo tradizionale la storica casa editrice Alif (http://www.alifedition.com/index.html) specializzata soprattutto in libri d’arte o legati al patrimonio tradizionale del paese, al pari dell’altrettanto storica Cérès.

La volontà dichiarata di molti editori come Elyzad di gettare passerelle geografiche verso la sponda nord del Mediterraneo scaturisce in primo luogo dalla consapevolezza che molte voci tunisine provengono dalla Francia: seconde generazioni, scrittori che si muovono fra Parigi e Tunisi rivendicando la fecondità di questa duplice appartenenza. E talora scrivendo, da Parigi, in arabo. È il caso di una delle penne forse più raffinate della recente narrativa tunisina – per quanto, va detto, questo si possa desumere dalle traduzioni, non potendo io leggere l’originale arabo. Habib Selmi è nato nei pressi di Kairouan nel 1951 e dal 1985 vive a Parigi, dove insegna letteratura araba. Scrive in arabo ed è tradotto in francese (presso le edizioni Actes Sud), in inglese, in tedesco. In Italia possiamo leggere il suo Gli odori di Marie-Claire (Selmi 2013) grazie alla prestigiosa e raffinata casa editrice messinese Mesogea, forse oggi la più attenta a quanto accade sull’altra sponda del Mediterraneo. La storia d’amore fra il protagonista, un tunisino che vive a Parigi, e Marie-Claire, passa per piccoli dettagli concreti, gesti, respiri, odori di corpi, il luccichio di un dente otturato d’oro, il rumore dei passi in una via deserta. Una scrittura sobria e precisa – così quanto meno la traduzione di Elisabetta Bartuli e Marco Soave – al servizio di una poesia del quotidiano che pervade anche i ricordi dell’infanzia poverissima in Tunisia. Ed è più nel dialogo fra i corpi, come nei minuscoli fraintendimenti della vita quotidiana, che Selmi riesce a delineare anche il contrasto fra due culture, due mondi: la desolata, quasi vuota campagna tunisina della sua infanzia, come sospesa in una sorta di non-tempo mitico, dominata da una povertà assoluta che sembra rendere vividi i contorni di ogni oggetto – un frutto, un pezzo di legno, una manciata di ceci – e la confortevole frenesia di Parigi, dove i corpi si pigiano uno accanto all’altro nei ristoranti per quel rito delle “uscite serali” che al narratore pare un’usanza irrimediabilmente strampalata. Scrittore di grande eleganza, Selmi, scrittore a tutto tondo, non classificabile, e forse proprio per questo scrittore di cui molti romanzi restano ancora da tradurre in italiano.

Non si segnala invece per eleganza, appesantito com’è da lungaggini e da un certo goffo tono didattico, perlomeno nella traduzione italiana – ma forse si impone per lo spessore della testimonianza – il recente L’italiano, di Shukri al-Mabkhout, vincitore dell’Arabic Book Prize e pubblicato da e/o con la traduzione di Barbara Teresi (al-Mabkhout 2017): un ponderoso romanzo che tratteggia alcuni decenni di recente storia della Tunisia, attraverso la vicenda di due personaggi immersi nelle lacerazioni della contemporaneità. Lettura paradossalmente importante e indigesta che ha però il merito, grazie anche alla visibilità di un editore dinamico e rilevante come e/o, di offrire a un pubblico più vasto di quello degli specialisti una preziosa finestra sulla letteratura tunisina, con l’auspicio che sia lasciata aperta.

Bibliografia

al-Mabkhout 2017: Shukri al-Mabkhout, L’Italiano, edizioni e/o, Roma, 2017 (traduzione di Barbara Teresi da al Talyani, al Tanweer, Dar al Tanweer, 2014)

Bécheur 2017: Ali Bécheur, Les lendemains d’hier, éditions elyzad, Tunis, 2017

Clemente 2015: Annamaria Clemente, Dalla frammentazione alla ricomposizione: la Tunisia di Azza Filali, «Dialoghi mediterranei», n. 16, novembre 2015

Filali 2012: Azza Filali, Ouatann. Ombre sul mare, Fazi editore, Roma, 2015 (traduzione di Maurizio Ferrara da Ouatann, éditions elyzad, Tunis, 2012)

Gambaro 2015: Azza Filali: “Ecco l’orgoglio e il pregiudizio della Tunisia“, di Fabio Gambaro, «La Repubblica», 24/09/2015

Ghazi 1970: Ferid Ghazi, Le roman et la nouvelle en Tunisie, Maison Tunisienne de l’Edition, Tunis, 1970

Guiga 2000: Tahar Guiga, Contes et nouvelles de Tunise, Conseil International de la Langue Française, 2000

Le Bris 2007: Michel Le Bris, Jean Rouad (sous la direction de), Pour une littérature monde, Gallimard, Paris, 2007

Manai 2017: Yamen Manai, L’amas ardent, éditions elyzad, Tunis, 2017

Pendola 2000: Marinette Pendola, La riva lontana, Sellerio, Palermo, 2000

Selmi 2008: Habib Selmi, Gli odori di Marie-Claire, Edizioni Mesogea, Messina, 2013 (traduzione di Elisabetta Bartuli e Marco Soave da Rawai’h Marie Claire, Dar al-Adab, Beirut 2008)